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Art. 424 - Danneggiamento seguito da incendio

1. Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 423-bis, al solo scopo di danneggiare la cosa altrui, appicca il fuoco a una cosa propria o altrui è punito, se dal fatto sorge il pericolo di un incendio, con la reclusione da sei mesi a due anni (1).

2. Se segue l’incendio, si applicano le disposizioni dell’articolo 423, ma la pena è ridotta da un terzo alla metà (2).

3. Se al fuoco appiccato a boschi, selve e foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento, segue incendio, si applicano le pene previste dall’articolo 423-bis (3).

(1) Comma così modificato dall’art. 1, DL 220/2000, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 275/2000. La medesima modifica è stata successivamente disposta dall’art. 11, L. 353/2000. Il testo precedentemente in vigore così disponeva: «Chiunque al solo scopo di danneggiare la cosa altrui, appicca il fuoco a una cosa propria o altrui è punito, se dal fatto sorge il pericolo di un incendio, con la reclusione da sei mesi a due anni».

(2) Comma così modificato dall’art. 1, DL 220/2000, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 275/2000. La medesima modifica è stata successivamente disposta dall’art. 11, L. 353/2000.

(3) Comma aggiunto dall’art. 11, L. 353/2000.

Rassegna di giurisprudenza

Il perfezionamento del reato di cui all’art. 424, secondo comma, ossia del danneggiamento seguito, in via effettuale, da incendio esige che l’agente pregiudichi materialmente la cosa appiccando il fuoco alla stessa con la mera intenzione di danneggiarla, in relazione a cui non soltanto segua il pericolo di incendio  ipotesi regolata dal primo comma della disposizione  ma si verifichi anche l’incendio.

È, poi, assodato che gli elementi costitutivi dell’incendio si identificano nella vastità delle proporzioni delle fiamme, nella diffusività delle stesse, ossia nella tendenza a progredire e ad espandersi, e nella difficoltà del loro spegnimento. Appare conseguente ritenere che, pur tenendo conto delle peculiarità del caso concreto (nella specie, appiccamento del fuoco a un autoveicolo), soltanto quando le connotazioni del fuoco distruggitore abbiano assunto i connotati succitati possa considerarsi integrata, anche con riferimento al danneggiamento sanzionato dall’art. 424, la fattispecie aggravata di cui al secondo comma.

Va, in pari tempo, precisato che lo stesso delitto di cui all’art. 424, primo comma, non è suscettibile di essere ipotizzato in forma tentata, perché, dovendo il fatto essere commesso al solo fine di danneggiare, esso non può essere diretto allo scopo di incendiare e perché il fatto medesimo non è punibile fino a quando non sia sorto quanto meno il pericolo di incendio, evenienza sufficiente a ravvisare la consumazione del delitto in parola (Sez. 1, 8808/2019).

Il reato di danneggiamento seguito da incendio richiede, come elemento costitutivo, il sorgere di un pericolo di incendio, sicché non è ravvisabile qualora il fuoco appiccato abbia caratteristiche tali che da esso non possa sorgere detto pericolo per cui, in questa eventualità o in quella nella quale chi, nell’appiccare il fuoco alla cosa altrui al solo scopo di danneggiarla, raggiunge l’intento senza cagionare né un incendio né il pericolo di un incendio, è configurabile il reato di danneggiamento, mentre se detto pericolo sorge o se segue l’incendio, il delitto contro il patrimonio diventa più propriamente un delitto contro la pubblica incolumità e trovano applicazione, rispettivamente, gli articoli 423 e 424 (Sez. 2, 47415/2014).

Per il perfezionamento dell’evento di incendio non può farsi riferimento al concetto generico di fuoco, giacché l’incendio si verifica soltanto quando il fuoco divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo l’incolumità di un numero indeterminato di persone (Sez. 1, 14263/2017).

Il discrimine tra il reato di danneggiamento seguito da incendio e quello di incendio è costituito dall’elemento psicologico del reato. Nell’ipotesi prevista dall’art. 423 esso consiste nel dolo generico, cioè nella volontà di cagionare un incendio, inteso come combustione di non lievi proporzioni, che tende ad espandersi e non può facilmente essere contenuta e spenta, mentre, invece, il reato di cui all’art. 424 è caratterizzato dal dolo specifico, consistente nel voluto impiego del fuoco al solo scopo di danneggiare, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche prima indicate o il pericolo di siffatto evento.

Pertanto, nel caso di incendio commesso al fine di danneggiare, quando a detta ulteriore e specifica attività si associa la coscienza e la volontà di cagionare un fatto di entità tale da assumere le dimensioni previste dall’art. 423, è applicabile quest’ultima norma e non l’art. 424, nel quale l’incendio è contemplato come evento che esula dall’intenzione dell’agente (Sez. 7, 8399/2019).