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Art. 458 - Parificazione delle carte di pubblico credito alle monete

1. Agli effetti della legge penale, sono parificate alle monete le carte di pubblico credito.

2. Per carte di pubblico credito s’intendono, oltre quelle che hanno corso legale come moneta, le carte o cedole al portatore emesse dai governi, e tutte le altre aventi corso legale emesse da istituti a ciò autorizzati.

Rassegna di giurisprudenza

Nel caso in esame viene in rilievo il delitto di cui all’art. 453, comma 3, in relazione all’art. 458, che equipara alle monete “le carte di pubblico credito”, dovendosi intendere per tali “oltre quelle che hanno corso legale come moneta, le carte e cedole al portatore emesse dai Governi, e tutte le altre aventi corso legale emesse da istituti a ciò autorizzati”; la Corte territoriale ha ritenuto che la falsificazione sia integrata dalla riproduzione grafica volta a dare conto di un’apparente autenticità dei titoli e del loro regolare corso di circolazione.

Orbene, secondo la previsione normativa la falsificazione può esprimersi nelle due forme alternative della contraffazione e della alterazione, ai sensi del citato art. 453 n. 3), che punisce “chiunque, non essendo concorso nella contraffazione o nell’alterazione, ma di concerto con chi l’ha eseguita ovvero con un intermediario, introduce nel territorio dello Stato o detiene o spende o mette altrimenti in circolazione monete contraffatte o alterate”.

Ed invero, come evidenziato in dottrina, la “contraffazione” si concretizza in una imitatici veri, vale a dire nella creazione non consentita, da parte, cioè, di chi non sia autorizzato, di monete (o di carte di pubblico credito) che abbiano un’apparenza di genuinità, mentre la “alterazione” presuppone la genuinità della moneta (o della carta di pubblico credito), consistendo in una modificazione dello stato preesistente della sostanza con cui la moneta è fatta e delle caratteristiche della moneta, finalizzata a creare l’apparenza di un valore superiore o inferiore (nel qual caso ricorrerà l’ipotesi di reato di cui all’art. 454) rispetto a quello effettivo.

Tale interpretazione del significato delle disposizioni normative in esame è stata fatta propria dalla tradizionale giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato che in tema di falso nummario l’alterazione integra gli estremi di reato (art. 453 n. 2, art. 454) solo se vale ad attribuire alla moneta l’apparenza di un valore superiore o inferiore, mentre per contraffazione deve intendersi la creazione di cosa simile ad altra, il che avviene dì norma per imitazione, ma può avvenire anche con un’alterazione-trasformazione tale da doversi assimilare alla contraffazione (Sez. 5, 1416/1985).

Orbene non appare revocabile in dubbio che l’attività di falsificazione definita nelle due forme della “contraffazione” e della “alterazione” presuppone necessariamente l’esistenza, nella realtà fenomenica del mondo degli scambi economici, commerciali e finanziari, di beni, rappresentati da monete o da carte di pubblico credito, effettivamente esistenti, rispetto ai quali la falsificazione opera nel senso di creare un’apparenza di genuinità o dì un valore diverso da quello effettivo, idonea a trarre in inganno i terzi.

Ciò appare ancor più evidente ove si rammenti che il bene giuridico protetto dalle norme incriminatrici in tema di falso nummario, è la fede pubblica, da intendere, tuttavia, in questo caso, specificamente, come la fiducia riposta dal pubblico nella sicurezza della circolazione delle monete ovvero di quei titoli cartolari rappresentati dalle carte di pubblico credito, utilizzati come strumento di pagamento alla stregua delle monete, che fondano il loro valore, in ultima istanza, sulla solvibilità degli Stati che ne autorizzano l’emissione da parte dei rispettivi governi o degli istituti a ciò autorizzati.

Solo un’attività di falsificazione che determini la circolazione di monete o di carte di pubblico credito che hanno l’apparenza di quelle realmente esistenti, infatti, è in grado di ledere il bene giuridico protetto della fede pubblica nel senso in precedenza indicato, mentre quando la suddetta attività si sostanzi nella creazione di una moneta o dì una carta di pubblico credito sconosciuta alla realtà fenomenica ed alla storia degli scambi economici, commerciali e finanziari (anche le monete ed i titoli fuori corso, infatti, sono dotati di valore nel mercato numismatico e possono formare oggetto di contrattazioni) tale, cioè, da risultare del tutto inesistente, è altrove che va ricercata la eventuale rilevanza penale di tale condotta (che, ad esempio, potrebbe integrare gli estremi degli artifizi o dei raggiri di cui al reato di truffa previsto dall’art. 640).

Si è affermato a tal proposito, in relazione alla emissione di “bond” del valore nominale ciascuno di 500 milioni di dollari U.S.A., risultanti emessi dalla “Federal Reserve Bank di Chicago, Stato dell’Illinois (U.S.A.)”, nonché di ulteriori “bond”, del valore nominale ciascuno di un miliardo di dollari americani, apparentemente emessi nel 1934 dalla “U.S. Federal Reserve”, il seguente principio di diritto (Sez. 5, 4261/2013): “non integra l’elemento oggettivo del delitto di cui agli artt. 453 e 458 l’attività di falsificazione che non consiste nella contraffazione o nella falsificazione di monete o di carte di pubblico credito effettivamente esistenti, ma nella semplice creazione di monete o carte di pubblico credito del tutto sconosciute alla storia ed alla realtà degli scambi economici, commerciali e finanziari, per non essere mai esistite”.

Il principio è stato ripreso anche da altra decisione (Sez. 5, 15962/2015) resa rispetto alla condotta di detenzione a fini di circolazione di titoli e banconote USA di tipologie mai emesse dalla “Federal Reserve”, evidenziando che non assume rilievo la circostanza che il titolo di credito possa ingenerare il convincimento della effettiva sua adozione da parte dell’Istituto apparentemente emittente (Sez. 5, 19441/2016).

Si deve affermare che  al di fuori di speciali tutele assicurate anche a monete che stavano per acquisire o avevano da poco perso la caratteristica del “corso legale”, perché considerate comunque mezzi di possibile pagamento con efficacia liberatoria  la imitazione di monete o carte di pubblico credito che mai sono state coniate dallo Stato come mezzo di pagamento, non ricade nella sfera di operatività degli articoli 453 e 458, a nulla rilevando, nella specifica ottica che interessa il presente processo, che si tratti di titoli di credito che possano ingenerare il convincimento - effetto di una condotta peraltro sicuramente truffaldina- della avvenuta adozione da parte dell’Istituto di credito apparentemente emittente (Sez. 5, 15962/2015).

Non integra il reato di falso nummario la sola attività di creazione di monete o di carte di pubblico credito non realmente esistenti, né mai esistite nella storia dei rapporti economici, finanziari e commerciali (Sez. 5, 4261/2013).