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Art. 423 - Modificazione dell’imputazione

1. Se nel corso dell’udienza il fatto risulta diverso da come è descritto nell’imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma dell’articolo 12 comma 1 lettera b), o una circostanza aggravante, il pubblico ministero modifica l’imputazione e la contesta all’imputato presente. Se l’imputato non è presente, la modificazione della imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l’imputato ai fini della contestazione.

2. Se risulta a carico dell’imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il pubblico ministero ne fa richiesta e vi è il consenso dell’imputato.

Rassegna giurisprudenziale

Modificazione dell’imputazione (art. 423)

All’udienza preliminare, il PM può modificare liberamente l’imputazione senza alcuna particolare limitazione o condizione dal momento che l’art. 423 non prevede che l’elemento posto a base della modifica debba essere venuto a conoscenza dell’inquirente solo nel corso dell’udienza preliminare, dovendosi comprendere anche l’eventualità che esso sia stato già acquisito nel corso delle indagini preliminari ma non sia stato ancora valutato nelle sue implicazioni sulla formulazione dell’imputazione. Inoltre, nessuna autorizzazione del giudice è necessaria per l’ulteriore contestazione (ed ancor meno, consenso dell’imputato), trattandosi di adempimenti non previsti poiché, se l’imputato non è presente la modificazione dell’imputazione è comunicata al difensore che rappresenta l’imputato ai fini della contestazione, comunicazione che è stata ritenuta dal legislatore garanzia sufficiente all’assente nel corso dell’udienza preliminare e che neppure comporta la concessione di un termine a difesa, sia nel caso in cui l’imputato sia presente sia nel caso in cui questi risulti assente o contumace (Sez. 6, 39926/2018).

La modifica dell’imputazione o la nuova contestazione ai sensi dell’art. 423 non comporta la concessione di un termine a difesa, sia nel caso in cui l’imputato sia presente sia nel caso in cui questi risulti assente o contumace (Sez. 3, 15927/2009).

La possibilità che il fatto contestato a conclusione delle indagini possa variare è regolata dal codice di rito penale, mediante una disciplina che, sul versante delle garanzie difensive, tiene ben distinte le due ipotesi del mutamento in fatto e della riqualificazione in diritto dell’imputazione.

Lo jus variandi in punto di fatto è potere esclusivo del PM, trattandosi di prerogativa inerente all’esercizio dell’azione penale e nel corso dell’udienza preliminare si attua con la modifica del fatto contestato, disciplinata dall’art. 423  disciplina estesa al reato connesso per continuazione o concorso formale ed all’elevazione di una circostanza aggravante – ovvero con la contestazione del fatto “nuovo”, regolata dall’art. 423, comma 2Univoca nella giurisprudenza di legittimità è definizione di fatto nuovo, nozione che sta ad indicare un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendum. Tale definizione, che rimanda al fatto come episodio storico, viene più volte richiamata in contrapposizione a quella più elastica, di fatto diverso. Per fatto diverso, deve, invece, intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reatoCiò che rileva ai fini della violazione del diritto di difesa in rapporto al principio di correlazione ex art. 521  ma non vi è ragione per non estendere la portata di tale principio anche alla fase dell’udienza preliminare  è l’apprezzamento nella concretezza della situazione processuale e non già in astratto, poiché, la modifica del fatto di rilievo è solo quella che modifica radicalmente la struttura della contestazione, in quanto sostituisce il fatto tipico, il nesso di causalità e l’elemento psicologico del reato, e, per conseguenza di essa, l’azione realizzata risulta completamente diversa da quella contestata, al punto da essere incompatibile con le difese apprestate dall’imputato per discolparsene. Mentre, non si ha mutamento del fatto allorché il fatto tipico sia rimasto identico a quello contestato nei suoi elementi essenziali e sia stato connotato dallo stesso contesto referenziale e storico ed in un ambito in cui l’imputato ha potuto per intero spendere, senza alcuna menomazione del suo diritto di difesa, tutti gli interventi utili a sostenere la propria estraneità ai fatti criminosi stimati nel loro insieme (Sez. 6, 28262/2017).

Secondo l’art. 423, la modifica dell’imputazione rientra nell’esercizio dell’azione penale e, quindi, è attribuita al potere-dovere del PM e non del giudice; tuttavia, su quest’ultimo incombe un vero e proprio dovere di interlocuzione volto a sollecitare la modifica o la precisazione della contestazione, quando ne ritenga sussistenti le condizioniCon la conseguenza che laddove il PM, a tanto sollecitato, non ottemperi alla prospettata modifica, il giudice sarà tenuto a restituire gli atti, senza la contestuale assoluzione, per insussistenza, del fatto contestato, altrimenti ponendosi una tale pronunzia in insanabile contraddizione con l’ordinanza finalizzata all’esercizio dell’azione penale (Sez. 2, 2491/2017).

L’art. 423 riconosce espressamente al PM la facoltà di procedere, nel corso dell’udienza preliminare, alle necessarie modifiche ed integrazioni dell’imputazione e, dunque, di porre rimedio ad eventuali lacune della stessa. Nondimeno, non essendo previsto in capo all’organo dell’accusa un obbligo di correzione/integrazione della contestazione, il problema si pone nel caso in cui il PM non provveda ad emendare l’imputazione che non rispetti i requisiti imposti dall’art. 429, comma 1 lett. c). Va rimarcato come l’enunciazione in forma chiara e precisa dell’imputazione rappresenti una prescrizione di rilievo non meramente formale, ma come essa involga, in modo diretto, interessi di rilievo costituzionale, là dove è volta ad assicurare all’imputato la piena conoscenza delle accuse a lui contestate: si tratta di precetto funzionale a garantire l’effettivo rispetto del diritto di difesa e l’osservanza della garanzia del contraddittorio, tutelati dagli artt. 24 e 111 Cost. nonché dall’art. 6 par. 3.1 CEDU. Occorre, d’altra parte, rilevare come la prescrizione contenuta nell’art. 417, comma 1 lett. b) - diversamente dall’omologa contemplata dall’art. 429, comma 1 lett. c) in relazione alla richiesta di rinvio a giudizio - non sia assistita dalla comminatoria di alcuna nullità. Ne discende che il GUP, essendo vincolato all’osservanza delle disposizioni processuali e, dunque, tenuto a non formare atti nulli (precludendogli l’art. 124 financo di formare atti irregolari non sanzionati con la nullità), in caso di imputazione recante un’accusa imprecisa o indeterminata, da un lato, non può emettere il decreto che dispone il giudizio, che sarebbe inevitabilmente affetto dal vizio previsto dal combinato disposto del comma 1 lett. c) e comma 2 dell’art. 429; dall’altro lato, non può fare fronte alle carenze della imputazione dichiarando la nullità della richiesta ex art. 417, in ossequio al principio di tassatività delle nullità, essendo  si ribadisce  l’indeterminatezza della imputazione prevista quale causa di nullità della sola vocatio in iudicium (cioè del rinvio a giudizio), ma non anche dell’atto d’impulso che la presuppone (vale a dire della richiesta di rinvio a giudizio). Né sarebbe possibile per il giudice provvedere direttamente all’emenda della imputazione correggendo le imprecisioni e colmando le lacune dell’atto d’accusa, là dove, nell’attuale assetto processuale, al giudice sono preclusi interventi a correzione o ad integrazione della imputazione, che travalicherebbero la funzione di garanzia e di controllo riservata all’organo giurisdizionale e comporterebbero un’indebita invasione di campo, su di un terreno di pertinenza della parte pubblica, cui spetta in via esclusiva l’esercizio dell’azione penale e, dunque, anche la precisazione dell’ambito della stessa. Tanto premesso, le Sezioni unite (SU, 5307/2008) hanno rilevato come “l’udienza preliminare si configuri come il luogo privilegiato di stabilizzazione dell’accusa” e come il progressivo consolidamento dell’imputazione debba essere realizzato, in primis, all’interno della fase, mediante l’invito o la sollecitazione “interlocutoria” del giudice al titolare dell’azione penale ad esercitare nell’udienza preliminare i poteri attribuitigli dall’art. 423, nella lettura estensiva che di tale disposizione normativa offre la giurisprudenza costituzionale; in seconda battuta, con un rimedio “esterno” alla fase – da esercitare soltanto in caso di inutile esperimento di quello “interno” –, consistente nella trasmissione degli atti al PM all’esito dell’udienza preliminare perché eserciti nuovamente l’azione penale, in applicazione analogica dell’art. 521, comma 2. Sulla scorta dell’insegnamento delle Sezioni Unite, il GUP che riscontri la genericità o l’indeterminatezza dell’imputazione deve previamente chiedere al PM  emettendo ordinanza interlocutoria ad hoc  di precisare o integrare l’imputazione e, solo allorché questi non vi provveda, deve restituire gli atti all’organo dell’accusa, in virtù dell’applicazione analogica dell’art. 521, comma 2Certamente, quello che il giudice non può fare in tale ipotesi è di pronunciare sentenza di non luogo a procedere, provvedimento che, a mente dell’art. 425, il legislatore ha concepito per ipotesi tassative, id est nei casi di estinzione del reato e di difetto di imputabilità o punibilità, ovvero a valle di una valutazione giudiziale di infondatezza dell’accusa (“se il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero quando risulta che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato”) o, ancora, nei casi di inconsistenza del compendio probatorio (“quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”) (Sez. 6, 53968/2016).

Le prassi dei giudici per indurre il PM ad adeguare l’imputazione contestata in modo generico, oppure puntualmente determinata, ma non corrispondente agli atti investigativi, senza dichiarare la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, concretantesi nell’invito al titolare dell’azione penale ad esercitare nell’udienza preliminare i poteri attribuitigli dall’art. 423 per precisare gli estremi del fatto contestato, ovvero la trasmissione degli atti al PM, all’esito dell’udienza preliminare, perché eserciti nuovamente l’azione penale, in applicazione analogica dell’art. 521, comma 2, sono pienamente legittime (Sez. 5, 50065/2016).

Il GUP, dal momento della presentazione dell'atto introduttivo fino all'esito della discussione nel confronto dialettico fra le parti, ancor prima dell'adozione dei tipici provvedimenti conclusivi della fase ex art. 424, qualora ravvisi nell'atto di imputazione l'assenza del contenuto minimo indispensabile o la sua imperfezione e inadeguatezza per difetto di chiarezza e precisione dei fatti storici contestati, ha il "potere-dovere" di attivare i meccanismi correttivi nel corso dell'attività fisiologica della medesima udienza, rappresentando, con ordinanza motivata e interlocutoria, gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche del vizio d'imputazione e richiedendo espressamente al PM di provvedere, di conseguenza, alle opportune precisazioni e integrazioni, secondo il paradigma contestativo dettato dall'art. 423 comma 1. Il pur legittimo potere di controllo dell'azione e dell'imputazione, riservato al GUP, è esercitato oltre ogni ragionevole limite quando il giudice dell'udienza preliminare disponga ex abrupto la regressione del procedimento alla fase antecedente delle indagini preliminari, segnandone così l'anomalo epilogo, senza avere prima richiesto al pubblico ministero di attivare il rimedio correttivo del vizio dell'atto imputativo nell'ambito della medesima udienza. (La Suprema corte ha evidenziato come, nel caso di specie, il GUP non si era uniformato ai citati principi, dichiarando la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per indeterminatezza dell'imputazione senza aver previamente sollecitato il pubblico ministero nel corso dell'udienza preliminare ad integrarla) (Sez. 6, 11843/2022).