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Art. 381 - Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico

1. Il patrocinatore o il consulente tecnico, che, in un procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria, presta contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patrocinio o la sua consulenza a favore di parti contrarie, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 103 (1).

2. La pena è della reclusione fino a un anno e della multa da euro 51 a euro 516 (1), se il patrocinatore o il consulente, dopo aver difeso, assistito o rappresentato una parte, assume, senza il consenso di questa, nello stesso procedimento, il patrocinio o la consulenza della parte avversaria.

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

Non sussiste il reato di cui all’art. 381, comma 1, qualora le parti apparentemente contrapposte, in favore delle quali l’esercente la professione legale presti contemporaneamente la propria opera, perseguano in realtà un unico e lecito fine ad esse comune, facendo difetto, in tal caso, l’evento tipico del suddetto reato, identificabile o nel nocumento arrecato al patrocinato o nel perseguimento di un fine illecito (Sez. 6, 13106/2001).

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 381, per stabilire l’identità o la diversità del procedimento, deve farsi non astratto riferimento ai criteri utilizzati per individuare la identità o diversità delle cause nel processo civile (parti, petitum, causa petendi), bensì concreto riferimento allo «stesso procedimento» nel quale si polarizzano interessi contrapposti tra le parti avverse. Alla luce del bene tutelato dalla norma, l’opposizione agli atti esecutivi appare un mero incidente all’interno del procedimento di esecuzione, cosicché deve considerarsi un segmento dello «stesso procedimento», irrilevante essendo a questi fini la natura del giudizio (esecutivo o di cognizione) (Sez. 6, 11424/1996).

La fattispecie prevista dall’art. 381, comma 2 configura un reato istantaneo, in quanto la condotta vietata è l’assunzione del patrocinio o della consulenza, non già l’attività di patrocinio o di consulenza che, in conseguenza di tale condotta, viene successivamente esplicata. Ne consegue che il momento consumativo del reato va individuato nell’assunzione dell’incarico, ossia nel momento in cui viene conferito e accettato il mandato professionale (Sez. 6, 11424/1996).

Per la sussistenza dei delitti di patrocinio o di consulenza infedele e le altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico è strutturalmente necessaria la instaurazione di un procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria, quale elemento costitutivo del reato, cosicché ritenere compresa nella previsione legislativa anche «le attività prodromiche» alle cause poi instaurate tra le parti integra una violazione del principio di tipicità del precetto penale (Sez. 6, 4668/1995).

Poiché in dipendenza dell’oggettività giuridica del reato di cui all’art. 381 primo comma consistente nella tutela del normale funzionamento dell’attività giudiziaria, l’ambito del precetto penale deve essere definito alla stregua della distinzione tra strumentalità del processo e interesse sostanziale dello stato alla corretta amministrazione della giustizia, il reato stesso è configurabile solo quando le parti apparentemente contrapposte perseguano un comune fine illecito o quando l’oggetto e la finalità del giudizio siano tali da rappresentare formalmente e sostanzialmente interessi delle parti nella concretezza della loro conflittualità, di talché il bene giuridico protetto possa dirsi aggredito per il solo fatto che un unico patrocinatore assista parti contrarie; diversamente, laddove il momento dialettico del processo, di norma ma non sempre necessario, sia superato dalla convergenza degli interessi verso un unico lecito fine, non è sufficiente per l’integrazione del reato la sola contrapposizione formale ed esterna delle parti, non rilevando che al conseguimento del fine comune provveda un unico patrocinatore, perché in tal caso non v’è utilizzazione strumentale del processo per scopi ad esso estranei e quindi illeciti (Sez. 6, 391/1993).