x

x

Art. 323 - Abuso d’ufficio

1. Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni. (1) 

2. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità (2).

(1) Comma così modificato dall’art. 1, comma 75, lett. p), L. 190/2012 e poi dall'art. 23 del DL 76/2020 che ha inserito l'espressione "di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità" al posto della precedente dicitura "di norme di legge o di regolamento".

(2) Articolo così sostituito, prima, dall’art. 13, L. 86/1990, e poi dall’art. 1, L. 16 luglio 1997, n. 234.

Rassegna di giurisprudenza

In tema di abuso d'ufficio, si è affermato invero che la modifica, introdotta con l'art. 23 DL 76/2020, convertito con modificazioni dalla L. 120/2020, ha ristretto l'ambito applicativo dell'art. 323, determinando una parziale "abolitio criminis" in relazione alle condotte commesse prima dell'entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali e astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che lascino residuare margini di discrezionalità. Pertanto, non può essere ricondotta nel fuoco della disposizione incriminatrice così novellata la violazione di generici obblighi comportamentali sanciti dall'art. 13 DPR 3/1957 (norme di comportamento del pubblico dipendente) (Sez.6, 23794/2022).

Deve ritenersi configurabile il delitto di abuso di ufficio di cui all’art. 323, come modificato dal DL 76/2020, convertito nella L. 120/2020, non solamente nel caso in cui la violazione abbia ad oggetto una specifica regola di condotta connessa all'esercizio di un potere già in origine previsto da una norma come del tutto vincolato, ma anche nei casi riguardanti l'inosservanza di una regola di condotta collegata allo svolgimento di un potere che, astrattamente previsto dalla legge come discrezionale, sia divenuto in concreto vincolato per le scelte fatte dal pubblico agente prima dell'adozione dell'atto (o del comportamento) in cui si sostanzia l'abuso di ufficio (Sez. 6, 8057/2021).

Il delitto di abuso di ufficio è integrato da una condotta connotata da contrarietà a parametri normativi, che si proietta intenzionalmente su un evento di danno o di vantaggio, il quale deve essere di per sé qualificato dall'ingiustizia. Tale reato, pertanto, è caratterizzato dalla doppia ingiustizia, specificamente riferibile alla condotta e all'evento, e dunque da esaminare con riguardo sia all'una che all'altro, non potendosi far discendere automaticamente la rilevanza dell'evento dall'ingiustizia della condotta, anche se non può in astratto escludersi che, proprio in ragione della violazione che connota quest'ultima, possa considerarsi contra ius l'accrescimento della sfera patrimoniale del privato (Sez. 6, 7540/2021).

Quel che caratterizza il reato previsto dall'art. 323 non è il mero esercizio erroneo o viziato di pubbliche prerogative, e quindi il requisito della violazione di legge, bensì piuttosto l'abuso che viene a realizzarsi con la deliberata strumentalizzazione della funzione da parte del pubblico agente che, per perseguire finalità di carattere privatistico, abbia violato specifici parametri normativi per favorire o danneggiare qualcuno, così derogando all'obbligo di esercitarla secondo criteri d'imparzialità e buon andamento dell'attività amministrativa (art. 97 Cost.). Occorre, in definitiva, che la condotta illegittima sia finalizzata e abbia come risultato l'ingiusto vantaggio patrimoniale o con l'ingiusto danno. É quindi necessaria per l'accertamento del reato in esame la valutazione ulteriore della cd. “doppia ingiustizia”, che postula un duplice distinto apprezzamento, concernente sia la condotta «che deve essere connotata da violazione di norme di legge o di regolamento» sia l'evento «di vantaggio patrimoniale in quanto non spettante in base al diritto oggettivo, non potendosi far discendere l'ingiustizia del vantaggio dall'illegittimità del mezzo utilizzato e, quindi, dall'accertata illegittimità della condotta (Sez. 6, 35878/2019).

Il dolo intenzionale del delitto di cui all’art. 323 è configurabile qualora si accerti che il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio abbia agito con uno scopo diverso da quello consistente nel realizzare, una finalità pubblica, il cui conseguimento deve essere escluso non soltanto nei casi nei quali questa manchi del tutto, ma anche laddove la stessa rappresenti una mera occasione della condotta illecita, posta in essere invece al preciso scopo di perseguire, in via immediata, un danno ingiusto ad altri o un vantaggio patrimoniale ingiusto per sé o per altri (Sez. 3, 10810/2014).

Danno ingiusto rilevante ai fini della configurabilità del reato di abuso di ufficio è anche il danno che attiene alla sfera dei diritti o anche solo degli interessi non patrimoniali di un soggetto: si è ritenuto, infatti, che tale elemento fosse integrato dall’aggressione ingiusta alla sfera della personalità per come tutelata dai principi costituzionali. Realizza l’evento del danno ingiusto ogni comportamento che determini un’aggressione non iure alla sfera della personalità per come tutelata dai principi costituzionali, in modo indebito e come ritorsione, in quanto ciò determina, oltre che un danno economico, anche una perdita di prestigio e decoro nei confronti dei colleghi di lavoro (Sez. 5, 32023/2014).

L’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 323 può essere escluso solo qualora il soggetto agente persegua esclusivamente la finalità di realizzare un interesse pubblico ovvero qualora, pur in presenza della consapevolezza di favorire un interesse privato, l’agente sia stato mosso esclusivamente dall’obiettivo di perseguire un interesse pubblico, con conseguente degradazione del dolo di procurare a terzi un vantaggio da dolo intenzionale a mero dolo diretto o eventuale, e con esclusione, quindi, di ogni finalità di favoritismo privato (Sez. 2, 10224/2019).

In tema di abuso d’ufficio, il requisito della violazione di legge può essere integrato anche dall’inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della P.A. nella parte in cui, esprimendo il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi, impone al pubblico ufficiale e all’incaricato di pubblico servizio una precisa regola di comportamento di immediata applicazione (Sez. 6, 27816/2015).

Il requisito della violazione di legge di cui all’art. 323 può consistere anche nella inosservanza dell’art. 97 della Costituzione, nella parte immediatamente precettiva che impone ad ogni pubblico funzionario, nell’esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per compiere deliberati favoritismi e procurare ingiusti vantaggi ovvero per realizzare intenzionali vessazioni o discriminazioni e procurare ingiusti danni (Sez. 2, 46096/2015).

Ai fini della configurabilità del concorso del privato nel delitto di abuso d'ufficio, l'esistenza di una collusione tra il privato ed il pubblico ufficiale non può essere dedotta dalla mera coincidenza tra la richiesta dell'uno e il provvedimento adottato dall'altro, essendo invece necessario che il contesto fattuale, i rapporti personali tra i predetti soggetti, ovvero altri dati di contorno, dimostrino che la domanda del privato sia stata preceduta, accompagnata o seguita dall'accordo con il pubblico ufficiale, se non da pressioni dirette a sollecitarlo o persuaderlo al compimento dell'atto illegittimo (Sez. 3, 25929/2020).

Ai fini della configurabilità del concorso del destinatario dell’ingiusto vantaggio patrimoniale di cui all’art. 323, è necessaria la dimostrazione che questi abbia posto in essere una condotta causalmente rilevante nella realizzazione della fattispecie criminosa, partecipando con comportamenti diretti a determinare o ad istigare il pubblico ufficiale, ovvero accordandosi con quest’ultimo, essendo necessario che il contesto fattuale, i rapporti personali tra le parti o altri dati di contorno dimostrino l’intesa col pubblico funzionario o, comunque, eventuali pressioni dirette a sollecitarlo, ovvero a persuaderlo al compimento dell’atto illegittimo (Sez. 6, 33760/2015).

Ai fini dell’integrazione dell’elemento oggettivo del delitto di abuso d’ufficio, è necessario che la condotta sia realizzata "nello svolgimento delle funzioni o del servizio", con esclusione, pertanto, degli atti compiuti con difetto assoluto di attribuzione, ai sensi dell’art. 21-septies L. 241/1990, rientrando, invece, nell’alveo della norma incriminatrice le condotte che integrano la c.d. "carenza di potere in concreto" (Sez. 3, 52053/2017).

Sussiste concorso materiale, e non assorbimento, tra il reato di falso in atto pubblico e quello di abuso d’ufficio nel caso in cui la condotta di abuso non si esaurisce nella falsificazione, e la falsità in atti è strumentale alla realizzazione del reato di cui all’art. 323 di cui costituisce una parte della più ampia condotta (Sez. 5, 45992/2017).

L’utilizzo di denaro pubblico per finalità diverse da quelle previste integra il reato di abuso d’ufficio qualora l’atto di destinazione avvenga in violazione delle regole contabili, sebbene sia funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati, anche di interessi pubblici obiettivamente esistenti e per i quali sia ammissibile un ordinativo di pagamento o l’adozione di un impegno di spesa da parte dell’ente; mentre, integra il più grave delitto di peculato l’atto di disposizione del denaro compiuto  in difetto di qualunque motivazione o documentazione, ovvero in presenza di una motivazione meramente "di copertura" formale  per finalità esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali dell’ente (fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che, in merito all’utilizzo da parte del Presidente di una Regione del fondo per "spese di rappresentanza", non aveva distinto le erogazioni disposte per finalità istituzionali, ma riconducibili ad altri capitoli di spesa, da quelle aventi finalità meramente private e ricollegabili alla campagna elettorale) (Sez. 6, 41768/2017).

Nel reato di abuso d’ufficio, la prova del dolo intenzionale che qualifica la fattispecie non richiede l’accertamento dell’accordo collusivo con la persona che si intende favorire, ben potendo essere desunta anche da altri elementi quali, ad esempio, la macroscopica illegittimità dell’atto (Sez. 6, 31594/2017).

Costituisce violazione di legge, idonea ad integrare, sotto il profilo obiettivo, il reato di abuso d’ufficio, quanto meno tentato, l’adozione, da parte di un magistrato inquirente, di un provvedimento con il quale venga disposta l’acquisizione di tabulati di conversazioni telefoniche di parlamentari per il quale, alla luce dei dati esistenti in quel momento agli atti d’indagine, sarebbe stata necessaria l’autorizzazione preventiva della camera di appartenenza (Sez. 6, 49538/2016).

In tema di abuso d’ufficio, la prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie criminosa, può essere desunta anche da una serie di indici fattuali, tra i quali assumono rilievo l’evidenza, reiterazione e gravità delle violazioni, la competenza dell’agente, i rapporti fra agente e soggetto favorito, l’intento di sanare le illegittimità con successive violazioni di legge (Sez. 3, 35577/2016).

Non è configurabile il reato di cui all’art. 323 nei confronti del responsabile unico del procedimento, che, nell’autorizzare il subappalto di lavori pubblici, ometta di vigilare sull’esistenza di un conflitto di interessi tra la società appaltatrice e la società subappaltatrice dovuto ad un rapporto di compartecipazione societaria, posto che l'art. 10, comma 2, d.lgs. n. 163/2006 non prevede alcun obbligo di verifica da parte dello stesso dell'assetto societario della ditta subappaltatrice, né essendo - peraltro - previsti correlati oneri di comunicazione a riguardo da parte della ditta appaltatrice alla stazione appaltante (Sez. 6, 1606/2022).