x

x

Art. 373 - Falsa perizia o interpretazione

1. Il perito o l’interprete, che, nominato dall’autorità giudiziaria, dà parere o interpretazioni mendaci, o afferma fatti non conformi al vero, soggiace alle pene stabilite nell’articolo precedente.

2. La condanna importa, oltre l’interdizione dai pubblici uffici, l’interdizione dalla professione o dall’arte.

Rassegna di giurisprudenza

Non è legittimato a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione il privato che risenta di un pregiudizio per il reato di falsa perizia di cui all’art. 373, trattandosi di una fattispecie incriminatrice lesiva esclusivamente dell’interesse della collettività al corretto funzionamento dell’attività giudiziaria (Sez. 6, 5240/2018).

Il reato proprio di falsa perizia previsto dall’art. 373 è integrato da due condotte tipiche, consistenti nel dare pareri o interpretazioni mendaci ovvero nell’affermare fatti non conformi al vero. Il reato di falsa perizia si sostanzia, dunque, nella rappresentazione da parte del perito di fatti avvenuti sotto la sua diretta percezione ovvero di operazioni da lui direttamente eseguite o non eseguite in termini difformi al vero o  ipotesi più complessa da provare nell’esprimere pareri o interpretazioni mendaci.

Non è revocabile in dubbio  mutuando il principio affermato dalle Sezioni unite in relazione al delitto di cui all’art. 377 (SU, 51824/2014)  che il reato di falsa perizia possa essere commesso anche quando l’incarico peritale affidato implichi la formulazione di giudizi di natura tecnico scientifica. Ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 37e, è  ovviamente  necessaria la prova dell’elemento soggettivo che, atteggiandosi quale dolo generico, si concretizza – secondo le linee ermeneutiche tracciate da tempo – in una divergenza intenzionale, voluta e cosciente tra il convincimento reale del perito e quello manifestato nell’elaborato tecnico in risposta ai quesiti del giudice (Sez. 6, 38307/2015).

Perché possa essere configurato il delitto in oggetto è, dunque, indispensabile che siano dimostrate la coscienza e volontà dell’imputato di formare un atto valutativo non aderente al vero ovvero, nella seconda declinazione della condotta incriminata, di affermare fatti avvenuti sotto i propri sensi in termini non conformi alla realtà, id est che sia provata la volontaria e consapevole formazione di un atto ideologicamente falso nel contenuto descrittivo degli elementi di fatto e/o nella parte delibativa e di giudizio.

Pertanto, agli effetti della previsione incriminatrice in disamina, “i pareri o le interpretazioni mendaci” si concretizzano “in un giudizio che in tanto è caratterizzato da mendacio, in quanto si scosta e differisce da quella che, secondo la coscienza del reo, costituisce la verità: si tratta pertanto di una divergenza intenzionale, voluta e cosciente tra il convincimento reale e quello manifestato, nell’elaborato tecnico in risposta ai quesiti del giudice. Il perito, od il consulente tecnico d’ufficio in sede civile, devono infatti necessariamente apportare il loro contributo originale di osservazioni e di giudizi sull’oggetto della prova, con il rischio, immanente, che, nel pesare la loro condotta, si finisca col confondere facilmente l’involontario errore della mente, oppure la “cattiva qualità della prestazione professionale”, con la dolosa alterazione del vero (Sez. 6, 13412/2016).

In tema di falsa perizia, nel contesto di accertamenti valutativi (nella specie valutazione di ramo aziendale), la presenza di difformi autorevoli pareri nonché l’adesione del primo giudice ad una stima diversa da quella accolta dal giudice di appello sono elementi atti a dimostrare che il risultato della stima debba considerarsi obiettivamente controvertibile e difficilmente rapportabile alla certezza dello schema dettato dall’art. 373, salva una giustificazione attenta a raccordare la delicatezza del quesito offerto al perito e la certa infedeltà del risultato da questi reso (Sez. 5, 7067/2011).

Il reato di falsa perizia previsto dall’art. 373 può consistere nel dare pareri o interpretazioni mendaci ovvero nell’affermare fatti non conformi al vero. Quest’ultima ipotesi non dà luogo a particolari problemi, mentre la prima pone una serie di difficoltà interpretative e di accertamento, in quanto il perito non si limita a riferire quanto è caduto sotto i suoi sensi, ma formula un giudizio che può dirsi mendace solo in presenza di una divergenza tra il convincimento reale e quello manifestato (Sez. 6, 36654/2015).

La fattispecie di falsa perizia è speciale rispetto a quella di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico. Muovono in tal senso: a) lo specifico bene giuridico tutelato dal reato ex art. 373, che viene tradizionalmente individuato nella sincerità e nella completezza delle prestazioni cui sono tenuti il perito e l’interprete al fine di garantire il buon funzionamento dell’attività giudiziaria; b) la precisa qualifica del soggetto attivo  id est il perito, l’interprete ovvero i soggetti ad essi equiparati dalla legge, come appunto il consulente giurato ex art. 2500-ter CC; c) la particolare connotazione delle modalità attuative della falsità ideologica in senso lato commessa da tali ausiliari del giudice, che si realizza  per il perito e dunque anche per il consulente  nel dare pareri mendaci ovvero nell’affermare fatti non conformi al vero.

Elementi tutti che contraddistinguono il delitto previsto e punito dall’art. 373 per requisiti propri e caratteristici, che assolvono appunto ad una funzione specializzante rispetto alla più ampia cornice della fattispecie incriminatrice dell’art. 479 (Sez. 6, 20314/2015).

Ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 373 è richiesto il dolo generico in termini di coscienza e volontà di non di formare un atto valutativo in termini non aderenti al vero (Sez. 6, 20314/2015).