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Art. 591 - Abbandono di persone minori o incapaci

1. Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

2. Alla stessa pena soggiace chi abbandona all'estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro.

3. La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte.

4. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.

Rassegna di giurisprudenza

Il reato di abbandono di persone minori o incapaci sanziona la violazione di uno specifico dovere giuridico di cura o di custodia, che incombe su determinate persone o categorie di persone, da cui derivi una situazione di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo (Sez. 5, 12644/2016).

Ai fini della realizzazione del delitto di cui all'art. 591, il necessario "abbandono" è integrato da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo, sicchè ne risponde colui che, pur non allontanandosi dal soggetto passivo, ometta di far intervenire persone idonee ad evitare il pericolo stesso( Sez. 2, 10994/2013).

Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 591 (abbandono di persone minori o incapaci) è necessario accertare in concreto, salvo che si tratti di minore di anni quattordici, l'incapacità del soggetto passivo di provvedere a se stesso. Ne consegue che non vi è presunzione assoluta di incapacità per vecchiaia la quale non è una condizione patologica ma fisiologica che deve essere accertata concretamente quale possibile causa di inettitudine fisica o mentale all'adeguato controllo di ordinarie situazioni di pericolo per l'incolumità propria. Ne consegue, altresì, che il dovere di cura e di custodia deve essere raccordato con la capacità, ove sussista, di autodeterminazione del soggetto anziano. Occorre altresì, con riferimento all'elemento materiale del reato, accertare che in concreto si siano verificate situazioni pregiudizievoli, per i singoli anziani incapaci di provvedere a se stessi, in quanto implicanti uno stato di pericolo, pur a livello potenziale (Sez. 5, 6885/1999).

In tema di abbandono di persone minori o incapaci (art. 591), il dovere di custodia implica una relazione tra l'agente e la persona offesa che può sorgere non solo da obblighi giuridici formali, ma anche da una spontanea assunzione da parte del soggetto attivo nonché dall'esistenza di una mera situazione di fatto, tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di disponibilità e di controllo dell'agente, in ciò differenziandosi dal dovere di cura, che ha invece unicamente ad oggetto relazioni scaturenti da valide fonti giuridiche formali (Sez. 5, 19448/2016).

La norma dell'art. 591 tutela il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo. In questa prospettiva, nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene e che si desumono dalle norme giuridiche di qualsivoglia natura, da convenzioni di natura pubblica o privata, da regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte. Ad ogni situazione che esige detta protezione fa riscontro uno stato di pericolo che esige un pieno attivarsi, sicché ogni abbandono diventa pericoloso e l'interesse risulta violato quando la derelizione sia anche solo relativa o parziale (Sez. 5, 290/1994).

La dottrina, sul tema della individuazione delle fonti del dovere giuridico di custodia e di cura, ha assunto posizioni discordanti, e ciò proprio in ragione della diversità di valutazioni in ordine al profilo della custodia e a quello della cura. Da un lato, è stato autorevolmente affermato che la custodia e la cura debbono fondarsi su uno specifico obbligo giuridico (non soltanto morale) che può essere originario o derivativo, in quanto può trovare la sua fonte : a) nella legge (o atti equivalenti) extrapenale (così, per genitori, tutori e maestri); b) nel contratto che fonda pur sempre la sua forza nella legge ai sensi dell'art. 1372 CC e che può essere tipico (così nei casi degli affidatari dietro contratto d'opera : bambinaia, guida alpina, infermiere, medico etc.) o atipico (così, nel caso di accettazione da parte di un vicino di casa di occuparsi momentaneamente di una persona anziana non autosufficiente a lui affidata). Dall'altro, è stato altresì precisato in dottrina che il legislatore individua il presupposto della condotta tipica del reato in esame nell'esistenza di una posizione di garanzia che si articola a sua volta in un dovere di cura o in un rapporto di custodia.

Dunque, sia il rapporto di custodia che quello di cura derivano da un obbligo giuridico, cioè imposto dalla legge ovvero da una convenzione privata, con la precisazione tuttavia che, mentre per la custodia si ha riguardo al dovere anche temporaneo esistente al momento dell'abbandono, per la cura è richiesto un preesistente dovere di assistenza, rilevante anche ove, in concreto, non abbia trovato attuazione. 2.1.5 Altri autori non ritengono invece necessario che la relazione di cura e dì custodia nasca da un obbligo giuridico di carattere formale, poiché si parla in tal caso di "obblighi di fatto" o di "stato di fatto creato dal soggetto attivo" o una "negotiorum gestio".

Ciò detto, osserva la Corte che, in base al tenore letterale dell'art. 591, 1 comma, se la relazione di cura può scaturire solo da un dovere giuridico (detto altrimenti, il soggetto attivo "deve" avere cura del soggetto passivo), la relazione di custodia può invece sorgere anche da una situazione di fatto (qui il soggetto attivo "ha" la custodia del soggetto passivo). Mentre la relazione di cura è una relazione necessariamente giuridica che deve scaturire da una valida fonte giuridica formale (legge o contratto) precedente all'espletamento della prestazione di assistenza, quella di custodia è una relazione anche di fatto purché sia attuale e effettivamente sussistente al momento dell'abbandono, senza che rilevi la fonte dalla quale essa è sorta.

Del resto, anche semanticamente occorre puntualizzare che con il termine "custodia" - riferibile prevalentemente a soggetti minori d'età ovvero agli anziani non autosufficienti - si deve intendere una sorveglianza diretta ed immediata, mentre la nozione di "cura" si riferisce invece a soggetti adulti di regola capaci di provvedere a loro stessi ma che versano in concreto, per ragioni contingenti, in situazioni di debolezza o di pericolo (ad esempio un alpinista inesperto affidato alla cura di una guida alpina) e che pertanto necessitano di prestazioni e di cautele protettive.

Deve pertanto ritenersi che la relazione di custodia potrà sorgere non solo per l'adempimento di un obbligo giuridico formale, ma anche per spontanea assunzione da parte del soggetto agente o per effetto di una mera situazione di fatto tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di controllo e di disponibilità del soggetto attivo. Peraltro, accedendo ad una esegesi sistematica delle norme in esame, può anche ritenersi che il soggetto attivo del delitto di abbandono ex art. 591 possa essere accostato al soggetto attivo dei reati omissivi impropri di cui al secondo comma dell'art. 40, con la possibilità di richiamare anche qui quella interpretazione giurisprudenziale sulla nozione di "posizione di garanzia" formatasi negli ultimi anni e che individua tra le fonti della detta posizione anche il cd. "contatto sociale" (Sez. 5, 19448/2016).

Nel reato di abbandono di persona minore o incapace ex art. 591, l'elemento materiale è costituito da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche potenziale, per l'incolumità della persona (Sez. 5, 10126/1996).

Sussiste il reato di cui all'art. 591 ove gli incapaci di cui l'imputato abbia la custodia, o di cui debba avere cura, siano lasciati in balia di se stessi o di personale inidoneo (Sez. 5, 3905/1990).

Il dolo del delitto di cui all'art. 591 è generico e consiste nella coscienza di abbandonare a sé stesso il soggetto passivo, che non abbia la capacità di provvedere alle proprie esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica di cui si abbia l'esatta percezione, senza che occorra la sussistenza di un particolare malanimo da parte del reo. Peraltro, va anche precisato che - ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto d'abbandono di persone minori - rileva esclusivamente la volontà dell'abbandono, sicché il dolo non è escluso dal fatto che chi ha l'obbligo di custodia ritenga il minore o l'incapace in grado di badare a se stesso (Sez. 5, 19448/2016).

Il delitto di abbandono di persone minori o incapaci, previsto dall'articolo 591, è pacificamente considerato dalla dottrina un reato proprio, che può essere commesso solamente da parte di un soggetto che riveste una posizione di garanzia nei confronti del soggetto passivo, sia esso un minore o un incapace.

Ciò perché la condotta consiste nell'abbandono della vittima, cioè nella volontaria sottrazione anche solo parziale o temporanea dai propri obblighi di custodia o di cura, nella consapevolezza della esposizione a pericolo della vita o dell'incolumità individuale del soggetto incapace di attendervi da solo. In punto di diritto è rigoroso l'orientamento interpretativo secondo il quale la fattispecie penale tutela, non già il rispetto dell'obbligo legale di assistenza in sè considerato, quanto il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo che non deve necessariamente essersi realizzato e la condotta di "abbandono" resta integrata da qualunque azione od omissione, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o per l'incolumità del soggetto passivo. Risponde, pertanto, del delitto in questione il soggetto che, pur non allontanandosi dal soggetto passivo, ometta di far intervenire persone idonee ad evitare il pericolo stesso (Sez. 5, 7974/2016).

Con riferimento al delitto di cui all'art. 591 si è affermato che nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene: rilevano a tale scopo norme giuridiche di qualsivoglia natura, convenzioni di natura pubblica o privata, regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte. Ad ogni situazione che esige detta protezione fa riscontro uno stato di pericolo che esige un pieno attivarsi, sicché ogni abbandono diventa pericoloso e l'interesse risulta violato quando la derelizione sia anche solo relativa o parziale (Sez. 5, 290/1994).

Pur avendo un dovere di relazionare periodicamente (secondo la cadenza temporale stabilita dal giudice) sull'attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario, il compito dell'amministratore di sostegno resta fondamentalmente quello di assistere la persona nella gestione dei propri interessi patrimoniali e non anche la "cura della persona", poiché l'art. 357 CC, che indica tale funzione a proposito del tutore, non rientra tra le disposizioni richiamate dall'art. 411 tra le "norme applicabili all'amministrazione di sostegno".

Ciò significa che, in mancanza di apposite previsioni nel decreto di nomina (che, nella prospettiva di particolare duttilità dell'istituto, definisce in concreto i poteri e dunque anche gli obblighi dell'amministratore, individuando, in relazione alla specificità della situazione e delle esigenze del soggetto amministrato, gli atti che l'amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto di quest'ultimo e quelli che costui può compiere solo con l'assistenza dell'amministratore), l'amministratore di sostegno non assume una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale del soggetto incapace e non può essere quindi chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 591 (Sez. 5, 7974/2016).