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Art. 455 - Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate

1. Chiunque, fuori dei casi preveduti dai due articoli precedenti, introduce nel territorio dello Stato, acquista o detiene monete contraffatte o alterate, al fine di metterle in circolazione, ovvero le spende o le mette altrimenti in circolazione, soggiace alle pene stabilite nei detti articoli, ridotte da un terzo alla metà.

Rassegna di giurisprudenza

I reati di cui agli artt. 455 e 457 si differenziano sia per l’elemento oggettivo che soggettivo in quanto la prima fattispecie comprende le condotte di spendita e di messa in circolazione di monete false con la consapevolezza della falsità fin dal momento della ricezione e la mera detenzione delle stesse integra il reato solo se accompagnata dalla volontà della successiva spendita; la seconda fattispecie invece comprende la spendita o la messa in circolazione delle monete con la consapevolezza della falsità acquisita soltanto in un momento successivo alla loro ricezione, di talché la mera detenzione rappresenta un antefatto penalmente irrilevante (Sez. 4, 6132/2018).

Premesso che l’elemento differenziale tra le due ipotesi di reato, punite rispettivamente dagli artt. 455 e 457, risiede nel momento in cui l’agente diventa consapevole della falsità della moneta da lui detenuta, poiché nella prima ipotesi, la scienza della falsità deve sussistere all’atto della ricezione delle monete contraffatte, mentre nella seconda tale scienza è posteriore al ricevimento, trattandosi nella prima ipotesi di delitto a dolo specifico, per cui l’agente deve essere cosciente della falsità sin dal momento in cui accetta la moneta contraffatta o comunque ne acquisisca il possesso e compia tali atti al fine di mettere in circolazione la moneta stessa- nella fattispecie in esame è stata correttamente esclusa la sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 457 (Sez. 5, 25642/2018).

La consapevolezza della falsità del denaro al momento della sua ricezione, che vale a distinguere il reato di cui all’art. 455 dalla diversa ipotesi di buona fede prevista dall’art. 457, può essere desunta anche dal difetto di una qualsiasi indicazione, da parte dell’imputato, sia della provenienza del denaro, che di un qualunque diverso e lecito fine della sua detenzione (Sez. 5, 40994/2014).

La differenza tra il reato di cui all’art. 457 e quello di cui all’art. 455 consiste nel fatto che per quest’ultimo la scienza della falsità delle monete deve sussistere nel colpevole all’atto della ricezione, mentre per il secondo tale scienza è invece posteriore al ricevimento della falsa moneta (Sez. 5, 30927/2010).

Gli elementi rappresentati dalla pluralità delle banconote contraffatte detenute, dalle modalità di occultamento, dalla spendita singolarmente di ciascuna banconota contraffatta, dal luogo e dalla ulteriore spendita della moneta ad un cittadino straniero sulla spiaggia offrono un congruo apparato argomentativo alla ritenuta sussistenza della consapevolezza, in capo al soggetto agente, della falsità delle banconote al momento della loro ricezione (Sez. 4, 25500/2007).

Ai fini della configurabilità del reato di detenzione di monete contraffatte, per metterle in circolazione, è necessario il dolo specifico  sub specie di intenzione del soggetto agente  di mettere in circolazione le banconote contraffatte, ricevute in malafede della falsità in sigilli  che può essere liberamente, purché logicamente, desunto da qualsiasi elemento sintomatico; pertanto, è, a tal fine, rilevante il difetto di qualsiasi indicazione, da parte dell’imputato, in ordine alla provenienza delle dette banconote nonché di un qualunque diverso lecito fine della detenzione, trattandosi di elementi sintomatici e convergenti, e, quindi, valutabili, in concorso di altri elementi, nel riconoscimento del dolo (Sez. 5, 10539/2015).

Al fine dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato di spendita di monete falsificate, previsto dall’art. 455, non occorre un’assoluta conoscenza della falsità nel momento in cui sono ricevute, essendo sufficiente anche il dubbio per escludere quella buona fede nella ricezione, che, nei congrui casi, trasferisce il fatto sotto il titolo meno grave dell’art. 457 (Sez. 5, 19465/2010).