x

x

Art. 374-bis - False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale (1) (3)

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque dichiara o attesta falsamente in certificati o atti destinati a essere prodotti all’autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale condizioni, qualità personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro in essere o da instaurare, relativi all’imputato, al condannato o alla persona sottoposta a procedimento di prevenzione (2).

2. Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di un pubblico servizio o da un esercente la professione sanitaria (3).

(1) Rubrica così modificata dall’art. 10, comma 7, lett. b), L. 237/2012.

(2) Comma così modificato dall’art. 10, comma 7, lett. a), L. 237/2012.

(3) Articolo aggiunto dall’art. 11, comma terzo, DL 306/1992 convertito con L. 356/1992.

Rassegna di giurisprudenza

Non è legittimato a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione colui che ha presentato denuncia per il reato di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’AG, previsto dall’art. 374-bis, trattandosi di fattispecie incriminatrice lesiva dell’interesse della collettività al corretto funzionamento della giustizia, relativamente al quale l’interesse del privato assume un rilievo solo riflesso e mediato, tale da non consentire l’attribuzione della qualità di persona offesa, ma solo quella di persona danneggiata dal reato (Sez. 6, 22510/2011).

Il reato di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, previsto dall’art. 374-bis, sanziona una pluralità di condotte tutte rientranti nello schema della falsità ideologica, dovendo escludersi che vi siano ricomprese anche ipotesi di falsità materiale (nel caso di specie, la Corte non ha ritenuto configurabile il reato di cui all’art. 374-bis, bensì quello di falsità materiale, in relazione alla formazione e produzione in giudizio di un falso certificato di morte, grazie al quale l’imputato aveva ottenuto la declaratoria di estinzione del reato) (Sez. 6, 30193/2006).

Il reato di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, previsto dall’art. 374-bis, si riferisce a due specifiche attività documentative (“dichiarare” e “attestare”) e a due specie di documenti (“certificati” e “atti”). Con il certificato si dichiarano dati, fatti e situazioni, di cui si ha cognizione aliunde; con l’atto si attestano fatti compiuti da chi attesta o avvenuti in sua presenza ovvero dichiarazioni da lui ricevute. In entrambi i casi, l’attività è di natura documentativa (Sez. 6, 1749/1999). Questa pluralità di condotte rientra esclusivamente nello schema della falsità ideologica e rileva la idoneità degli atti o dei documenti a adempiere alla funzione probatoria da essi concretamente svolta (Sez. 6, 23547/2016).

Il reato può essere integrato anche quando l’attività di documentazione non veridica rilevante nel procedimento penale e non proveniente da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, si riferisca a “condizioni” o “qualità personali” dell’indagato, che, mancando diverse e specifiche disposizioni di segno contrario, è equiparato all’imputato ex art. 61, comma 2, CPP (Sez. 6, 42767/2014). Inoltre, il reato previsto dall’art. 374-bis, incluso nel novero dei reati contro l’attività giudiziaria, è un reato di pericolo che mira a una tutela anticipata, nel senso che non richiede che l’attività attestatrice di fatti non veri destinata all’autorità giudiziaria sia effettivamente portata a conoscenza di tale autorità o raggiunga l’obiettivo di trarla in inganno (Sez. 6, 6062/2015) (Sez. 31599/2017).

Integra il delitto di false attestazioni in atti destinati all’AG una conclusione diagnostica che sia solo in apparenza frutto di un processo valutativo, mentre in realtà costituisce una concordata e deliberata alterazione dell’oggettività clinica, diretta a rappresentare la falsa esistenza degli estremi di una condizione personale utile ad ottenere indebiti benefici AG (Sez. 6, 38475/2012).

La fattispecie incriminatrice di cui all’art. 374-bis è stata infatti introdotta nel sistema allo scopo di tutelare l’esigenza di assicurare il corretto funzionamento della giustizia, in relazione, in particolare, all’emanazione di provvedimenti giurisdizionali sulla base di presupposti enucleabili da dichiarazioni provenienti da privati. La norma tende quindi a garantire la funzione probatoria di quei documenti che potrebbero condurre all’emanazione di una decisione erronea. Dunque, a differenza delle altre fattispecie di falso, la norma non tutela il documento in sé bensì la funzione probatoria esplicata in concreto dall’atto.

L’elemento oggettivo del reato si riferisce infatti all’attività di documentazione di circostanze non rispondenti al vero e richiede che la suddetta attività documentativa venga realizzata con la finalità specifica della destinazione all’autorità giudiziaria, affinché ne possano eventualmente derivare effetti favorevoli all’interessato. Trattasi dunque di un reato di pericolo, che si consuma anche a prescindere dalla presentazione della documentazione all’autorità giudiziaria e che è configurabile anche nel caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo di trarre in inganno il giudice, sussistendo, pertanto, anche laddove il magistrato abbia disposto indagini e sia pervenuto all’accertamento della falsità.

La norma richiede infatti soltanto che qualcuno abbia dichiarato, in un atto destinato all’autorità giudiziaria, una condizione, qualità personale, un trattamento terapeutico, un rapporto di lavoro in essere o da instaurare, in modo non veritiero. Ciò prescinde dalla circostanza che l’atto destinato all’autorità giudiziaria sia materialmente vero o falso. L’atto è infatti soltanto lo strumento attraverso il quale la dichiarazione ideologicamente difforme dalla realtà viene veicolata di fronte al giudice, giacché l’incriminazione ex art. 374-bis si appunta sulla dichiarazione mendace in sé, quale che sia lo strumento attraverso cui essa viene presentata al magistrato. Deve pertanto aversi riguardo, ai fini della configurabilità del reato in esame, non all’autenticità materiale dell’atto ma all’inveridicità dei suoi contenuti e all’idoneità dell’atto stesso ad adempiere alla funzione probatoria alla quale è preordinato.

Non è pertanto rilevante che l’atto contenente la dichiarazione inveridica sia materialmente vero o falso, poiché ciò che conta è che il contenuto di esso sia menzognero. E infatti, in giurisprudenza, essendosi ritenuta la possibilità di ravvisare il reato di cui all’art. 374-bis in presenza di atti materialmente falsi, si è affermata la configurabilità del concorso fra il reato in esame e quello di cui all’art. 485, oggi depenalizzato.

È vero che, in altra pronuncia, si è ritenuto che il reato previsto dall’art. 374-bis sanzioni una pluralità di condotte tutte rientranti nello schema della falsità ideologica, dovendo escludersi che vi siano ricomprese anche ipotesi di falsità materiale ma è anche vero che la fattispecie concreta, nella specie esaminata, era notevolmente diversa da quella oggetto della presente regiudicanda, concernendo non la dichiarazione apparentemente proveniente dal datore di lavoro circa l’orario del proprio dipendente ma un falso certificato di morte dell’imputato, grazie al quale quest’ultimo aveva ottenuto la declaratoria di estinzione del reato ex art. 531 CPP (Sez. 6, 23547/2016).