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Art. 578 - Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale (1)

1. La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni.

2. A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni ventuno. 3. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi.

4. Non si applicano le aggravanti stabilite dall'articolo 61 del codice penale.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 2, L. 442/1981.

Rassegna di giurisprudenza

L'integrazione della fattispecie criminosa di infanticidio non richiede che la situazione di abbandono materiale e morale rivesta un carattere di oggettiva assolutezza, trattandosi di un elemento oggetto da leggere in chiave soggettiva, in quanto è sufficiente anche la percezione di totale abbandono avvertita dalla donna nell'ambito di una complessa esperienza emotiva e mentale quale quella che accompagna la gravidanza e poi il parto (Sez. 1, 40993/2010).

Per la configurabilità del reato di infanticidio di cui all'art. 578 è necessario che la madre sia lasciata in balia di se stessa, senza alcuna assistenza e nel completo disinteresse dei familiari, in modo che venga a trovarsi in uno stato di isolamento totale che non lasci prevedere alcuna forma di soccorso o di aiuto finalizzati alla sopravvivenza del neonato (nel caso di specie, la Corte di cassazione ha ritenuto corretta la qualificazione come omicidio volontario della condotta della madre, che, nonostante fosse assistita anche economicamente da un genitore e potesse inoltre contare sull'aiuto di altri parenti, dopo aver occultato la gravidanza, aveva causato la morte del neonato) (Sez. 1, 24903/2007).

La fattispecie criminosa delineata dall'art. 578 postula uno stato di abbandono della madre inteso non come fatto contingente legato al momento culminante della gravidanza, bensì come condizione di vita, che si sostanzia nell'isolamento materiale e morale della donna dal contesto familiare e sociale (situazione d'indigenza e difetto di assistenza pubblica e privata; solitudine causata da insanabili contrasti con parenti e amici e conseguente allontanamento spontaneo o coatto, dal nucleo originario di appartenenza, e così via) produttivo di un profondo turbamento spirituale, che si aggrava grandemente, sfociando in una vera e propria alterazione della coscienza, in molte partorienti immuni da processi morbosi mentali e tuttavia coinvolte psichicamente al punto da smarrire almeno in parte il lume della ragione (Sez. 1, 1387/2000).

Il delitto di cui all'art. 578 nella sua attuale formulazione dopo la modifica intervenuta con l'art. 2, L. 442/1981, si differenzia da quello di omicidio ex art. 575 perché richiede non solo che la morte del neonato sia stata cagionata «immediatamente dopo il parto», ma anche che il fatto sia stato determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto» (avendo il legislatore abbandonato la precedente ragione dell'incriminazione speciale consistente nel fine di salvare l'onore proprio e di un prossimo congiunto).

Le suddette condizioni devono sussistere congiuntamente, cioè le une e le altre; devono esistere oggettivamente e non essere soltanto semplicemente supposte; infine devono essere connesse al parto, nel senso che, in conseguenza della loro oggettiva esistenza, la madre ritenga di non poter assicurare la sopravvivenza del figlio subito dopo il parto (Sez. 5, 7756/1994).

Lo stato di abbandono materiale e morale in cui deve versare il colpevole del reato di infanticidio non è ontologicamente incompatibile con la presenza nel territorio, ove il parto si verifica, di strutture socio-sanitarie idonee, sempreché l'agente si trovi nelle condizioni sociali e culturali di utilizzare detti sussidi, secondo una valutazione da compiersi in concreto da parte del giudice di merito, con un giudizio insindacabile in sede di legittimità ove risulti correttamente motivato ed immune da vizi logici (Sez. 1, 8489/1992).