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Art. 457 - Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede

1. Chiunque spende, o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate, da lui ricevute in buona fede, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1.032 (1).

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

I reati di cui agli artt. 455 e 457 si differenziano sia per l’elemento oggettivo che soggettivo in quanto la prima fattispecie comprende le condotte di spendita e di messa in circolazione di monete false con la consapevolezza della falsità fin dal momento della ricezione e la mera detenzione delle stesse integra il reato solo se accompagnata dalla volontà della successiva spendita; la seconda fattispecie invece comprende la spendita o la messa in circolazione delle monete con la consapevolezza della falsità acquisita soltanto in un momento successivo alla loro ricezione, di talché la mera detenzione rappresenta un antefatto penalmente irrilevante (Sez. 4, 6132/2018).

Premesso che l’elemento differenziale tra le due ipotesi di reato, punite rispettivamente dagli artt. 455 e 457, risiede nel momento in cui l’agente diventa consapevole della falsità della moneta da lui detenuta, poiché nella prima ipotesi, la scienza della falsità deve sussistere all’atto della ricezione delle monete contraffatte, mentre nella seconda tale scienza è posteriore al ricevimento, trattandosi nella prima ipotesi di delitto a dolo specifico, per cui l’agente deve essere cosciente della falsità sin dal momento in cui accetta la moneta contraffatta o comunque ne acquisisca il possesso e compia tali atti al fine di mettere in circolazione la moneta stessa ; nella fattispecie in esame è stata correttamente esclusa la sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 457 (Sez. 5, 25642/2018).

La consapevolezza della falsità del denaro al momento della sua ricezione, che vale a distinguere il reato di cui all’art. 455 dalla diversa ipotesi di buona fede prevista dall’art. 457, può essere desunta anche dal difetto di una qualsiasi indicazione, da parte dell’imputato, sia della provenienza del denaro, che di un qualunque diverso e lecito fine della sua detenzione (Sez. 5, 40994/2014).

La differenza tra il reato di cui all’art. 457 e quello di cui all’art. 455 consiste nel fatto che per quest’ultimo la scienza della falsità delle monete deve sussistere nel colpevole all’atto della ricezione, mentre per il secondo tale scienza è invece posteriore al ricevimento della falsa moneta (Sez. 5, 30927/2010).

L’art. 457 punisce la spendita o la messa in circolazione di valori di bollo acquistati in buona fede, mentre l’art. 459 è applicabile ove, a fronte delle medesime condotte, l’autore agisca in mala fede (Sez. 5, 15154/2016).

La pluralità delle monete false, prodotte o spese, costituisce un evidente indizio del dolo dell’agente (Sez. 5, 12192/2015).

Il richiamo, contenuto nell’art. 459, alle disposizioni dei precedenti articoli 453, 455 e 457, implica che il generico riferimento della prima disposizione alle stesse condotte di acquisto, detenzione e messa in circolazione di valori di bollo contraffatti regolate dagli articoli richiamati„ debba essere integrato alla stregua degli elementi costitutivi delle singole fattispecie oggetto del rinvio recettizio. In particolare, con riguardo al requisito della “messa in circolazione”, va considerato che se esso costituisce elemento costitutivo del reato di cui all’art. 453 nr. 3, si trasforma in semplice elemento finalistico della condotta di acquisto o ricezione nella immediatamente successiva previsione del nr. 4, non essendo quindi in questo caso accertare l’effettivo uso dei valori (Sez. 2, 3222/2014).

Il rinvio dell’art. 459 alle disposizioni degli articoli 453, 455 e 457 non può intendersi come un semplice richiamo “quoad poenam”, sicché per la individuazione delle relative fattispecie è necessario far riferimento al complessivo contenuto delle disposizioni richiamate, conseguendone che in caso di detenzione di valori di bollo contraffatti o alterati, occorre accertare se la detenzione sia avvenuta al fine della messa in circolazione, così come richiesto dall’art. 455. Solo se tale fine è escluso, non sussiste il reato di cui all’art. 459 (Cass. pen., 22.1.1983).