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Art. 322-quater - Riparazione pecuniaria (1)

1. Con la sentenza di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320 e 322-bis, è sempre ordinato il pagamento di una somma equivalente al prezzo o al profitto del reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno.

(1) Articolo inserito dall’art. 4, comma 1, L. 69/2015 e modificato dalla L. 3/2019.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 322-quater, introdotto con la L. 69/2015, prevede che "Con la sentenza di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321 e 322- bis, è sempre ordinato il pagamento di una somma equivalente al prezzo o al profitto del reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno". Occorre precisare come tale formulazione costituisca il frutto della modifica recentemente apportata con la L. 3/2019 là dove  ai fini della determinazione del quantum della riparazione pecuniaria  ha sostituito il riferimento a "quanto indebitamente ricevuto" dal funzionario pubblico con l’attuale riferimento alla "somma equivalente al prezzo o al profitto del reato".

La riparazione pecuniaria ex art. 322-quater ha natura esclusivamente economica e si parametra al vantaggio di natura patrimoniale derivato dalla condotta (profitto) ovvero al compenso dato o promesso per commettere il reato (prezzo). La riparazione va corrisposta in favore dell’amministrazione cui appartiene il pubblico agente, a prescindere e, se del caso, in aggiunta rispetto al risarcimento" del danno cagionato al prestigio ed al buon funzionamento della pubblica amministrazione. L’istituto presenta tratti di indubbio parallelismo con la "riparazione pecuniaria" prevista dall’art. 12 della L. 47/1948, applicabile in caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, là dove si applica "oltre al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185.".

Come si legge nei lavori preparatori della L. 69/2015, il meccanismo della riparazione del danno, fissata in un’entità corrispondente a quanto indebitamente ricevuto, che deve essere versata a vantaggio dell’amministrazione di appartenenza, rappresenta una sanzione per l’infedeltà del pubblico ufficiale e per il danno cagionato all’amministrazione di appartenenza, con spiccata funzione dissuasiva. In linea con l’intentio legis del legislatore e con le indicazioni della migliore dottrina, nel lasciare del tutto impregiudicato il diritto della persona offesa al risarcimento del danno, a prescindere dalla denominazione, la riparazione muove dunque nella chiara prospettiva di realizzare un rafforzamento dell’armamentario sanzionatorio posto a tutela del buon andamento della pubblica amministrazione. Deve, pertanto, ritenersi che la riparazione pecuniaria costituisca - come quella prevista dal citato art. 12 della legge sulla stampa  una "sanzione civile accessoria" alla condanna per i reati – presupposto di cui al catalogo dello stesso art. 322-quater.

L’istituto si presenta sotto forma di una "tipica" obbligazione civilistica  là dove ha un contenuto squisitamente economico ed è destinata alla persona offesa , ma  giusta l’applicazione in termini di obbligatorietà, da parte del giudice penale, a prescindere dal danno civilisticamente inteso e dall’azione risarcitoria della parte civile, anche in aggiunta al risarcimento del danno  assume anche un’indubbia connotazione punitiva. Stante la natura lato sensu punitiva della riparazione pecuniaria, la relativa applicazione  in assenza dei presupposti di legge  è certamente riportabile all’alveo della "pena illegale", dando, dunque, luogo ad un vizio coltivabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, CPP.

Tanto premesso quanto alla natura di "sanzione civile accessoria" della riparazione pecuniaria di cui all’art. 322-quater ed alla sindacabilità nella sede di legittimità dell’applicazione di essa in violazione di legge, occorre rilevare, sotto diverso aspetto, come l’art. 322-quater preveda espressamente che la riparazione pecuniaria sia sempre ordinata con la "sentenza di condanna". Orbene, si ritiene che detta espressione debba ritenersi riferita al provvedimento conclusivo del giudizio ordinario o abbreviato, ma non anche alla sentenza di applicazione della pena che, nel prescindere dall’accertamento positivo della penale responsabilità dell’imputato e giusta l’espressa previsione dell’art. 445, comma 2, CPP, è "solo" equiparata ad una pronuncia di condanna.

Conduce a tale conclusione anche il dato sistematico, là dove plurime disposizioni del codice penale  soprattutto quelle di recente introduzione anche nello specifico campo dei reati contro la pubblica amministrazione  confermano come il legislatore consideri eterogenea la "condanna" rispetto alla "applicazione della pena" ai fini delle ulteriori conseguenze penali derivanti dal reato. Così, in particolare, le norme in tema di confisca obbligatoria di cui agli artt. 322-ter, 466-bis e 644, ultimo comma, le quali prevedono espressamente l’applicazione della misura di sicurezza patrimoniale anche in caso di sentenza di patteggiamento, in specifica deroga del disposto dell’art. 445, comma 1, CPP.

Non può, inoltre, sfuggire come l’art. 322-quater sia stato inserito nel codice penale  nell’ambito del Titolo II, Capo I, dedicato alla disciplina dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A.  immediatamente di seguito all’art. 322-ter che fa espresso riferimento, oltre alla "condanna" anche alla "sentenza di applicazione della pena". Si veda ancora il disposto dell’art. 609-nonies comma 1, nel quale il legislatore ha testualmente previsto l’applicazione delle pene accessorie e degli altri effetti penali in caso di "condanna" e di "applicazione della pena su richiesta delle parti". Tirando le fila delle considerazioni che precedono, non è revocabile in dubbio la netta distinzione, ai fini delle varie conseguenze sanzionatorie ed effetti penali, fra "condanna" propriamente detta e "sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti".

Delineato il discrimen fra "condanna" e "sentenza di applicazione della pena", si ritiene che la riparazione pecuniaria in oggetto - in quanto prevista soltanto per il caso di "condanna" - non possa trovare applicazione non solo nel caso di patteggiamento ordinario, ma anche in caso di patteggiamento c.d. allargato. Né l’applicabilità della riparazione pecuniaria in caso di patteggiamento c.d. allargato può desumersi a contrariis dalla circostanza che, soltanto in caso di patteggiamento ordinario ex art. 445, comma 1, CPP, l’imputato sia esente dall’applicazione delle "spese del procedimento", "pene accessorie" e "misure di sicurezza" (salvo l’art. 240). Si è già posto in rilievo come la riparazione pecuniaria di cui all’art. 322- quater presenti caratteristiche del tutto peculiari, che la pongono su di un piano di eterogeneità rispetto ai tradizionali istituti "penalistici" e che ne rendono problematico l’inquadramento nelle categorie delle "pene accessorie" o delle "misure di sicurezza", costituendo essa piuttosto  come già rilevato  una sanzione di tipo civilistico, sui generis nel panorama del nostro codice penale. Detta connotazione ne impedisce allora l’applicazione al di fuori degli specifici casi nei quali essa sia espressamente prevista, in ossequio ai principi di legalità e di tassatività in materia penale.

Una conferma  sia pure indiretta  della inapplicabilità della riparazione pecuniaria in entrambe le ipotesi di patteggiamento si trae dall’art. 444, comma 1-ter, CPP  introdotto con la stessa L. 69/2015, che ha previsto l’art. 322-quater , là dove, nei procedimenti per i reati contro la pubblica amministrazione contemplati da tale disposizione, ha subordinato expressis verbis l’ammissibilità della richiesta di applicazione della pena "alla restituzione integrale de/prezzo o de/profitto de/reato". Con ciò, senza fare alcuna menzione  né quale condizione, né quale effetto ulteriore  alla riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico agente, fra l’altro, anch’essa commisurata "al prezzo o al profitto del reato" (in eventuale aggiunta al risarcimento del danno).

Non può allora sfuggire l’irragionevolezza di un’ermeneusi della norma che - nonostante l’assenza di una previsione espressa dell’applicabilità della riparazione pecuniaria anche in caso di sentenza ex art. 444 CPP (nella forma ordinaria o c.d. allargata) - comportasse l’assoggettamento dell’imputato di taluno dei reati rientranti nel catalogo di cui all’art. 322-quater, il quale intendesse appunto definire la propria posizione processuale con il patteggiamento, al doppio versamento di una somma eguale nel tantundem (pari appunto al prezzo o al profitto del reato), sia pure a titolo diverso (restitutorio e riparatorio). Ad ogni modo, stante la già rilevata non univocità della disposizione in oggetto quanto all’applicabilità della riparazione pecuniaria in caso di patteggiamento, non può non farsi ricorso al canone interpretativo generale in materia penale, alla stregua del quale non può che essere privilegiata, fra due possibili opzioni, l’interpretazione in favor rei.

Conclusivamente, deve essere affermato il principio di diritto secondo il quale, in tema di reati contro la pubblica amministrazione, il patteggiamento di una pena detentiva anche nella forma c.d. allargata preclude l’applicazione della riparazione pecuniaria di cui all’art. 322-quater, presupponendo essa la pronuncia di una sentenza di "condanna" propriamente detta, cioè resa a seguito di rito ordinario o abbreviato (Sez. 6, 12541/2019).

L’art. 322-quater, il quale dispone che la sentenza di condanna per il reato previsto dall’art. 319-quater ordini il pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio appartiene, lascia impregiudicato il diritto al risarcimento del danno (Sez. 6, 40558/2017).

Le condotte previste dall’art. 165, comma quarto, a titolo di riparazione pecuniaria in favore della pubblica amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, in quanto specificamente previste per l’acceso al beneficio e quindi, funzionali all’estinzione del reato alle condizioni di cui all’art. 167, si collocano su di un piano prettamente sostanziale e non processuale, con conseguente inapplicabilità della relativa disposizione a fatti commessi prima della sua entrata in vigore (Sez. 6, 26873/2017).