Art. 464-ter - Richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari
1. Nel corso delle indagini preliminari, il giudice, se è presentata una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, trasmette gli atti al pubblico ministero affinché esprima il consenso o il dissenso nel termine di cinque giorni.
2. Se il pubblico ministero presta il consenso, il giudice provvede ai sensi dell’articolo 464-quater.
3. Il consenso del pubblico ministero deve risultare da atto scritto e sinteticamente motivato, unitamente alla formulazione dell’imputazione.
4. Il pubblico ministero, in caso di dissenso, deve enunciarne le ragioni. In caso di rigetto, l’imputato può rinnovare la richiesta prima dell’apertura del dibattimento di primo grado e il giudice, se ritiene la richiesta fondata, provvede ai sensi dell’articolo 464-quater.
Rassegna giurisprudenziale
Richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari (art. 464-ter)
L'imputazione formulata dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 464 ter, c. 3, ha la stessa natura di esercizio dell'azione penale di quella previsa dall'art. 405; pertanto laddove il giudice revochi l'ordinanza di messa alla prova ammessa nel corso delle indagini preliminari, deve disporre, ai sensi dell'art. 464-octies, c. 4, che il procedimento riprenda dal momento in cui era rimasto sospeso, non potendo regredire ad una fase antecedente con restituzione degli atti all’organo dell’accusa il quale ha già esercitato l'azione penale (Sez. 4, 32981/2021).
Nelle indagini preliminari è previsto, dall’art. 464-ter, che sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova si pronunci il PM esprimendo, nel termine di cinque giorni, il proprio parere, che deve essere motivato sia in caso di consenso che di dissenso, parere che è non solo obbligatorio, ma anche vincolante.
Si tratta tuttavia di una vincolatività relativa, nel senso che non pregiudica la decisione del giudice sul merito della richiesta, ma determina soltanto lo svolgimento del successivo percorso procedimentale.
Ciò è evidente nel caso in cui il PM dia parere favorevole, in quanto il giudice è tenuto solo a sentire le parti, previa fissazione di una apposita udienza, ma la sua decisione sulla messa alla prova non è vincolata dal parere del PM (art. 464-quater).
Diverso l’esito in presenza del dissenso del PM: in questo caso il GIP non può che adeguarsi alla valutazione negativa della pubblica accusa, dal momento che non sarebbe neppure in grado di operare una decisione sulla richiesta, mancando un’imputazione, seppur provvisoria, e quindi l’esercizio stesso dell’azione penale, sicché difettano gli elementi di fatto su cui assumere la determinazione in ordine alla richiesta di messa alla prova.
Non a caso l’art. 464-ter prevede che l’imputazione venga formulata solo con l’atto scritto con cui il PM esprime il consenso. In altri termini, l’esito non può che essere il rigetto della richiesta, tuttavia l’indagato potrà rinnovare la richiesta davanti al giudice del dibattimento, una volta esercitata l’azione penale, e il giudice potrà ammettere il richiedente al procedimento di messa alla prova.
Anche qui, il parere negativo opera un condizionamento relativo, con riferimento alla fase delle indagini preliminari, ed è funzionale ad evitare che le richieste ex art. 168-bis Cod. pen. intervengano prematuramente, ma non vincola il giudice del dibattimento nel caso in cui l’imputato rinnovi la richiesta.
È evidente come la procedura in caso di dissenso replichi lo schema previsto dall’art. 448. in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti: il dissenso del PM determina il rigetto della domanda di patteggiamento, ma l’imputato può rinnovare la domanda prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
L’esistenza di questo meccanismo procedimentale di recupero della richiesta porta ad escludere l’impugnabilità del provvedimento con cui, nelle indagini preliminari, a seguito del dissenso del PM, il giudice rigetta la domanda di messa alla prova.
Del resto nessuna disposizione lo prevede e, inoltre, non si tratta di una decisione con carattere di definitività e, quindi, non può certo parificarsi ad una sentenza, sicché non vi è alcuno spazio per ipotizzare la ricorribilità in cassazione in base all’art. 111 Cost. In conclusione, deve affermarsi che il rigetto della richiesta di sospensione del procedimento per messa alla prova, avanzata nel corso delle indagini preliminari, non è impugnabile in cassazione (Sez. 6, 4171/2016).
L’art. 464-ter consente che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova possa essere avanzata anche nel corso delle indagini preliminari. In tal caso il giudice deve acquisire il parere del PM e, nel caso sia prestato il consenso, il giudice deve provvede ai sensi dell’articolo 464 quater, cioè fissando un’apposita udienza camerale, ai sensi dell’art. 127, per deliberare.
Nel caso in esame il GIP ha adottato la sua decisione “de plano” senza neanche citare nel provvedimento se sia avvenuta l’interlocuzione con il PM. La violazione delle regole del contraddittorio, così come disciplinate dalle norme richiamate, impone l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato e la restituzione degli atti al Tribunale per l’ulteriore corso (Sez. 4, 12982/2016).
L’imputazione che il PM è chiamato a formulare nel momento in cui presta il consenso, ai sensi dell’art. 464 ter, comma 3, ha la stessa natura di esercizio di azione penale di quella prevista dall’art. 405 e non è mera descrizione del fatto per l’individuazione della fattispecie di reato, necessaria alla prestazione del consenso (Sez. 4, 29093/2018).
Il fine primario della norma introdotta dall’art. 3 L. 67/2014 è quello di deflazionare le pendenze penali attraverso la individuazione di una nuova ipotesi di estinzione del reato da concretare mediante una definizione, alternativa e anticipata, della vicenda processuale. Proprio la ratio deflattiva perseguita dal legislatore costituisce la conferma che il dato normativo debba essere interpretato secondo il suo tenore letterale.
L’art. 168-bis, comma 1, Cod. pen. condiziona, infatti, l’applicabilità dell’istituto della messa alla prova richiamando al fine i reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo ad anni 4. Manca, sul piano letterale, ogni esplicito riferimento alla possibile incidenza sul tema di eventuali aggravanti.
Tale mancata esplicitazione assume ancora maggior pregnanza ove si ponga mente all’ammissibilità dell’istanza in una fase procedimentale (art. 464-bis) n cui al giudice non è consentito pronunciarsi sulla fondatezza dell’accusa così come formulata, dunque sulla configurabilità o meno del fatto aggravato, se non in termini negativi circa la sussistenza delle condizioni per la pronuncia di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425.
Quella introdotta dalla L. 67 è, infatti, una probation giudiziale nella fase istruttoria, assimilabile al modello adottato nel procedimento minorile, nel quale la messa alla prova precede la pronuncia di una sentenza di condanna.
A ciò si aggiunga che l’art. 464-ter ammette la proposizione della richiesta di sospensione con messa alla prova nella fase delle indagini preliminari. Nel caso di richiesta avanzata nel corso delle indagini è previsto il tempestivo coinvolgimento informativo del PM, funzionale all’espressione del consenso o del dissenso, così evidenziandosi la struttura dialettica del procedimento in merito alla sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’istituto anche rispetto all’ipotesi accusatoria formulata dall’organo inquirente.
Tanto è ben evidenziato dalla funzione dell’art. 464-ter nell’ipotesi in cui l’indagato intenda sollecitare il potere decisorio del giudice in eventuale contrasto con il PM che non abbia ritenuto sussistenti i presupposti per l’indagato della facoltà di chiedere di essere messo alla prova, come previsto dall’art.141-bis Att. introdotto dall’art. 5 L. 67/2014. Laddove il legislatore ha voluto che si tenesse conto delle circostanze aggravanti lo ha, del resto, espressamente previsto.
Deve, conseguentemente, escludersi che la contestazione di una circostanza aggravante ad effetto speciale precluda, come affermato nel provvedimento impugnato, l’applicabilità dell’istituto della messa alla prova, qualora il reato contestato sia punito con sanzione edittale non superiore nel massimo a quattro anni di reclusione (Sez. 4, 32787/2015).