Art. 380 - Patrocinio o consulenza infedele
1. Il patrocinatore o il consulente tecnico, che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa non inferiore a euro 516 (1)(2).
2. La pena è aumentata:
1) se il colpevole ha commesso il fatto, colludendo con la parte avversaria;
2) se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.
3. Si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a euro 1.032 (3), se il fatto è commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina la pena di morte o l’ergastolo ovvero la reclusione superiore a cinque anni.
(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.
(2) Comma così modificato dall’art. 10, comma 10, L. 237/2012.
(3) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.
Rassegna di giurisprudenza
La sussistenza del reato previsto e punito dall’art. 380 richiede che sia fornita prova del nocumento subito dalla parte per effetto della condotta infedele del suo patrocinatore (Sez. 5, 22978/2017).
Ai fini della integrazione del delitto di patrocinio o consulenza infedele è necessario che si verifichi un nocumento agli interessi della parte, che, quale conseguenza della violazione dei doveri professionali, rappresenta l’evento del reato, inteso non necessariamente in senso civilistico quale danno patrimoniale, ma anche nel senso di mancato conseguimento di beni giuridici o di benefici, anche solo di ordine morale, che avrebbero potuto conseguire al corretto e leale esercizio del patrocinio legale. Il delitto di patrocinio infedele si consuma, pertanto, nel momento nel quale si verifica il nocumento agli interessi della parte (Sez. 6, 8686/2018).
Il pregiudizio necessario ad integrare l’ipotesi di reato di cui all’art. 380 non deve necessariamente concretizzarsi in un danno di natura patrimoniale conseguente alla perdita della causa, ma può consistere anche nel mancato conseguimento di beni giuridici o di benefici di natura anche soltanto morale che alla parte sarebbero potuti derivare dal corretto e leale esercizio del patrocinio legale (Sez. 7, 7069/2018).
Per la sussistenza del reato di patrocinio infedele è necessaria, quale elemento costitutivo del reato, la pendenza di un procedimento dinanzi all’AG nell’ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato, anche se la condotta non deve necessariamente estrinsecarsi in atti o comportamenti processuali (Sez. 6, 28309/2016). Il che ha portato ad escludere l’applicazione dell’art. 380 nel caso in cui la condotta infedele si riferisca a procedure non pendenti davanti all’AG, ancorché poste in essere prima dell’instaurazione del procedimento e ad esso prodromiche (Sez. 2, 13489/2005) (riassunzione dovuta a Sez. 6, 29783/2017).
Presupposto del reato di infedele patrocinio è l’esercizio della difesa, rappresentanza ed assistenza davanti all’AG, intese come oggetto del rapporto di partecipazione professionale e non come estrinsecazione effettiva di attività processuale, per cui ad integrare l’elemento oggettivo del delitto è sufficiente che l’esercente la professione forense si renda infedele ai doveri connessi alla accettazione dell’incarico di difendere taluno dinanzi all’autorità giudiziaria, indipendentemente dall’attuale svolgimento di un’attività processuale e finanche della pendenza della lite, giacché il pregiudizio in danno della parte può concretarsi nella dolosa astensione dalla doverosa attività processuale.
Per integrare l’elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico consistente nella volontà consapevole della inosservanza dei doveri professionali di diligenza, lealtà e correttezza, mentre non è necessario il dolo specifico, consistente nell’intento di recare danno alla posizione del cliente, posto che il nocumento agli interessi della parte integra l’evento del reato medesimo.
Si è anche condivisibilmente affermato che – ai fini dell’integrazione della fattispecie criminosa del patrocinio infedele – l’evento di danno, e dunque il nocumento agli interessi della parte difesa, assistita o rappresentata dinanzi all’AG, non va inteso nel senso civilistico e dunque non è necessario che si verifichi un pregiudizio patrimoniale, ben potendo consistere anche soltanto nell’adozione di comportamenti imprudenti in conseguenza della comunicazione di una falsa notizia.
Detto altrimenti ed in termini più pregnanti, il delitto di cui all’art. 380 comma primo. è un reato che richiede per il suo perfezionamento, in primo luogo, una condotta del patrocinatore irrispettosa dei doversi professionali stabiliti per fini di giustizia a tutela della parte assistita ed, in secondo luogo, un evento che implichi un nocumento agli interessi di quest’ultimo, inteso questo non necessariamente in senso civilistico di danno patrimoniale, ma anche nel senso di mancato conseguimento dei beni giuridici o dei benefici di ordine anche solo morale che alla stessa parte sarebbero potuti derivare dal corretto e leale esercizio del patrocinio legale.
D’altro canto la condotta illecita può consistere anche nell’occultamento di notizie o nella comunicazione di notizie false e fuorvianti nel corso del processo; a sua volta l’evento può essere rappresentato anche dal mancato conseguimento di vantaggi formanti oggetto di decisione assunte dal giudice nelle fasi intermedie o incidentali di una procedura (Sez. 5, 22978/2017).
Il reato di cui all’art. 380 è reato a forma libera, che si consuma attraverso qualsiasi azione od omissione che costituisca una infedeltà ai doveri professionali e che produca un danno agli interessi della parte rappresentata (Sez. 6, 27394/2016).