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Art. 374 - Frode processuale

1. Chiunque, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d’ispezione o di esperimento giudiziale , ovvero il perito nell’esecuzione di una perizia, immuta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito, qualora il fatto non sia preveduto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da uno a cinque anni (1).

2. La stessa disposizione si applica se il fatto è commesso nel corso di un procedimento penale, anche davanti alla Corte penale internazionale, o anteriormente ad esso; ma in tal caso la punibilità è esclusa, se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela , richiesta o istanza , e questa non è stata presentata (2).

(1) Comma così modificato dall’art. 1, comma 2, L. 133/2016.

(2) Comma così modificato dall’art. 10, comma 6, L. 237/2012.

Rassegna di giurisprudenza

In tema di truffa, pur non esigendosi l’identità tra la persona indotta in errore e quella che subisce conseguenze patrimoniali negative per effetto dell’induzione in errore, va esclusa la configurabilità del reato nel caso in cui il soggetto indotto in errore sia un giudice che, sulla base di una prospettazione falsa, abbia adottato un provvedimento giudiziale contenente una disposizione patrimoniale favorevole all’imputato: detto provvedimento non è, infatti, equiparabile ad un libero atto di gestione di interessi altrui, non costituendo espressione di libertà negoziale ma esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica, finalizzato all’attuazione delle norme giuridiche ed alla risoluzione dei conflitti di interessi tra le parti, con la conseguenza che gli artifici e raggiri di cui sia vittima il giudice rilevano penalmente soltanto nei casi tassativamente descritti dall’art. 374 (Sez. 2, 11969/2021).

L’art. 374 richiede una immutazione dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone «al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d’ispezione o di esperimento giudiziale ovvero il perito nella esecuzione di una perizia», mentre l’art. 374-bis richiede la falsa attestazione concernente «condizioni, qualità personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro in essere, o da instaurare, relativi all’imputato, al condannato o alla persona sottoposta a procedimento di prevenzione». Va inoltre rilevato che la giurisprudenza da lungo tempo ha consolidato il proprio orientamento contrario alla configurabilità del reato di truffa per l’induzione in errore del giudice. Precisamente, si osserva che la condotta di chi, inducendo in errore il giudice in un processo civile o amministrativo mediante artifici o raggiri, ottenga una decisione favorevole non integra il reato di truffa, per difetto dell’elemento costitutivo dell’atto di disposizione patrimoniale, anche quando è riferita all’emissione di un decreto ingiuntivo, poiché quest’ultima attività costituisce esercizio della funzione giurisdizionale (Sez. 2, 52730/2014; Sez. 6, 4026/2000, la quale ha escluso anche la configurabilità del reato di cui all’art. 374) (Sez. 6, 49563/2018).

Il reato di frode processuale presuppone che nel corso di un procedimento civile o amministrativo il soggetto agente, al fine di ingannare il giudice in un atto di ispezione o di esperimento giudiziale ovvero il perito nella esecuzione di una perizia, immuti artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone. La condotta dunque postula la pendenza del procedimento e deve correlarsi al compimento di atti specifici, connotati da una predominante natura ricognitiva, se del caso ulteriormente qualificata da cognizioni tecniche adeguate, proiettandosi finalisticamente verso l’induzione in errore del giudice o del perito in ragione di una sua oggettiva capacità decettiva. È stato al riguardo affermato che il delitto di frode processuale è reato di pericolo a consumazione anticipata che si perfeziona con la mera “immutatio loci”, purché questa si riveli idonea a trarre in inganno i soggetti destinatari della condotta fraudolenta. Non occorre dunque che si realizzi un effettivo danno per l’interesse protetto, costituito dall’interesse della collettività al corretto funzionamento della giustizia, ma è nondimeno necessario che il dolo specifico sia alimentato da una connotazione oggettiva della condotta, ravvisabile nella sua concreta idoneità offensiva. È stato dunque coerentemente affermato che l’immutazione dei luoghi integra il delitto di frode processuale ogni qual volta sia percepibile soltanto grazie ad un esame non superficiale e possa sfuggire, pertanto, al controllo di una persona non particolarmente esperta, risultando invece irrilevante solo quando la stessa sia talmente grossolana e così agevolmente percepibile a prima vista, da escludere qualsiasi potenzialità ingannatoria (Sez. 6, 5196/2018).

Per la fattispecie di frode, la potenzialità ingannatoria della condotta dell’agente per immutazione di luoghi, persone o cose è destinata ad essere spesa, infatti, in ambito processuale (SU, 45583/2007). La decettività qualificata, propria del reato di specie (art. 374), vuole poi che la condotta finalizzata all’inganno si eserciti rispetto non ad un qualsiasi procedimento o momento del procedimento giudiziario, ma solamente rispetto a procedure (accertamenti tecnici e perizie, in genere) o, comunque, a segmenti dell’attività giudiziaria (ispezioni; esperimenti giudiziali) che, connotati da indubbio carattere tecnico, sono preposti alla formazione della prova. Nel delineato contesto volto a tutelare la genuinità del dato probatorio fonte del convincimento del giudice, la circostanza che la condotta fraudolenta si collochi come posterius rispetto alla pendenza del procedimento giudiziario vale ad individuare i soggetti passivi dell’attività fraudolenta e quindi l’ambito all’interno del quale l’idoneità decettiva della prima deve essere apprezzata. L’ulteriore dato materiale della contestata fattispecie di reato rappresentato dall’idoneità della condotta ad ingannare va poi stimato con riferimento alla necessità che la modifica venga apprezzata in ragione di un espresso giudizio tecnico. Su siffatto presupposto, si ha che la potenzialità ingannatoria non può derivare da una modifica grossolana tale da essere percepita così agevolmente e a prima vista da non essere idonea ad indurre in errore nessuno l’immutazione, ma soltanto a un esame non superficiale, potendo sfuggire a un occhio non particolarmente esperto (Sez. 6, 8981/2010).

Alla potenzialità decettiva si accompagna la struttura di pericolo ed a consumazione anticipata del reato che si perfeziona con la mera immutatio loci purché idonea a trarre in inganno i soggetti destinatari della condotta fraudolenta (Sez. 4, 10842/2008). Il dolo poi si declina, per l’indicata struttura, come specifico ed espressivo quindi dell’intenzione dell’agente di inquinare le fonti di prova o di ingannare il giudice nell’accertamento dei fatti (Sez. 6, 9956/2016).

Commette il reato di frode processuale chiunque immuti lo stato dei luoghi o delle cose, subito dopo un fatto delittuoso e anche antecedentemente all’inizio dell’attività di PG. È dunque necessaria una scansione fattuale, logica e temporale ben precisa: prima deve essere stato commesso un reato, poi l’agente opera in modo da sviare le indagini per trarre in inganno il giudice o il perito (Sez. 5, 4058/2016).

Non integrano il delitto di frode processuale gli atti di alterazione dei luoghi, delle cose o delle persone posti in essere nel medesimo contesto spazio-temporale dall’autore di una condotta criminosa, non potendosi ad essi attribuire autonomo rilievo al fine della configurazione del concorso materiale di reati, per la sostanziale contiguità e il difetto della necessaria alterità rispetto alla condotta precedente. A maggior ragione, dunque, non può sussistere il delitto ex art. 374 comma 2, se la immutatio veri addirittura non è finalizzata alla alterazione delle tracce di un reato (precedentemente) commesso. Tanto ciò è vero che la stessa norma precisa che, nel caso si tratti di reato non procedibile di ufficio, la punibilità è esclusa a meno che non sia intervenuta querela, richiesta o istanza (Sez. 5, 4058/2016).

Nei delitti contro l’amministrazione della giustizia persona offesa del reato è lo Stato, al quale può aggiungersi un’altra vittima solo quando nella struttura della fattispecie astratta vi sia anche la descrizione dell’aggressione alla sfera giuridica di questa, la cui posizione viene così a differenziarsi da quella di qualsiasi ulteriore danneggiato, il che non è nel caso della frode processuale (Sez. 6, 27753/2018).

Non è legittimato a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione il privato che risenta di un pregiudizio per il delitto di frode processuale, trattandosi di fattispecie incriminatrice lesiva dell’interesse della collettività al corretto funzionamento della giustizia, relativamente al quale l’interesse del privato assume un rilievo solo riflesso e mediato, tale da non consentire l’attribuzione della qualità di persona offesa, ma solo quella di persona danneggiata dal reato (Sez. 6, 17631/2008).

Dall’esistenza del delitto di frode processuale, sembra potersi desumere la “voluntas legis” di limitare l’incriminazione degli artifici e raggiri di cui sia vittima il giudice ai casi tassativamente descritti dall’art. 374, e, quindi, l’impraticabilità (pena la violazione del divieto di analogia in malam partem), di ogni operazione volta all’applicazione di questa norma alla c.d. truffa processuale (Sez. 2, 21611/2016).