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Art. 577 - Altre circostanze aggravanti. Ergastolo

1. Si applica la pena dell'ergastolo se il fatto preveduto dall'articolo 575 è commesso:

1) contro l'ascendente o il discendente;

2) col mezzo di sostanze venefiche, ovvero con un altro mezzo insidioso;

3) con premeditazione;

4) col concorso di taluna delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell'articolo 61.

2. La pena è della reclusione da ventiquattro a trenta anni, se il fatto è commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo, o contro un affine in linea retta.

Rassegna di giurisprudenza

Premeditazione

Elementi costitutivi della circostanza aggravante della sono un apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunità del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuità nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica), dovendosi escludere la suddetta aggravante solo quando l'occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, tale cioè da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione del reato (Sez. 5, 42576/2015).

Non osta alla configurabilità dell'aggravante della premeditazione il fatto che il soggetto agente abbia condizionato l'attuazione del proposito criminoso alla mancata verificazione di un evento ad opera della vittima, quando la condizione risolutiva si pone come un avvenimento previsto, atto a far recedere la più precisa e ferma risoluzione criminosa del reo (Sez. 1, 19974/2013).

In tema di omicidio volontario, non è sicuro indice rivelatore della premeditazione, che si sostanzia in una deliberazione criminosa coltivata nel tempo e mai abbandonata, l'intervallo di una notte tra la preparazione e l'esecuzione, sì come non possono trarsi elementi di certezza della predisposizione di un agguato, perché quest'ultima attiene alla realizzazione del delitto e non è sufficiente a dimostrare l'esistenza di quel processo psicologico di intensa riflessione e di fredda determinazione che caratterizza la indicata circostanza aggravante (Sez. 1, 47250/2011).

Elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunità del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuità nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica) (SU, 337/2009).

In tema di omicidio volontario, l'agguato costituisce una modalità di esecuzione del delitto e può assumere rilevanza probatoria ai fini dell'aggravante della premeditazione quando dimostri che il delitto è stato deliberato in un arco di tempo apprezzabile in concreto e sufficiente a far riflettere l'agente sulla decisione presa (Sez. 1, 24733/2004).

 

Fatto commesso in danno del coniuge

Ai fini della configurabilità dell'aggravante del rapporto di «coniugio», prevista dall'art. 577, anche in relazione all'art. 585, è ininfluente l'eventuale sussistenza del regime di separazione legale fra i due coniugi, regime che attenua il complesso degli obblighi nascenti dal matrimonio, eliminando seguentemente quello della coabitazione, ma non toglie lo status di coniuge, con i corrispondenti obblighi personali e permanenti che lo costituiscono, status che si perde solo con lo scioglimento del matrimonio (Sez. 1, 42462/2006).

 

Motivi abietti o futili

I motivi abietti e futili coesistono allorché il delitto sia, contemporaneamente, espressione di un impulso sproporzionato alla causa scatenante e tale da costituire un mero pretesto di uno sfogo violento e di una ragione spregevole (Sez. 5, 40090/2018).

L'aggravante dei motivi futili sussiste solo ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento (Sez. 5, 38377/2017).

I motivi abietti e futili coesistono allorché il delitto sia, contemporaneamente, espressione di un impulso sproporzionato alla causa scatenante e tale da costituire un mero pretesto di uno sfogo violento e di una ragione spregevole (Sez. 5, 40090/2018).

Allorché siano contestate, in relazione al medesimo reato, le circostanze aggravanti di aver agito sia al fine di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso, sia per motivi abietti, le due circostanze concorrono se quella comune, nei termini fattuali della contestazione e dell'accertamento giudiziale, risulta autonomamente caratterizzata da un quid pluris rispetto alla finalità di consolidamento del prestigio e del predominio sul territorio del gruppo malavitoso (SU, 337/2009, ripresa da Sez. 1, 56411/2018).

Il giudizio sui motivi abietti o futili, che integrano la circostanza aggravante di cui all'art. 61, comma 1, n. 1, non può essere riferito ad un comportamento medio, attesa la difficoltà di definire i contorni di un simile astratto modello di agire, ma va ancorato agli elementi concreti, tenendo conto delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, del contesto sociale, del particolare momento e delle condizioni in cui il fatto si è verificato, nonché dei fattori ambientali che possono avere condizionato la condotta criminosa.

Per valutare la futilità del motivo, pertanto, deve tenersi conto non solo della coscienza collettiva, ma anche dell'ambiente in cui il reo vive ed opera, dovendosi indagare se, in relazione all'una ed all'altro, il movente possa considerarsi come un pretesto per lo sfogo degli istinti delittuosi o sia tale da realizzare, invece, una sufficiente spinta al reato (Sez. 5, 36892/2017).

 

Sevizie e crudeltà

L'aggravante dell'aver agito con crudeltà e sevizie sussiste nella condotta di chi infierisce lungamente e rabbiosamente sulla vittima sino a massacrarla, eccedendo nei limiti della normalità causale essendo irrilevante che la vittima abbia potuto o meno percepire la natura afflittiva degli atti di crudeltà. Più volte si è evidenziato come la circostanza aggravante in questione, caratterizzata da una condotta eccedente rispetto alla normalità causale, che determina sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore specialmente riprovevole, deve essere accertata alla stregua delle modalità della condotta e di tutte le circostanze del caso concreto, comprese quelle afferenti al dolo (Sez. 1, 20185/2018).

Nella circostanza aggravante di cui all'art. 61, primo comma, n. 4, per "sevizie" deve intendersi una condotta studiata e specificamente finalizzata a cagionare sofferenze ulteriori e gratuite, rispetto alla "normalità causale" del delitto perpetrato; si ha invece "crudeltà" quando l'inflizione di un male aggiuntivo, che denota la spietatezza della volontà illecita manifestata dall'agente, non è frutto di una sua scelta operativa preordinata (SU, 40516/2016).

Il dolo d'impeto, designando un dato meramente cronologico consistente nella repentina esecuzione di un proposito criminoso improvvisamente insorto, è incompatibile con la circostanza aggravante della crudeltà di cui all'art. 61, primo comma, n. 4 (SU, 40516/2016).

In tema di omicidio, l'aggravante di aver agito con crudeltà non può ravvisarsi nella mera reiterazione di colpi di coltello inferti alla vittima, se tale azione, che è connessa alla natura del mezzo usato per conseguire l'effetto delittuoso, non eccede i limiti della normalità causale e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza (Sez. 1, 33021/2012).

La circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio dall'art. 577, comma primo, n. 4, nella forma dell'aver adoperato sevizie o agito con crudeltà verso le persone, ha natura soggettiva e ricorre quando le modalità della condotta 'esecutiva del reato evidenzino la volontà di infliggere alla vittima patimenti esuberanti il normale processo causale di produzione dell'evento ed estrinsechino un "quid pluris" rispetto all'attività richiesta per la consumazione del reato stesso; in tali casi la punizione in termini più severi trova giustificazione nella particolare riprovevolezza del contegno del soggetto agente, improntato a malvagità ed a provocare patimenti gratuiti e superflui rispetto a quanto richiesto per cagionare la morte, nonché rivelatore dell'assenza di qualsiasi pietà umana (Sez. 1, 30285/2011).

Vanno ricomprese nel concetto di crudeltà tutte le manifestazioni che denotano, durante l'iter criminoso, l'ansia dell'agente di appagare la propria volontà di arrecare dolore (Sez. 1, 1894/1996).

L'azione crudele, essendo qualificata dalla particolare intensità del dolo e dall'assenza di sentimenti di pietà verso gli altri, sfugge a qualsiasi automatismo che pretenda di ravvisarla in ogni caso in cui sia inferto un numero predeterminato in astratto di colpi; deve, al contrario, riconoscersi dalle modalità operative e dal concreto comportamento dell'agente, che risulti sul piano volitivo ed effettuale spietato ed insensibile, secondo la testuale formulazione della norma (Sez. 1, 2960/1997).

La natura soggettiva della circostanza aggravante prevista per il delitto di omicidio dall'art. 577, comma primo, n. 4 (aver commesso il fatto per motivi abietti o futili ovvero adoperando sevizie o agendo con crudeltà verso le persone) non preclude la sua estensione al concorrente che, con il proprio volontario contributo, abbia dato adesione alla realizzazione dell'evento, rappresentandosi e condividendo gli sviluppi dell'azione esecutiva posta in essere dall'autore materiale del delitto e, perciò, maturando e facendo propria la particolare intensità del dolo che abbia assistito quest'ultima (nella specie è stata ritenuta sussistente la circostanza in discorso nel fatto di chi, presente alla selvaggia aggressione della vittima, ne abbia impedito la fuga, riportandola di peso nel luogo in cui era stata proditoriamente attirata e aggredita, e nelle mani dell'aggressore, visibilmente in preda a un'incontenibile furia omicida, sul rilievo che tale condotta non può non significare, secondo una logica applicazione del criterio di imputazione disciplinato dagli artt. 59, comma secondo, e 118, la piena consapevolezza delle spietate modalità con cui l'aggressore avrebbe proseguito nell'azione delittuosa) (Sez. 1, 6775/2005).

 

Fatto insidioso

Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante prevista dall'art. 577, comma 1, n. 2, l'espressione “mezzo insidioso” indica quello che, per la sua natura ingannevole o per il modo e le circostanze che ne accompagnano l'uso, reca in sé un pericolo nascosto, tale da sorprendere l'attenzione della vittima e rendere alla stessa impossibile, o comunque più difficile che di fronte ad ogni altro mezzo, la difesa (Sez. 2, 29921/2002).