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Art. 427 - Condanna del querelante alle spese e ai danni

1. Quando si tratta di reato per il quale si procede a querela della persona offesa, con la sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato.

2. Nei casi previsti dal comma 1, il giudice, quando ne è fatta domanda, condanna inoltre il querelante alla rifusione delle spese sostenute dall’imputato e, se il querelante si è costituito parte civile, anche di quelle sostenute dal responsabile civile citato o intervenuto. Quando ricorrono giusti motivi, le spese possono essere compensate in tutto o in parte.

3. Se vi è colpa grave, il giudice può condannare il querelante a risarcire i danni all’imputato e al responsabile civile che ne abbiano fatto domanda.

4. Contro il capo della sentenza di non luogo a procedere che decide sulle spese e sui danni possono proporre impugnazione, a norma dell’articolo 428, il querelante, l’imputato e il responsabile civile.

5. Se il reato è estinto per remissione della querela, si applica la disposizione dell’articolo 340 comma 4.

Rassegna giurisprudenziale

Condanna del querelante alle spese e ai danni (art. 427)

È costituzionalmente illegittimo l’art. 427 comma 1 nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell’imputato per non aver commesso il fatto, che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche quando risulti che l’attribuzione del reato all’imputato non sia ascrivibile a colpa del querelante (Corte costituzionale, sentenza 180/1993).

È costituzionalmente illegittimo l’art. 427 comma 1 nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell’imputato perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche quando risulti che l’attribuzione del reato all’imputato non sia ascrivibile a colpa del querelante (Corte costituzionale, sentenza 423/1993).

Le statuizioni di condanna alle spese e ai danni previste dall’art. 427, a seguito degli interventi della Corte costituzionale con sentenze 180/1993 e 423/1993, richiedono, anche al di fuori dell’ipotesi di cui al comma 3 del risarcimento del danno, l’accertamento della colpa del querelante.

Nel caso di detto risarcimento del danno la colpa deve essere grave, cioè connotata da un grado di trascuratezza assai elevato, di modo che non si sia avvertita l’ingiustizia della pretesa ancorché essa appaia palese a chi valuti i fatti con un minimo di ponderazione (Sez. 1, 16327/2018).

L’erronea qualificazione giuridica dell’atto da parte del privato come querela anziché, più correttamente, come denuncia, in relazione a reato procedibile d’ufficio, non determina la condanna di quest’ultimo alle spese e ai danni in caso di sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione dell’imputato con le formule previste dagli artt. 427 e 542, in quanto tali disposizioni si riferiscono esclusivamente alla figura del querelante.

Non assume rilevanza la costituzione di parte civile del denunciante che, a differenza di quanto previsto per l’ipotesi del querelante, costituitosi parte civile, non è causa di condanna al pagamento delle spese processuali (Sez. 3, 46779/2011).

A norma dell’art. 427, comma 2, nei casi di proscioglimento perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso da reati procedibili a querela, il querelante è condannato alla rifusione delle spese sostenute dall’imputato quando ne è stata fatta domanda. Per i reati perseguibili a querela, dunque, la possibilità del giudice di condannare il querelante alle sanzioni civili (spese e risarcimento del danno) in favore dell’imputato assolto è sempre subordinata a una domanda dello stesso imputato, alla cui mancanza non può supplire neanche una richiesta del PM e tale condanna, inoltre, deve essere preceduta dall’accertamento e, quindi, da un motivato giudizio sull’esistenza dell’elemento della colpa nell’esercizio del diritto di querela (Sez. 5, 19234/2014).

La colpa grave necessaria per la condanna del querelante alle sanzioni civili deve concretarsi in una trascuratezza del più alto grado e consiste nel non avvertire l’ingiustizia di una pretesa (Sez. 5, 31728/2004).

Per i reati perseguibili a querela è prevista, nei casi di assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso, la condanna del querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato, nonché alla rifusione delle spese ed al risarcimento del danno in favore dell’imputato e del responsabile civile, nel caso in cui ne sussistano le condizioni (art. 542 che richiama l’art. 427).

E tuttavia, nel caso in cui nelle more del procedimento sopraggiunga il decesso del querelante, come avvenuto nel caso in esame, tale condanna non può essere disposta.

Ciò non solo, ovviamente, a carico del querelante deceduto, ma neanche a carico dei suoi eredi, posto che il principio della trasmissione dell’obbligazione agli eredi opera solo nel caso in cui l’obbligazione sia giuridicamente esistente; il che non si verifica allorché il decesso del querelante preceda la sentenza assolutoria.

L’obbligo di risarcire il danno, invero, e di rifondere le spese, così come quello di pagare le spese anticipate dallo Stato, sorgono soltanto con la pronuncia della relativa condanna ad opera del giudice; condanna che non può essere emessa, per difetto di regolare contraddittorio, nei confronti di soggetto che, in conseguenza della morte sopravvenuta, più non riveste la qualità di parte nel processo.

Così come non può essere emessa una condanna a carico degli eredi del querelante, a loro volta rimasti del tutto estranei al processo; né essi potrebbero essere coinvolti nel rapporto processuale non riscontrandosi in seno al procedimento penale l’esistenza di un istituto analogo a quello che, nel rito civile, consente la riassunzione nei confronti degli aventi causa della parte deceduta (Sez. 4, 43162/2013).