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Art. 90 - Stati emotivi o passionali

1. Gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità.

Rassegna di giurisprudenza

Appare assolutamente pacifica l’irrilevanza dei detti stati emotivi e passionali ai fini della sussistenza del dolo, alla luce della disposizione di cui all’art. 90, potendo gli stessi rilevare ai fini dell’imputabilità, a condizione che essi si inseriscano eccezionalmente in un quadro più ampio di "infermità", tale per consistenza, intensità e gravità da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il reato sia causalmente determinato dal disturbo mentale (Sez. 5, 55384/2018).

I disturbi della personalità sono iscrivibili nel novero delle infermità psichiche e possono dare luogo al vizio di mente a condizione che «siano di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla capacità di intendere e di volere» e si pongano in relazione eziologica con il fatto di reato contestato in modo da ritenerlo determinato dal disturbo mentale (SU, 9163/2005).

Le gravi alterazioni psichiche  anche se normalmente riferibili a stati emotivi e passionali in quanto tali inidonei a integrare una condizione patologica, ai sensi dell’art. 90  possono costituire «manifestazioni di una vera e propria malattia che compromette la capacità di intendere e di volere, incidendo sull’attitudine della persona a determinarsi in modo autonomo, con possibilità di optare per la condotta adatta al motivo più ragionevole e di resistere, quindi, agli stimoli degli avvenimenti esterni (Sez. 1, 3170/1995).

I disturbi della personalità, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità (SU, 9163/2005).

Esula dalla nozione di infermità mentale il gruppo delle cosiddette abnormità psichiche come nevrosi d’ansia o reazioni «a corto circuito», che hanno natura transitoria e non sono indicative di uno stato morboso, inteso come ragionevole alterazione della capacità di intendere e di volere, sicché non sono in grado di incidere sull’imputabilità del soggetto che ne è portatore (Sez. 1, 23295/2014).

Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, se è vero che possono rientrare nel concetto di infermità anche i disturbi della personalità o comunque tutte quelle anomalie psichiche non inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, non è meno vero che tale rilievo può darsi sempre che tali disturbi od anomalie siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere, escludendola o facendola scemare grandemente, e sussista un nesso eziologico tra disturbo mentale e condotta criminosa, mentre nessun rilievo deve riconoscersi ad altre anomalie caratteriali o alterazioni o disarmonie della personalità prive dei caratteri predetti, nonché agli stati emotivi e passionali che non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità (Sez. 1, 48841/2013).

In aderenza al disposto dell’art. 90, occorre confermare che gli stati emotivi o passionali, in ragione della loro stessa natura, possono ordinariamente incidere, in modo più o meno sensibile, sulla lucidità mentale del soggetto agente, ma ciò, tuttavia, in linea di principio, non esclude o diminuisce l’imputabilità. Affinché essi possano concretamente influire sull’imputabilità necessita invece un quid pluris che, associato allo stato emotivo o passionale, si traduca in un fattore tale da determinare uno stato assimilabile a un vero e proprio stato di malattia mentale, sia pure di natura transeunte e non inquadrabile nell’ambito di una precisa classificazione nosografica.

Di conseguenza, quando l’esistenza di questo decisivo fattore aggiuntivo non emerga dall’istruttoria svolta e, specificamente, dall’analisi peritale correttamente espletata sulla scorta degli apporti, aggiornati e criticamente analizzati, della scienza psichiatrica, il giudice di merito, nel quadro normativo indicato, non può razionalmente attribuire a turbamenti della sfera psico-intellettiva e volitiva che costituiscano il naturale portato di meri stati emotivi o passionali (quando di questi sia acclarata l’evenienza) il carattere di infermità in senso proprio, tale da spiegare effetti giuridicamente rilevanti, ai sensi degli artt. 88 e 89, ai fini dell’esclusione o della riduzione della capacità d’intendere o di volere (Sez. 1, 12809/2017).

Il complesso normativa costituito dagli artt. 85, 88, 89 e 90 richiede, ai fini della ·esclusione o della attenuazione di essa, una infermità di natura ed intensità tali da compromettere i processi conoscitivi, valutativi e volitivi della persona, eliminando o scemando la capacità di percepire il disvalore sociale del fatto e di autodeterminarsi autonomamente (sempre a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale).

Le cosiddette "anormalità psichiche", quali le nevrosi o le psicopatie, non indicative di uno stato morboso a differenza delle psicosi acute o croniche, non sono annoverabili tra le infermità mentali anzidette e non sono rilevanti ai fini dell’applicazione degli artt. 88 e 89 (Sez. 1, 52951/2014). Spetta tuttavia al giudice la valutazione delle risultanze processuali, ivi compresa la richiesta di giudizio abbreviato quale atto personale incompatibile con l’esistenza di vizi di mente, per apprezzare, con giudizio insindacabile in sede di legittimità, la meritevolezza della richiesta di perizia psichiatrica (Sez. 3, 55301/2016).

Va infine precisato che l’accertamento della capacità di intendere e di volere dell’imputato costituisce questione di fatto la cui valutazione compete al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se esaurientemente motivata (Sez. 4, 2318/2018).