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Art. 135 - Ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive

1. Quando, per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando euro 250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva (1).

(1) Articolo prima sostituito dall’art. 6, DLGS LGT 5 ottobre 1945, n. 679, dall’art. 1, L. 12 luglio 1961, n. 603, dall’art. 101, L. 689/1981, e dall’art. 1, L. 5 ottobre 1993, n. 402 e poi così modificato dal comma 62 dell’art. 3, L. 94/2009. La Corte costituzionale, con sentenza 10-17 marzo 1988, n. 304, aveva dichiarato l’illegittimità del comma primo dell’art. 175 c.p., nella parte in cui prevedeva che la non menzione nel certificato del casellario giudiziale di condanna a sola pena pecuniaria potesse essere ordinata dal giudice quando non fosse superiore a un milione, anziché a somma pari a quella risultante dal ragguaglio della pena detentiva di anni due, a norma dell’art. 135 c.p.

Rassegna di giurisprudenza

 

La continuazione, quale istituto di carattere generale, è applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee. Nei casi di reati puniti con pene eterogenee (detentive e pecuniarie) posti in continuazione, l’aumento di pena per il reato satellite va comunque effettuato secondo il criterio della pena unitaria progressiva per moltiplicazione, rispettando tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena previsto per il reato satellite, nel senso che l’aumento della pena detentiva del reato più grave andrà ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’art. 135 (SU, 40983/2018).

 

Non viola il divieto di reformatio in peius la sentenza del giudice d’appello quando riduce la pena detentiva inflitta in primo grado ed aumenta quella pecuniaria se, operato il ragguaglio di quest’ultima ai sensi dell’art. 135, l’entità finale della pena non risulti superiore a quella complessivamente irrogata dal giudice di primo grado (Sez. 6, 27723/2013).

 

In tema di guida in stato di ebbrezza alcolica di cui all’art. 186 CDS, comma 2, quando concorrano le circostanze aggravanti previste rispettivamente dai commi 2-bis e 2-sexies del citato art. 186, deve trovare applicazione l’art. 63, comma 4. In tal caso, pertanto, il giudice dovrà, ai sensi dell’art. 186 comma 2-bis CDS raddoppiare le sanzioni previste dal comma 2 (sia arresto e ammenda che durata della sanzione accessoria) e potrà poi, dandone conto in motivazione, ai sensi dell’art. 63 comma 4 operare un aumento fino ad un terzo della pena risultante, sia per quanto riguarda la componente detentiva che quella pecuniaria.

 

Tale ulteriore aumento, pertanto, andrà comunque operato secondo il criterio della pena unitaria progressiva per moltiplicazione -e quindi, va ribadito, l’aumento dovrà riguardare entrambe le pene (arresto e ammenda) - ma, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il quantum di aumento relativo all’arresto dovrà essere poi ragguagliato in pena pecuniaria ai sensi dell’art. 135 (Sez. 4, 42500/2018).

 

L’art. 459, comma 1 CPP consente al PM la richiesta di decreto penale quando ritiene che si debba applicare soltanto una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva. Il comma 1-bis del medesimo articolo, introdotto dall’art. 1, comma 53 della L.103/2017, stabilisce ora che "nel caso di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, il giudice, per determinare l’ammontare della pena pecuniaria, individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell’ammontare di cui al periodo precedente il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma di euro 75 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva e non può superare di tre volte tale ammontare. Alla pena pecuniaria irrogata in sostituzione della pena detentiva si applica l’articolo 133-ter del codice penale".

 

Tale disposizione deroga a quanto disposto dall’art. 135 in ordine al ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, disponendo che il computo vada effettuato calcolando 250,00 euro o frazione di 250,00 euro di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva ed è finalizzata, come si ricava dai lavori parlamentari, alla riduzione del numero dei detenuti presso le strutture carcerarie ed all’incameramento di maggiori somme sebbene non quantificabili. La dottrina, poi, ha individuato un ulteriore intento del legislatore nella necessità di diminuire il numero delle opposizioni al decreto penale di condanna, che si ritengono motivate soprattutto dalla gravosità della pena pecuniaria sostitutiva applicata, sebbene si sia fatto anche notare come le esigenze di contenimento del carico processuale incidano in misura significativa sulla determinazione della pena che denota una tendenza al ribasso, definita ormai "cronica". La modifica apportata alla norma codicistica, tuttavia, non costituisce affatto una novità, dal momento che l’art. 53, comma 2 L. 68/1981, come modificato dall’art. 4, comma 1 della L. 134/2003, dispone che "la sostituzione della pena detentiva ha luogo secondo i criteri indicati dall’articolo 57.

 

Per determinare l’ammontare della pena pecuniaria il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell’ammontare dì cui al precedente periodo il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall’articolo 135 del codice penale e non può superare di dieci volte tale ammontare. Alla sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria si applica l’articolo 133-ter del codice penale". Ancor più in generale può, inoltre, osservarsi che anche l’art. 133, prevede che il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale per la determinazione della pena, deve tenere conto "delle condizioni di vita individuale e familiare" del reo, suggerendo, quindi, una valutazione onnicomprensiva dello status del prevenuto, non esclusa, dunque, quella di carattere economico, mentre il successivo articolo 133-bis si riferisce alle valutazione delle condizioni economiche del reo agli effetti della pena pecuniaria attraverso una valutazione del tutto simile a quella richiesta dall’art. 53 della L. 689/1981.

 

Il riferimento alla condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare è stato collegato, con riferimento alla L. 689/1981, alla volontà del legislatore di consentire al giudice di disporre del più ampio numero di elementi valutativi al fine di determinare una pena effettiva ed efficacemente dissuasiva. Si è altresì richiamato l’art. 187 CPP il quale, nell’individuare l’oggetto della prova, individua non solo i fatti che si riferiscono all’imputazione e alla punibilità, ma anche quelli che riguardano la determinazione della pena o della misura di sicurezza.

 

Va ulteriormente considerato che la soluzione della questione in esame implica anche un confronto tra il contenuto dell’art. 459 CPP e quello del successivo art. 460 laddove, nel secondo comma, stabilisce che "con il decreto di condanna il giudice applica la pena nella misura richiesta dal pubblico ministero indicando l’entità dell’eventuale diminuzione della pena stessa al di sotto del minimo edittale; ordina la confisca, nei casi previsti dall’articolo 240, secondo comma del codice penale, o la restituzione delle cose sequestrate; concede la sospensione condizionale della pena. Nei casi previsti dagli articoli 196 e 197 del codice penale, dichiara altresì la responsabilità della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria".

 

Tali disposizioni risultano solo apparentemente in contrasto laddove l’art. 459, al comma 1-bis, consente al giudice di determinare la pena sostituita, mentre l’art. 460, al secondo comma, lo vincola ad applicare la pena nella misura richiesta dal PM, poiché una lettura coordinata delle stesse consente di ritenere che la "misura della pena" che vincola il giudice quando emette il decreto penale è quella detentiva indicata dal PM richiedente, utilizzata come moltiplicatore per il ragguaglio, che il giudice, appunto, "applica", mentre la pena "irrogata" cui si riferisce l’art. 459, comma 1 -bis è quella sostituita all’esito del calcolo, con la conseguenza che il giudice resta libero di rideterminare discrezionalmente il tasso giornaliero che, moltiplicato per i giorni di pena detentiva indicati dal PM, individua l’ammontare della pena pecuniaria sostitutiva (Sez. 3, 22463/2018).