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Art. 157 - Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere

1. La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.

2. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante.

3. Non si applicano le disposizioni dell’articolo 69 e il tempo necessario a prescrivere è determinato a norma del secondo comma.

4. Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva.

5. Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di tre anni.

6. I termini di cui ai commi che precedono sono raddoppiati per i reati di cui agli articoli 375, terzo comma, 449, 589, secondo e terzo comma, e 589-bis, nonché per i reati di cui commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale. I termini di cui ai commi che precedono sono altresì raddoppiati per i delitti di cui al titolo VI-bis del libro secondo, per il reato di cui all’articolo 572 e per i reati di cui alla sezione I del capo III del titolo XII del libro II e di cui agli articoli 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, salvo che risulti la sussistenza delle circostanze attenuanti contemplate dal terzo comma dell’articolo 609-bis ovvero dal quarto comma dell’articolo 609-quater (1).

La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato.

La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti (2).

(1) Comma modificato dalla lettera c-bis) del comma 1 dell’art. 1, DL 92/2008, convertito in legge, con modificazioni, con L. 125/2008, dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 4, L. 172/2012, dall’art. 1, comma 6, L. 68/2015, a decorrere dal 29 maggio 2015, ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, comma 1, della stessa L. n. 68/2015 e dall’art. 1, comma 3, lett. a), L. 41/2016, a decorrere dal 25 marzo 2016, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1, comma 8, della medesima legge n. 41/2016. Successivamente, il presente comma è stato così modificato dall’art. 1, comma 4, L. 133/2016, a decorrere dal 2 agosto 2016.

(2) Articolo prima modificato dall’art. 125, L. 689/1981 e poi così sostituito dal comma 1 dell’art. 6, L. 251/2005.

Rassegna di giurisprudenza

Termine prescrizionale maturato dopo l’emissione della sentenza impugnata

L’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude il rilievo della eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata (SU, 32/2001).

L’inammissibilità della impugnazione impedisce la formazione di un valido rapporto di impugnazione e la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 CPP, fra cui la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata (SU, 8825/2017).

In caso di ricorso avverso una sentenza di condanna che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato (sentenza oggettivamente cumulativa) l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali l’impugnazione sia inammissibile e preclude per detti reati, in relazione ai quali si è formato il giudicato parziale, la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (SU, 6903/2017).

In presenza di motivo di ricorso per cassazione in tema di prescrizione, sia come unica doglianza che in uno ad altri motivi inammissibili, l’estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza d’appello deve essere dichiarata dalla Corte di cassazione, ancorché essa non sia stata postulata nei motivi di gravame né in udienza dinanzi al giudice di appello. Il ricorso, infatti, non può ritenersi inammissibile e la causa di non punibilità erroneamente non valutata dal giudice di merito deve essere rilevata e dichiarata, avendo questi disatteso il dovere di provvedere ex art. 129 (SU, 12602/2016).

Se è vero che l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609 comma secondo, CPP, l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, è anche vero che tale principio si riferisce all’ipotesi in cui la prescrizione stessa non sia stata rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso (SU, 12602/2016 in cui si specifica che l’art. 129 CPP non riveste una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione) (Sez. 4, 6402/2019).

L'annullamento con rinvio della sentenza di condanna per la sola verifica della sussistenza dell'art. 131-bis c.p., impedisce l'applicabilità nel giudizio di rinvio della eventuale causa di estinzione del reato per prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale, divenendo irrevocabile l'affermazione di penale responsabilità e rimanendo sospesa la statuizione di condanna al verificarsi di una condizione costituita dall'applicabilità o meno della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto (Sez. 3, 33817/2020).

 

Ammissibilità del ricorso straordinario per omesso riconoscimento della prescrizione

È ammissibile il ricorso straordinario previsto dall’art. 625-bis CPP avente ad oggetto la mancata dichiarazione della prescrizione del reato allorquando ciò che si prospetta come errore di fatto in ordine alle condizioni di legge per il riconoscimento a suo tempo della causa estintiva di cui trattasi non debba comportare valutazioni giuridiche ovvero apprezzamenti di fatto (SU, 37505/2011).

 

Incidenza della recidiva e delle altre circostanze ad effetto speciale

Ai fini della prescrizione del reato, deve tenersi conto delle circostanze aggravanti ad effetto speciale, contestate e ritenute sussistenti, ancorché esse siano valutate subvalenti nel giudizio di bilanciamento con le concorrenti circostanze attenuanti, poiché l'art. 157, comma 3, esclude espressamente che il giudizio di cui all'art. 69, abbia incidenza sulla determinazione della pena massima del reato (Sez. 5, 20607/2021).

In tema di prescrizione del reato, quando il giudice abbia escluso, anche implicitamente, la circostanza aggravante della recidiva, non ritenendola in concreto espressione di una maggiore colpevolezza o pericolosità sociale dell'imputato, la predetta circostanza deve ritenersi ininfluente anche ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato (Sez. 3, 16676/2021).

Quando il giudice abbia escluso, anche implicitamente, la circostanza aggravante della recidiva, non ritenendola in concreto espressione di una maggiore colpevolezza o pericolosità sociale dell'imputato, la predetta circostanza deve ritenersi ininfluente anche ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato: l’eventuale richiamo ai precedenti penali dell'imputato in sede di calcolo della pena e ai fini del diniego delle attenuanti generiche non comporta, neppure implicitamente, il riconoscimento della recidiva e il conseguente aumento del termine di prescrizione, attesa la diversità dei giudizi riguardanti detti istituti, sicché di essa non può tenersi conto ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato (Sez. 3, 12389/2020).

In assenza di richiamo espresso o di aumento della pena o di giudizio di comparazione delle concorrenti circostanze eterogenee, la recidiva non può considerarsi riconosciuta e quindi non rileva ai fini del calcolo del termine di prescrizione del reato (SU, 20808/2019).

La recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale incide sul calcolo del tempo necessario a prescrivere l’ex art. 157 comma 2, quale circostanza aggravante ad effetto speciale, e sull’entità della proroga di detto tempo, in presenza di atti interruttivi ex art. 161 comma 2 (Sez. 2, 57755/2018).

La recidiva reiterata, quale circostanza ad effetto speciale, incide sul calcolo del termine prescrizionale minimo del reato, ai sensi dell’art. 157, comma secondo, e, in presenza di atti interruttivi, anche su quello del termine massimo, in ragione della entità della proroga, ex art. 161, comma secondo, cod. pen. (Sez. 2, 5985/2018).

Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere in forza della previsione di cui alla legge vigente (in quanto più favorevole), deve aversi riguardo, in caso di concorso fra circostanze ad effetto speciale, all’aumento di pena massimo previsto dall’art. 63, comma 4, per il concorso di circostanze della stessa specie (Sez. 2, 7599/2019).

 

Reati uniti in continuazione

Ai fini della determinazione del decorso della prescrizione, ognuno dei reati posti in continuazione conserva, ai sensi dell’art. 157, la propria autonomia (Sez. 5, 7894/2019).

 

Frodi gravi in materia di Iva (cosiddetta vicenda Taricco)

Come è noto la CGUE (Grande Sezione), con sentenza resa in data 8 settembre 2015 (in causa C-105/14), ha affermato che il combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, come modificato dalla L. 251/2005, e dell’articolo 161 e, nella parte in cui prevedono che un atto interruttivo della prescrizione verificatosi nell’ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di IVA, comporti il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale, è idoneo a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, nell’ipotesi in cui tali disposizioni nazionali impediscano di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’UE, o in cui prevedano, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’UE.

In questa prospettiva, il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dalle menzionate disposizioni normative. Investita della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2 della L. 130/2008, sulla ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona, nella parte in cui, imponendo di applicare l’articolo 325 TFUE, come interpretato dalla sentenza "Taricco", determina la disapplicazione, in alcuni casi, del disposto degli articoli 160, terzo comma, e 161, secondo comma, c.p., in relazione ai reati in materia di IVA, che costituiscono frode in danno degli interessi finanziari dell’UE, la Corte costituzionale, con ordinanza 24/2017, disponeva un rinvio pregiudiziale alla CGUE per l’interpretazione relativa al significato da attribuire all’art. 325 TFUE ed ai principi affermati nella sentenza "Taricco". Secondo la Corte costituzionale, l’eventuale applicazione della "regola Taricco" nel nostro ordinamento potrebbe condurre alla violazione del contenuto degli articoli 25, secondo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, non consentita neppure alla luce del primato del diritto UE.

In particolare, il giudice delle leggi si soffermava sul profilo di un’eventuale violazione del principio di legalità dei reati e delle pene che potrebbe derivare dall’obbligo, enunciato dalla "sentenza Taricco", di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione, in considerazione, da un lato, della natura sostanziale delle norme sulla prescrizione stabilite nell’ordinamento giuridico italiano, la quale implica che dette norme siano ragionevolmente prevedibili per i soggetti dell’ordinamento al momento della commissione dei reati contestati senza poter essere modificate retroattivamente in peius; dall’altro, della necessità che qualunque normativa nazionale relativa al regime di punibilità si fondi su una base giuridica sufficientemente determinata, al fine di poter delimitare e orientare la valutazione del giudice nazionale.

Nell’affrontare le questioni poste dalla Corte costituzionale, la Grande Sezione della CGUE, con sentenza 5 dicembre 2017, in causa C-42/17, ha, innanzitutto, riconosciuto che i requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività inerenti al principio di legalità dei reati e delle pene si applicano, nell’ordinamento giuridico italiano, anche al regime di prescrizione relativo ai reati in materia di IVA.

Ne discende, da un lato, l’affermazione secondo cui spetta al giudice nazionale verificare se la condizione richiesta dalla "sentenza Taricco", secondo cui le disposizioni del codice penale in questione impediscono di infliggere sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’UE, conduca a una situazione di incertezza nell’ordinamento giuridico italiano, quanto alla determinazione del regime di prescrizione applicabile, incertezza che contrasterebbe con il principio della determinatezza della legge applicabile, per cui, se così effettivamente fosse, il giudice nazionale non sarebbe tenuto a disapplicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161.

Dall’altro, il principio che i menzionati requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività, ostano a che, nei procedimenti relativi a persone accusate di aver commesso reati in materia di IVA prima della  pronuncia della "sentenza Taricco", ovvero anteriormente all’8 settembre 2015, il giudice nazionale possa disapplicare le disposizioni del codice penale in precedenza indicate, in quanto tali persone verrebbero ad essere retroattivamente assoggettate a un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.

Alla luce di tali considerazioni, il giudice europeo ha risolto la questione pregiudiziale posta dalla Corte Costituzionale dichiarando che «l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE deve essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di IVA, disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che ostino all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione o che prevedano, per i casi di frode grave che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, a meno che una disapplicazione siffatta comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell’applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato».

Alla luce del chiarimento interpretativo offerto dalla sentenza cd. "Taricco-bis"  che, nella sostanza, ha ribadito i contorni della "regola Taricco", ma ha confermato che essa può trovare applicazione solo se è rispettosa del principio di legalità in materia penale, nella duplice componente della determinatezza e del divieto di retroattività  la Corte costituzionale, con sentenza 115/2018 del 31 maggio 2018, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale (sollevate dalla Corte di cassazione e dalla Corte d’appello di Milano) dell’articolo 2 della legge di autorizzazione alla ratifica del Trattato di Lisbona (L. 130/2008), là dove dà esecuzione all’articolo 325 del TFUE, come interpretato dalla Corte di Giustizia con la "sentenza Taricco", ritenendo che i giudici non siano tenuti ad applicare la "regola Taricco" sul calcolo della prescrizione, stabilita dalla CGUE con la sentenza dell’8 settembre 2015 per i reati in materia di IVA.

Ad avviso della Consulta, in particolare, indipendentemente dalla collocazione del momento di consumazione dei reati, prima o dopo l’8 settembre 2015, il giudice comune non può applicare la "regola Taricco", perché essa è in contrasto con il principio di determinatezza in materia penale, consacrato dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione. Un istituto, infatti, che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena, nel nostro ordinamento giuridico rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza, sicché appare evidente il deficit di determinatezza che caratterizza, sia l’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE (per la parte da cui si evince la "regola Taricco"), sia la "regola Taricco" in sé.

Quest’ultima, per la porzione che discende dal paragrafo 1 dell’art. 325 TFUE, risulta irrimediabilmente indeterminata nella definizione del «numero considerevole di casi» in presenza dei quali può operare, perché il giudice penale non dispone di alcun criterio applicativo della legge che gli consenta di trarre da questo enunciato una regola sufficientemente definita. Né a tale giudice può essere attribuito il compito di perseguire un obiettivo di politica criminale svincolandosi dal governo della legge al quale è invece soggetto (art. 101, secondo comma, Cost.). Nella prospettiva fatta propria dalla Corte costituzionale, peraltro, indeterminato appare il contenuto normativo dell’art. l’art. 325 TFUE, in punto di prevedibilità, non consentendo ai consociati di prospettarsi la vigenza della "regola Taricco".

Sotto tale profilo il giudice delle leggi ribadisce che il principio di determinatezza ha una duplice direzione, non limitandosi a garantire, nei riguardi del giudice, la conformità alla legge dell’attività giurisdizionale, mediante la produzione di regole adeguatamente definite per essere applicate, ma (e verrebbe da dire soprattutto) anche assicurando a chiunque «una percezione sufficientemente chiara ed immediata» dei possibili profili di illiceità penale della propria condotta (sentenze 327/2008 e 5/2004; nello stesso senso, sentenza 185/1992).

Pertanto, quand’anche la "regola Taricco" potesse assumere, grazie al progressivo affinamento della giurisprudenza europea e nazionale, un contorno meno sfocato, ciò non varrebbe a «colmare l’eventuale originaria carenza di precisione del precetto penale» (sentenza 327/2008). Infatti, se è vero che anche «la più certa delle leggi ha bisogno di "letture" ed interpretazioni sistematiche» (sentenza 364/1988), resta fermo che esse non possono surrogarsi integralmente alla praevia lex scripta, con cui si intende garantire alle persone «la sicurezza giuridica delle consentite, libere scelte d’azione» (sentenza 364/1988). Fermo restando, dunque, che compete alla sola CGUE interpretare con uniformità il diritto UE, e specificare se esso abbia effetto diretto, è anche indiscutibile che, come ha riconosciuto la "sentenza Taricco-bis", un esito interpretativo non conforme al principio di determinatezza in campo penale non può avere cittadinanza nel nostro ordinamento.

L’inapplicabilità della "regola Taricco", peraltro, ha la propria fonte non solo nella Costituzione repubblicana, ma nello stesso diritto UE, sicché non vi è, ad avviso del giudice delle leggi, alcuna ragione di contrasto. Ciò comporta la non fondatezza di tutte le questioni sollevate, perché, a prescindere dagli ulteriori profili di illegittimità costituzionale dedotti, la violazione del principio di determinatezza in materia penale sbarra la strada senza eccezioni all’ingresso della "regola Taricco" nel nostro ordinamento.

Nel solco interpretativo sinteticamente riassunto, si colloca un recente e condivisibile arresto di legittimità, in cui, partendo proprio dai principi affermati nella sentenza della CGUE "Taricco-bis" e nella ordinanza 24/2017 della Corte costituzionale, si afferma che in tema di reati tributari commessi antecedentemente alla sentenza della Grande Sezione della CGUE, pronunciata l’8/09/2015 in causa C105/14, Taricco, continua ad applicarsi integralmente la normativa sulla prescrizione, non potendo il giudice nazionale disapplicarla stante il divieto di irretroattività, ai sensi dell’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, così come interpretato dalla CGUE (Grande Sezione) con sentenza del 05/12/2017, in causa C- 42/17 (Sez. 2, 9494/2018) (la ricostruzione sistematica si deve a Sez. 5, 41419/2018).

In tema di prescrizione dei reati non è consentita la simultanea applicazione delle disposizioni introdotte dalla L. 251/2005 e di quelle precedenti, secondo il criterio della maggiore convenienza dell’imputato; occorre quindi applicare integralmente l’una o l’altra disciplina, in relazione alle previsioni della norma transitoria di cui all’art. 10 comma 2 della stessa legge (Sez. 1, 313/2019).

 

Compatibilità tra proscioglimento per prescrizione e confisca

Si segnala che Cass. Pen. Sez. 2, 40380/2019 ha rimesso alle Sezioni unite il seguente quesito: "Se, in caso di declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, sia consentito l'annullamento con rinvio, limitatamente alla statuizione sulla confisca, ai fini della valutazione da parte del giudice di rinvio della proporzionalità della misura, secondo il principio indicato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo 28 giugno 2018 G.I.E.M. SRL e altri c. Italia".

Le Sezioni unite hanno così risolto il quesito: La confisca di cui all’art. 44 DPR 380/2001 può essere disposta anche in presenza di un causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129 comma 1, CPP, proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento. In caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusive per prescrizione, il giudice di appello e la Corte di Cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis CPP, a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui all’art. 44 DPR 380/2001 (SU, 13539/2020).

La giurisprudenza di legittimità aveva già affermato che il proscioglimento per intervenuta prescrizione maturato nel corso del processo non osta, sulla base di una lettura costituzionalmente (Corte costituzionale., sentenza 49/2015) e convenzionalmente orientata, alla confisca del bene oggetto di lottizzazione abusiva, a condizione che il suddetto reato venga accertato, con adeguata motivazione, nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, posto che l’obbligo di accertamento imposto al giudice per l’adozione del provvedimento ablativo prevale su quello generale della immediata declaratoria della causa di non punibilità, ex art. 129 CPP (Sez. 3, 15126/2018).

Ne consegue che, in presenza di detta causa estintiva del reato, il giudice del dibattimento non ha l’obbligo di dichiararla immediatamente ex art. 129 CPP, ma deve procedere al necessario accertamento del reato nelle sue componenti, oggettive e soggettive, assicurando alla difesa il più ampio diritto alla prova e al contraddittorio, e a tal fine, pur in presenza della sopravvenuta prescrizione, deve proseguire l’istruttoria dibattimentale (Sez. 3, 43630/2018): il giudizio deve dunque proseguire, pur a seguito della estinzione per prescrizione del reato, al fine esclusivo dell’accertamento della legittimità della confisca, e il parametro di giudizio e la conseguente completezza dell’istruttoria non subiscono modifiche rispetto a quanto necessario per giungere a una sentenza di condanna, posto che deve essere accertata la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva al momento dell’esercizio dell’azione penale (Sez. 3, 35313/2016).

Tali criteri ermeneutici sono stati recepiti dal legislatore, mediante l’introduzione dell’art. 578-bis CPP (inserito dall’art. 6, comma 4, DLGS 21/2018), rubricato "Decisione sulla confisca in casi particolari nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione", in base al quale "Quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato", così codificando il suddetto principio di creazione giurisprudenziale, secondo il quale può disporsi la confisca anche nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, a condizione che sia compiutamente accertata la configurabilità del reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sulla base del medesimo standard probatorio richiesto per la pronuncia della sentenza di condanna.

Tale quadro interpretativo non è mutato, per quanto riguarda il caso in esame, nel quale la confisca è stata disposta nei confronti di soggetti che hanno partecipato al processo e a seguito dell’accertamento da parte del primo giudice della loro responsabilità, per effetto della pronuncia resa dalla Grande Camera della Corte EDU il 28 giugno 2018, nella causa G.I.E.M. S.r.l. e altri c. Italia, con la quale sono stati affrontati plurimi profili collegati ai rapporti tra la confisca urbanistica e la sopravvenuta prescrizione del reato. Per quanto rileva nel caso in esame la Corte EDU ha chiarito che i principi di legalità e colpevolezza, contemplati dall’art. 7 CEDU, nonché la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 6 § 2, non consentono che la confisca venga disposta in assenza di un sostanziale dichiarazione di responsabilità, pur se adottata in mancanza della pronuncia di una formale sentenza di condanna.

Ferma restando l’imprescindibile necessità di garantire il diritto di difesa nella sua massima esplicazione e secondo i parametri di cui all’art. 6 CEDU, la Corte ha affermato che «qualora i tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell’articolo 7, che in questo caso non è violato» (§ 261). Ne consegue che la compatibilità tra la confisca urbanistica e la pronuncia di una sentenza di prescrizione è, in astratto, pienamente conforme ai principi convenzionali, dovendosi invece appuntare l’attenzione sul dato sostanziale dell’avvenuto accertamento dell’esistenza del reato e della colpevolezza dell’imputato, attuando tutte le garanzie proprie della natura penale della sanzione irrogata.

È dunque possibile disporre la confisca urbanistica anche in caso di sentenza di prescrizione, ma la decisione sulla confisca  proprio perché in ottica convenzionale integra una decisione sanzionatoria di tipo penale  deve necessariamente essere adottata secondo standard probatori e con il rispetto delle garanzie proprie delle pronunce formali di condanna (Sez. 3. 5936/2019).

 

Considerazione della prescrizione in ambito estradizionale

Nei rapporti di estradizione regolati dalla Convenzione europea del 13 dicembre 1957, l’avvenuta prescrizione del reato è causa ostativa all’accoglimento della domanda, secondo la legislazione della parte richiedente o della parte richiesta ex art. 10 L. 300/1963, unicamente nello ambito delle estradizioni cosiddette processuali, relative cioè all’esercizio della azione penale o comunque ad un procedimento in corso di svolgimento non ancora esaurito con sentenza definitiva e non anche nell’ambito delle estradizioni avviate per finalità di esecuzione penale cosiddette esecutive (Sez. 6, 37657/2014).

 

Altre questioni

È inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso per cassazione del PM avverso la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione o di assoluzione, quando il termine di legge è spirato in data precedente a quella della decisione della Corte di cassazione (Sez. 2, 30276/2017).

Non rientra nei poteri del GE la dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato oggetto della sentenza definitiva di condanna, maturata nella pendenza del procedimento di cognizione, in quanto le cause di estinzione del reato che possono essere dichiarate in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 676 CPP, sono esclusivamente quelle che operano dopo il passaggio in giudicato della condanna (Sez. 1, 7164/2016).

In tema di prescrizione, grava sull’imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali poter desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti (Sez. 3, 27061/2014, richiamata da Sez. 3, 978/2019).

In tema di prescrizione, non basta una mera e diversa affermazione da parte dell’imputato a fare ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l’incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine con la conseguente applicazione del principio «in dubio pro reo», atteso che, in base al principio generale per cui ciascuno deve dare la dimostrazione di quanto afferma, grava sull’imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto con quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione (Sez. 3, 13613/2019).

La Corte costituzionale, con la sentenza 143/2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 157, sesto comma, nella parte in cui prevede che i termini di cui ai precedenti commi del medesimo articolo siano raddoppiati, rispetto al reato di incendio colposo, ai sensi dell’art. 449, in riferimento all’art. 423. La Consulta, a fondamento dell’assunto, ha posto in evidenzia che la disciplina di cui all’art. 157, comma sesto, determina una anomalia di ordine sistematico, laddove il termine prescrizionale per i delitti realizzati in forma colposa- nella specie l’incendio v risulta addirittura superiore rispetto alla corrispondente ipotesi dolosa, se pure identica sul piano oggettivo.

Il giudice delle leggi, muovendo dalla considerazione per cui la regola generale di computo della prescrizione non può certo ritenersi inderogabile da parte del legislatore, ha evidenziato che soluzioni ampliative dei termini di prescrizione ordinari possono essere giustificate, come emergente dai lavori parlamentari relativi alla legge in esame, sia dal particolare allarme sociale generato da alcuni tipi di reato, il quale comporti una "resistenza all’oblio" nella coscienza comune più che proporzionale all’energia della risposta sanzionatoria; sia dalla speciale complessità delle indagini richieste per il loro accertamento e dalla laboriosità della verifica dell’ipotesi accusatoria in sede processuale, cui corrisponde un fisiologico allungamento dei tempi necessari per pervenire alla sentenza definitiva.

La discrezionalità legislativa in materia deve essere esercitata, tuttavia, nel rispetto del principio di ragionevolezza e in modo tale da non determinare ingiustificabili sperequazioni di trattamento tra fattispecie omogenee, come invece era avvenuto nel caso esaminato. Con la recente sentenza 265/2017 la Corte costituzionale ha, invece, dichiarato l’infondatezza di analoga questione posta in relazione al reato di disastro colposo, risultante dal combinato disposto degli artt. 449 e 434, il cui termine prescrizionale, in base alla regola del raddoppio, risulterebbe uguale a quello previsto per il disastro doloso, disciplinato dall’art. 434 comma 2.

La Corte costituzionale, ha in tal caso, escluso la possibilità di estendere in via interpretativa il portato demolitorio della precedente sentenza 143/2014, posto che tale pronuncia si basava specificamente sull’analisi comparativa dei reati di incendio colposo e doloso per i quali la regola del raddoppio rendeva il termine di prescrizione non uguale ma nettamente più lungo per il primo rispetto al secondo.

La Corte ha invero precisato che con la precedente pronuncia non si era affatto inteso affermare che vi sia una inderogabile esigenza costituzionale di stabilire, senza possibilità di eccezioni, per l’ipotesi colposa un termine di prescrizione diverso e più breve di quello valevole per la versione dolosa del medesimo reato, registrandosi nel nostro sistema un ragguardevole numero di casi di equiparazione. Ha altresì, e in termini più generali, considerato che al legislatore non è precluso di ritenere, nella sua discrezionalità, che in rapporto a determinati delitti colposi la "resistenza all’oblio" nella coscienza sociale e la complessità dell’accertamento dei fatti siano omologabili a quelle della corrispondente ipotesi dolosa, giustificando, con ciò, la sottoposizione di entrambi ad un identico termine prescrizionale.

Ciò che dunque fonda e giustifica tali situazioni derogatorie sono ad avviso della giudice delle leggi proprio gli elementi sopra richiamati del livello di allarme sociale e laboriosità delle attività accertative dell’illecito (Sez. 4, 15206/2018).