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Art. 133 - Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena

1. Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:

1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione;

2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;

3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

2. Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:

1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;

2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;

3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;

4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

Rassegna di giurisprudenza

L'irrogazione della pena in una misura prossima al massimo edittale rende necessaria una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, non essendo sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 3, 7875/2022).

La graduazione della pena, inoltre, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 7, 5420/2019).

La scelta della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 73 comma 5-bis DPR 309/1990 deve necessariamente avvenire nel giudizio di primo grado di cognizione (non può essere avanzata per la prima volta in sede di appello), ma soprattutto, il giudice di cognizione per espressa statuizione della norma, deve previamente escludere la possibilità di concedere all’imputato la sospensione condizionale della pena e, quindi, in presenza degli altri presupposti previsti (della condizione soggettiva di tossicodipendente o di assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, della richiesta dell’imputato e del parere del pubblico ministero), effettua in quella sede una scelta discrezionale, sulla quale si forma il giudicato. Nel prendere tale decisione, il giudice avrà riguardo principalmente al parametro espresso dall’art. 27 Cost., in particolare all’idoneità della misura in ordine alla rieducazione del condannato, secondo i parametri di cui agli artt. 132 e 133, oltre che ai parametri dettati nello stesso art. 73 comma 5-bis (Sez. 1, 3538/2019).

Poiché anche in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la motivazione resa sul punto è insindacabile in sede di legittimità, qualora sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133, considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, 43952/2017), di modo che anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Sez. 5, 2464/2019).

In tema di sostanze stupefacenti, quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di applicazione di pena ex art. 444 CPP, interviene la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, il giudicato permane quanto ai profili relativi alla sussistenza del fatto, alla sua attribuibilità soggettiva e alla sua qualificazione giuridica, ma il giudice della esecuzione deve rideterminare la pena, attesa la sua illegalità sopravvenuta, in favore del condannato con le modalità di cui al procedimento previsto dall’art. 188 ATT. CPP e solo in caso di mancato accordo, ovvero di pena concordata ritenuta incongrua, provvede autonomamente ai sensi degli artt. 132-133 (SU, 42858/2015).

La commisurazione in concreto della pena nel rispetto dei limiti edittali non è mai un’operazione neutra, ma è sempre condizionata dalla pena prevista in astratto, sicché la valutazione giudiziale può cambiare col mutare dei limiti edittali previsti dalla legge ed è proprio la necessaria «individualizzazione del trattamento sanzionatorio» che dovrebbe portare ad escludere ogni automatismo, atteso che, diversamente, vi sarebbe un concreto rischio di applicazione di una pena sganciata dall’accertamento del fatto. Ne consegue che la determinazione della pena-base al minimo edittale, così come il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ovvero la scelta inerente il giudizio di bilanciamento tra le circostanze, sono questioni che non possono che risentire della cornice editale entro cui il giudice si muove. Il GE non deve procedere quindi alla determinazione della pena applicando il criterio matematico-proporzionale, realizzando una sorta di automatismo nell’individuazione della sanzione, ma deve utilizzare i criteri di cui agli artt. 132 e 133, secondo i canoni dell’adeguatezza e della proporzionalità che tengano conto della nuova perimetrazione edittale (Sez. 5, 55884/2018).

La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti nonché per il riconoscimento del vincolo della continuazione, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 (Sez. 2, 46749/2018).

Costituisce principio consolidato quello secondo cui nel motivare il diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche il giudice non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è necessario e sufficiente che egli  con motivazione insindacabile in sede di legittimità, ove essa sia non contraddittoria  dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133, ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione: la segnalata ratio dell’art. 62-bis non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi al riconoscimento delle attenuanti (Sez. 1, 3253/2019).

Ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133, quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza univoca, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’ imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 4, 2932/2018).

La giovanissima età non rappresenta un dato meramente formale né tantomeno neutro. E infatti, se è vero che per l’ordinamento italiano un giovane o una giovane di 18 anni, in quanto maggiorenni, sono passibili di pena a pari modo di un adulto, per la scienza più moderna, invece, le facoltà cognitive non si perfezionano al compimento della maggiore età, ma sono ancora in fase di sviluppo e maturazione insieme alle competenze sociali e affettive almeno fino ai 20 anni di età.  Tali recenti acquisizioni hanno peraltro lasciato un segno a livello comunitario che il Comitato dei ministri di Europa – dopo avere chiarito che i suoi dicta avrebbero tenuto conto della CEDU, Della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, dell’insieme delle Regole delle Nazioni unite concernenti l’amministrazione della giustizia minorile (Regole di Pechino), dei Principi basilari delle Nazioni unite per la prevenzione della delinquenza giovanile (Principi basilari di Riyhad) e delle Regole delle Nazioni Unite per la protezione dei minori privati della libertà – ha testualmente raccomandato agli Stati membri di applicare le seguenti regole: "il grado di colpa dovrà essere precipuamente legato all’età ed alla maturità del responsabile, e corrispondere meglio allo stato di sviluppo di questi, mentre le sanzioni penali andranno applicate in parallelo al livello ed all’entità della sua responsabilità individuale" (raccomandazione n. 9); "per tenere conto dell’allungamento del periodo di transizione verso l’età adulta, dovrà essere possibile che i giovani di meno di 21 anni siano trattati in modo equiparabile a quello degli adolescenti, e che essi formino oggetti dei medesimi interventi, se il giudice ritenga che non siano maturi e consapevoli delle loro azioni come dei veri adulti (raccomandazione n. 11). Ma l’esigenza di tenere nel debito conto la non completa maturazione dei giovanissimi è avvertita anche a livello nazionale, tanto che il legislatore, all’art. 163, ha previsto una norma di favore in materia di sospensione condizionale "se il reato è commesso da persona di età superiore agli anni 18 ma inferiore agli anni 21"; e ha altresì, con l’art. 1, comma 85, n. 3, della legge 23 giugno 2017, in materia di modifiche dell’Ordinamento penitenziario, conferito al Governo delega finalizzata "alla previsione dell’applicabilità della disciplina per i minorenni quantomeno ai detenuti giovani adulti, nel rispetto dei processi educativi in atto". Dunque l’età dell’autore di un delitto, se inferiore ai 20 anni, costituisce un dato sostanziale e non formale che necessita di apposita e specifica motivazione per essere considerato quale elemento irrilevante ai fini della concessione delle attenuanti generiche (Sez. 1, 11607/2018).

Relativamente all’applicabilità dell’art. 131-bis si deve premettere che secondo il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite (SU, 13681/2016), ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis, il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. 2, 4414/2019).