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Art. 424 - Provvedimenti del giudice

1. Subito dopo che è stata dichiarata chiusa la discussione, il giudice procede alla deliberazione pronunciando sentenza di non luogo a procedere o decreto che dispone il giudizio.

2. Il giudice dà immediata lettura del provvedimento. La lettura equivale a notificazione per le parti presenti.

3. Il provvedimento è immediatamente depositato in cancelleria. Le parti hanno diritto di ottenerne copia.

4. Qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi della sentenza di non luogo a procedere, il giudice provvede non oltre il trentesimo giorno da quello della pronuncia.

Rassegna giurisprudenziale

Provvedimenti del giudice (art. 424)

La collocazione sistematica dell’udienza preliminare, tra le indagini e il giudizio, evidenzia le funzioni che ad essa il legislatore ha voluto attribuire: quella di filtro per le accuse prive di consistenza, quella diretta ad incentivare la scelta dei riti alternativi con implicita deflazione del dibattimento, quella di consentire l’esercizio del diritto di difesa dinanzi ad un giudice per la prima volta insediato in modo stabile. Il raggiungimento di tali obiettivi, logicamente, in tanto è possibile, in quanto giudice e parti private siano posti nella condizione di conoscere tutti gli atti di indagine espletati dal PM; di qui la necessità che quest’ultimo organo, nel presentare la richiesta di rinvio a giudizio, trasmetta con la stessa il fascicolo contenente tutti gli atti fino a quel momento compiuti (art. 416 comma 2).

Il meccanismo della integrale discovery in vista dell’udienza preliminare si presenta, quindi, come ha precisato il giudice delle leggi (Corte costituzionale, sentenze 145/91 e 142/2009), funzionale  sul terreno del diritto di difesa – alla scelta dei riti differenziati e – sul versante del compiuto esercizio della giurisdizione – al controllo circa l’adeguatezza dell’accusa.

La Corte Costituzionale, con la stessa sentenza, ha anche sottolineato che la disciplina espressa dalla norma di cui al citato art. 416 comma 2 trova il suo completamento nell’art. 130 comma 1 Att., secondo cui, quando gli atti dell’indagine preliminare riguardano più persone o più imputazioni, “il PM forma il fascicolo previsto dall’art. 416 comma 2, inserendovi gli atti ivi indicati per la parte che si riferisce alle persone e alle imputazioni per cui viene esercitata l’azione penale”; previsione questa che, in un certo senso, rappresenta una apparente deroga all’obbligo generale posto a carico del PM dal richiamato art. 416 comma 2, deroga imposta dall’esigenza oggettiva di procedere alla separazione dei processi in relazione alla esistenza di diversi e differenziati profili di indagine, che implicano corrispondenti scelte differenziate.

È vero che l’attività selettiva affidata all’iniziativa del PM non è soggetta ad alcun controllo finalizzato a verificare se i contenuti secretati possano avere una qualche rilevanza per gli interessi della difesa, ma non deve neppure sfuggire che da tale situazione non può semplicisticamente dedursi la violazione del diritto di difesa, violazione che assumerebbe carattere meramente “virtuale”, laddove, invece, deve essere supportata da concreti elementi, recuperati eventualmente anche attraverso investigazioni difensive, che dimostrino la rilevanza di specifico materiale investigativo acquisito dal PM e non trasmesso al GUP (Sez. 4, 10510/2014).

È utile evidenziare come, secondo le Sezioni unite della Corte di cassazione “pur essendo innegabile che, all’interno di un disegno frammentario del legislatore, gli strappi acceleratori verso un vero e proprio giudizio di merito, rispetto all’originario carattere di momento di impulso meramente processuale, hanno influito sulla struttura dell’udienza preliminare, la regola di diritto per il rinvio a giudizio resta tuttavia qualificata dalla peculiarità dell’oggetto della valutazione e del correlato metodo di analisi.

L’obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell’orizzonte prospettico del giudice, rispetto all’epilogo decisionale, non attribuisce infatti allo stesso il potere di giudicare in termini di anticipata verifica della innocenza-colpevolezza dell’imputato, poiché la valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori, secondo il dato letterale del novellato terzo comma dell’art. 425, è sempre e comunque diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo prognostico, divenuta oggi più stabile per la tendenziale completezza delle indagini, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa, l’effettiva, potenziale, utilità del dibattimento in ordine alla regiudicanda.

S’intende cioè sostenere che il radicale incremento dei poteri di cognizione e di decisione del GUP, pur legittimando quest’ultimo a muoversi implicitamente anche nella prospettiva della probabilità di colpevolezza dell’imputato, non lo ha tuttavia disancorato dalla fondamentale regola di giudizio per la valutazione prognostica, in ordine al maggior grado di probabilità logica e di successo della prospettazione accusatoria ed all’effettiva utilità della fase dibattimentale, di cui il legislatore della riforma persegue, espressamente, una significativa deflazione.

Di talché, gli epiloghi decisionali dell’udienza preliminare, quanto ai casi che risultino allo stato degli atti aperti a soluzioni alternative, si ricollocano specularmene nel solco delle coordinate già tracciate dall’art. 125 Att. per l’archiviazione, come logico completamento della riforma introdotta con la L. 105/1993, recante la soppressione del presupposto dell’evidenza”.

Il GUP, dunque, non è chiamato a valutare l’innocenza dell’imputato, ma l’inutilità del dibattimento. Anche in presenza di elementi di prova contraddittori il giudice deve pronunziare sentenza di non luogo a procedere solo quando sia ragionevolmente prevedibile che gli stessi siano destinati a rimanere tali all’esito del giudizio.

In particolare, l’oggetto della valutazione del giudice dell’udienza preliminare attiene alla “completabilità degli atti di indagine” ed alla “inutilità del dibattimento”; il giudice, anche rispetto ad elementi di prova contraddittori o insufficienti, deve spiegare perché il materiale dimostrativo acquisito sia insuscettibile di completamento, chiarendo le ragioni per le quali il proprio convincimento in ordine alla prova positiva dell’innocenza o alla mancanza di prova della colpevolezza dell’imputato è in grado di resistere all’approfondimento nel contraddittorio dibattimentale.

In tale contesto si colloca l’affermazione giurisprudenziale secondo cui la regola di giudizio al fine del rinvio a giudizio o, per converso, del proscioglimento nel merito, consiste innanzitutto nella presentazione da parte del PM di elementi probatori che dimostrino allo stato un livello di fondatezza delle accuse, definibile “serio”.

Rispetto a tale precondizione, il giudice, nel contraddittorio delle parti, valuterà che a tale materiale si aggiunga una prospettiva di utile sviluppo delle prove a carico nel corso del dibattimento ovvero la impossibilità che ciò avvenga. Il GUP è legittimato ad esercitare “il proprio prudente apprezzamento nella valutazione dei dati probatori al solo fine di verificare se l’impianto probatorio sussistente o ragionevolmente integrabile nel dibattimento dimostri un livello di fondatezza delle accuse definibile “serio” –, rimangono fuori dall’orizzonte del sindacato da espletare in questa fase quelle valutazioni che si sostanzino nella lettura/interpretazione di emergenze delle indagini o delle prove già raccolte connotate da una portata o da un significato “aperti” o “alternativi” o, dunque, suscettibili di una diversa valutazione da parte dei giudici del dibattimento, anche in ragione delle possibili acquisizioni istruttorie nel processo. Tale sindacato attiene invero alla delibazione sul merito della pretesa accusatoria – e non della effettiva utilità dello sviluppo dibattimentale –, e dunque compete in via esclusiva ai giudici della cognizione (Sez. 6, 31882/2017).