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Art. 586 - Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto

1. Quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell'articolo 83, ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate.

Rassegna di giurisprudenza

Elementi strutturali

L'unica interpretazione conforme al principio costituzionale di colpevolezza è quella che richiede, anche nella fattispecie dell'art. 586, una responsabilità per colpa in concreto, ossia ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità, in concreto e non in astratto, del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell'incolumità personale, intrinseca alla consumazione del reato doloso di base. La circostanza che l'agente reale versi in un ambito di illiceità, dunque, non influenza la fisionomia della colpa ed il procedimento di individuazione dell'omologo agente modello.

Ovviamente, si dovrà fare riferimento non già alla condotta di un ipotetico "delinquente modello", bensì alla condotta che ci si poteva ragionevolmente attendere, in relazione all'evento non voluto, da un individuo medio e razionale, posto nella medesima situazione in cui si è trovato l'agente reale. Anche in ambito illecito, pertanto, occorre pur sempre che il fatto costitutivo del reato colposo sia una conseguenza in concreto prevedibile ed evitabile dell'inosservanza di una regola cautelare (SU, 22676/2009).

L'art. 586 contempla una speciale ipotesi di aberratio delicti plurilesiva, caratterizzata dalla natura del reato base che deve essere un delitto e dal tipo di offesa, non voluta, consistente nella morte o nelle lesioni personali. Tali eventi debbono costituire una conseguenza della condotta priva di ogni atteggiamento volitivo pur nel grado minimo del dolo eventuale, altrimenti l'agente risponderebbe del delitto di omicidio volontario o di lesioni volontarie, in concorso con l'altro delitto all'inizio oggetto di rappresentazione con dolo diretto.

Oltre a quanto sopra e al nesso causale fra la condotta e il fatto diverso in assenza di cesure per sopravvenuti fattori eccezionali, affinché possa aversi l'aberratio delicti di cui trattasi occorre un certo coefficiente di «prevedibilità» della morte o delle lesioni a seguito della violazione di regole precauzionali, che non siano meramente sovrapponibili al precetto normativo penale la cui contravvenzione comporta in sé la commissione del reato base secondo quanto voluto dall'agente; fermo restando che le valutazioni in tema di prevedibilità vanno riferite al punto di vista dell'agente modello razionale, tenendo conto però delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale (Sez. 1, 57973/2018).

Nel rispetto del principio di colpevolezza, escluso che la disposizione di cui all'art. 586 configuri una ipotesi di responsabilità oggettiva, si è affermato che in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell'assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale (Sez. 6, 49573/2018).

 

Rapporti con altre fattispecie

Il delitto previsto dall'art. 586 (morte come conseguenza di altro delitto) si differenzia dall'omicidio preterintenzionale perché, nel primo reato, l'attività del colpevole è diretta a realizzare un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni personali, mentre, nel secondo, l'attività è finalizzata a realizzare un evento che, ove non si verificasse la morte, costituirebbe un reato di percosse o lesioni (Sez. 5, 23606/2018).

In sostanza, nel delitto di cui all'art. 586 l'agente vuole ledere un bene giuridico che non appartiene, come nel delitto preterintenzionale, allo stesso genere di interessi giuridici tutelati (incolumità, vita) che si distinguono, come tali, solo per la gravità, per la progressione dell'offesa. Nel delitto di cui all'art. 586 viene offeso un bene giuridico completamente diverso e viene conseguentemente commesso un delitto di diversa specie (Sez. 5, 13192/2019).

L'art. 584 concerne ipotesi di reato ben diversa da quella disciplinata dall'art. 586, perché nella preterintenzionalità è necessario che la lesione si riferisca allo stesso genere di interessi giuridici - incolumità delle persone-, mentre nella seconda ipotesi la morte o la lesione debbono essere conseguenza di un delitto doloso diverso. Nel caso previsto dall'art. 586 il delitto dal quale deriva poi la morte della vittima non è costituito, all'evidenza, né da quello di cui all'art. 581, né da quello di cui all'art. 582. L'omicidio preterintenzionale, invece, costituisce una ipotesi a sé, in cui tra la condotta di lesioni o percosse e la morte della vittima sussiste una stretta relazione, non solo eziologica, ma anche funzionale.

Secondo una precisa scelta legislativa la violazione del principio del neminem laedere si estende fino a coprire gli eventuali sviluppi che l'aggressione alla sfera fisica della vittima possa aver cagionato. Ciò in quanto la lesione dell'integrità fisica altrui può comunque avere una progressione che conduce addirittura alla morte della persona aggredita. In altre parole è lo stesso legislatore che indica come prevedibile la morte della vittima, quando verso la stessa sia indirizzata l'attività di aggressione fisica dell'agente, nella prospettiva di assicurare una tutela particolarmente avanzata alla vita umana.

In buona sostanza, la valutazione relativa alla prevedibilità dell'evento da cui dipende l'esistenza del delitto de quo è nella stessa legge, come si desume dalla lettera degli artt. 43 e 584, essendo assolutamente probabile che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa. In tema di omicidio preterintenzionale va dunque esclusa la necessità di ricondurre l'evento morte all'area della colpa (Sez. 5, 55858/2018).

Si configura il delitto di omicidio volontario - e non quello di omicidio preterintenzionale - qualora la condotta dell'agente, alla stregua delle regole di comune esperienza, dimostri la consapevole accettazione da parte del medesimo anche solo dell'eventualità che dal suo comportamento possa in concreto derivare la morte del soggetto passivo. Il delitto di omicidio preterintenzionale è caratterizzato dalla totale assenza di volontà omicida (nella forma diretta o indiretta) e l'atteggiamento doloso si dirige solo verso i fatti di lesioni o percosse, risultando la condotta, secondo lo stesso linguaggio normativo, e rispetto all'evento morte, oltre l'intenzione dell'agente.

L'evento morte è pertanto fuori dall'oggetto del dolo e non deve rientrarvi neppure come mera accettazione del rischio relativo. Il delitto previsto dall'art. 586 (morte come conseguenza di altro delitto) si differenzia, contrariamente, dall'omicidio preterintenzionale, poiché nella fattispecie di cui all'art. 586 l'azione è diretta a realizzare un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni personali, mentre nel secondo l'attività è finalizzata a realizzare un evento che, ove non si verificasse la morte, costituirebbe reato di percosse o lesioni (Sez. 5, 23606/2018).

Si tratta, allora, di un'ipotesi di aberratio in cui il delitto doloso cui è diretta la volontà dell'agente può essere qualsiasi fatto ad eccezione di quelli di percosse o lesioni, morte o lesioni che, anche in questo caso, derivano dalla condotta dell'agente come conseguenza non voluta (neppur indirettamente) (Sez. 1, 5540/2019).

Per un verso l'art. 593 (omissione di soccorso) non può concorrere con il reato di cui all'art. 586 in quanto l'evento letale, già posto a carico dell'agente quale autore di un reato di danno, non può essere addebitato allo stesso anche quale conseguenza di un reato di pericolo. Per altro verso l'art. 593 non potrà mai costituire il reato-base dell'art. 586 per la semplice ragione che l'omissione di soccorso è un reato aggravato dall'evento: se dalla condotta del colpevole deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di una persona, la pena è raddoppiata ex art. 593 terzo comma (Sez. 5, 2683/2019).

 

Casistica

Allorquando viene commessa una rapina, che abbia come sviluppo non voluto la morte di una persona, viene senz'altro integrato il presupposto del delitto di cui all'art. 584, ponendosi l'evento morte in progressione criminosa con la violenza esercitata per impossessarsi del bene altrui, la quale, se assume la meno grave connotazione delle percosse, è assorbita nel reato complesso di rapina (Sez. 5, 13192/2019).

L'art. 584 si riferisce ad "atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli artt. 581 e 582" e la circostanza che tali delitti possano essere eventualmente assorbiti da quello più grave di rapina non può portare all'assurdo ed irragionevole risultato di far escludere in relazione al verificarsi di quest'ultima, pur comprensiva e più grave dei predetti, la fattispecie dell'omicidio preterintenzionale (Sez. 5, 44751/2008).

È integrata la fattispecie di cui all'art. 586 allorché, in una piazza in cui sono convenute migliaia di persone, i soggetti agenti, animati dallo scopo di commettere plurime rapine pluriaggravate, impieghino spray al peperoncino contro alcuni spettatori e provochino spostamenti di folla progressivamente più intensi dovuti al timore di restare vittime di un attentato terroristico, in esito ai quali una persona rimanga travolta e perda la vita (Sez. 5, 55881/2018).

Ricorre il nesso di causalità tra delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e morte di alcuni migranti allorché costoro siano stati trasportati in condizioni tali da metterne in pericolo la loro vita o la loro incolumità allo scopo di procurarne l'ingresso illegale nel territorio nazionale (Sez. 1, 3345/2015).

Poiché ai fini dell'integrazione dell'ipotesi criminosa prevista dall'art. 586, è sufficiente che la morte e le lesioni derivino dalla condotta complessivamente realizzata dall'agente per la realizzazione del reato-base, non è necessario - nel caso di concorso di più persone nella realizzazione del fatto doloso-base - stabilire, in concreto, se l'evento ulteriore sia conseguenza della specifica condotta realizzata da ciascuno dei compartecipi al fatto doloso.

Difatti, ciò resta escluso dalla considerazione che, in tema di concorso di persone nel reato, poiché la nostra legislazione ha recepito la cosiddetta teoria monistica, l'azione si considera unica, anche se ad essa hanno concorso le condotte di più persone, e ciascun concorrente risponde, come di azione propria, non solo degli atti da lui personalmente compiuti, ma anche di quelli compiuti dai correi, nell'ambito dell'impresa concordata (Sez. 1, 48290/2018).

In tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell'assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale (Sez. 3, 41462/2012).