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Art. 203 - Pericolosità sociale

1. Agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell’articolo precedente quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati.

2. La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell’articolo 133.

Rassegna di giurisprudenza

La valutazione stabilita dall’art. 203 costituisce compito esclusivo del giudice, il quale non può abdicarvi in favore di altri soggetti, né rinunciarvi, pur dovendo tener conto dei dati relativi alle condizioni mentali dell’imputato ed alle implicazioni comportamentali eventualmente indicate dagli esperti che si siano pronunciati in merito: pertanto, egli deve ritenere sussistente o persistente la pericolosità sociale ove accerti l’emersione del pericolo della commissione da parte del reo di nuovi reati mediante autonoma valutazione che deve tener conto dei rilievi peritali sulla personalità, sugli effettivi problemi psichiatrici e sulla capacità criminale del soggetto, nonché sulla base di ogni altro parametro desumibile dall’art. 133 c.p. (Fattispecie nella quale la corte di appello aveva confermato la sentenza di assoluzione dell’imputato che lo aveva ritenuto non imputabile al momento del fatto per vizio totale di mente ed aveva applicato inoltre la misura di sicurezza della libertà vigilata, basandosi esclusivamente sulle perizie svolte nei due gradi di giudizio. La Corte, in applicazione del principio enunciato, ha annullato la sentenza impugnata relativamente all’applicazione della misura di sicurezza con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla corte di appello competente) (Sez. 2, 15891/2022).

In tema di misure di sicurezza, la prognosi di pericolosità sociale non può limitarsi all'esame delle sole emergenze di natura medico-psichiatrica ma implica la verifica globale delle circostanze indicate dall'art. 133, espressamente richiamato dall'art. 203, fra cui la gravità del reato commesso e la personalità del soggetto, così da approdare ad un giudizio di pericolosità quanto più possibile esaustivo e completo (Sez. 4, 3925/2021).

Il concetto di pericolosità sociale (come fissato dall’art. 203) va riferito alla condizione della persona che ha commesso un fatto-reato o un quasi-reato e si trovi in condizioni per cui è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati. Posta tale base, è necessario sottolineare che la prognosi di pericolosità sociale rilevante agli effetti della legge penale non può limitarsi a richiamare la valutazione criminologica degli esperiti, ma deve necessariamente verificare l’esistenza delle condizioni che consentono di affermare un persistente pericolo di commissione in futuro di altri reati, esaminando  di certo  la personalità e gli effettivi problemi psichiatrici rilevati dai sanitari ma non obliterando l’analisi dei fatti già commessi dal reo e gli altri parametri stabiliti dalla legge, in primis dall’art. 133, per valutare ratione cognita l’effettivo pericolo di recidiva. Quindi, ove si limiti a recepire il parere del perito mutuandone la considerazione di persona pericolosa da lui formulata sulla scorta delle cognizioni specialistiche di ordine medico-psichiatrico, senza operare il completamento della verifica nei sensi sopra indicati, il giudice finisce per rifarsi a parametri non coincidenti con quelli stabiliti dall’art. 203. In questa prospettiva è pertanto necessario richiamare, riaffermandolo, il principio di diritto secondo cui la valutazione stabilita dall’art. 203 costituisce compito esclusivo del giudice, il quale non può abdicarvi in favore di altri soggetti, né rinunciarvi, pur dovendo tener conto dei dati relativi alle condizioni mentali dell’imputato ed alle implicazioni comportamentali eventualmente indicate dagli esperti che si siano pronunciati in merito: pertanto, egli deve ritenere sussistente o persistente la pericolosità sociale ove accerti l’emersione del pericolo della commissione da parte del reo di nuovi reati mediante autonoma valutazione che deve tener conto dei rilievi peritali sulla personalità, sugli effettivi problemi psichiatrici e sulla capacità criminale del soggetto, nonché sulla base di ogni altro parametro desumibile dall’art. 133 (Sez. 1, 50164/2017).

La valutazione stabilita dall’art. 203 costituisce compito esclusivo del giudice. La pericolosità va ritenuta sussistente o persistente, là dove sia accertata l’emersione del pericolo della commissione di nuovi reati mediante una valutazione che non si risolva in un generico richiamo alle considerazioni già svolte in occasione di precedenti accertamenti e ai fatti già scrutinati. Occorre, piuttosto, che il giudice spieghi le ragioni per le quali essi eventi (già posti a fondamento di precedenti decisioni) abbiano incidenza sul nuovo giudizio di pericolosità, cui si è chiamati e attualizzino lo stesso profilo di pericolosità, che sottostà alla decisione di reiterare la misura di sicurezza (Sez. 1, 42538/2018).

In relazione all’applicazione di una misura di sicurezza, la pericolosità sociale è sempre ancorata alla perpetrazione di un delitto, cui si aggiunge uno sfavorevole giudizio del giudice in ordine alla probabilità che il soggetto commetta in futuro nuovi reati (Sez. 1, 29695/2010, richiamata da Sez. 7, 6055/2019).

Le misure di sicurezza personali hanno presupposti sostanzialmente identici a quelli delle misure di prevenzione personali e tendono alla eliminazione della pericolosità sociale della persona cui esse si applicano e che la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare il principio secondo cui la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è applicabile anche nei confronti di persona detenuta, dovendosi distinguere tra "momento deliberativo e momento esecutivo" della misura ed attenendo unicamente all’esecuzione di questa la sua incompatibilità con lo stato di detenzione del proposto; con la conseguenza che l’esecuzione della misura di prevenzione personale può iniziare solo quando venga a cessare lo stato di detenzione, ferma restando la possibilità per il soggetto di chiederne la revoca, per l’eventuale venire meno della pericolosità in conseguenza dell’incidenza positiva sulla sua personalità della funzione risocializzante della pena (SU, 6/1993).

La dichiarazione di delinquenza abituale, a cui segue l’applicazione di misure di sicurezza personali, può intervenire anche in riferimento ad un soggetto che si trovi in stato di espiazione di pena detentiva, dovendo distinguersi tra il momento deliberativo e il momento di esecuzione della misura di sicurezza, a nulla rilevando che l’esecuzione sia lontana nel tempo, essendo sempre rivalutabile il giudizio di pericolosità (Sez. 1, 2698/2011).

La pericolosità sociale, in quanto normativamente correlata dall’art. 203 alle circostanze indicate nell’art. 133, non deve essere confusa con la pericolosità valutata esclusivamente sul piano psichiatrico, in riferimento alla natura e alla evoluzione dello stato patologico del soggetto e non può limitarsi perciò all’esame delle sole emergenze di natura medico-psichiatrica, ma deve implicare una verifica complessiva degli elementi contemplati dall’art. 133 tra cui la gravità del reato commesso e la personalità del soggetto, in modo da pervenire a un giudizio di pericolosità sociale il più possibile completo ed esaustivo (Sez. 1, 4094/2010). 

È necessario accertare la persistenza della pericolosità sociale al momento della sua effettiva applicazione, che è sempre ancorata a fatti inevitabilmente pregressi rispetto a tale momento e, precipuamente, alla perpetrazione di delitti, cui si aggiunge una sfavorevole prognosi in ordine alla probabilità che il soggetto commetta in futuro nuovi reati; ne consegue che, al fine di una corretta osservanza delle regole dettate dagli artt. 133, 202 e 203, al giudice è consentito richiamarsi ai fatti costituenti reato, intesi nella loro obiettività, soprattutto quando, per gravità e specificità, assumano connotazioni di significativo rilievo (Sez. 2, 24850/2017).

Nel caso di condanna per la partecipazione ad associazione di tipo mafioso, l’applicazione della misura di sicurezza prevista dall’art. 417 non richiede l’accertamento in concreto della pericolosità del soggetto, dovendosi ritenere operante, al riguardo, una presunzione semplice, desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla persistenza nel tempo del vincolo malavitoso, che può essere superata quando siano acquisiti elementi idonei ad escludere in concreto tale pericolosità (Sez. 6, 44667/2016).

In senso contrario: Anche nell’ipotesi prevista dall’art. 417, in base al quale, in caso di condanna per il delitto di associazione di stampo mafioso, è "sempre" ordinata una misura di sicurezza, l’applicazione in concreto di una misura di sicurezza diversa dalla confisca presuppone in ogni caso l’accertamento di un’attuale pericolosità del condannato ai sensi dell’art. 203 (Sez. 1, 3801/2014), la quale deve essere desunta dalle circostanze indicate nell’art. 133, globalmente considerate, tenendo conto, quindi, non solo della gravità dei reati commessi, ma anche dei fatti successivi e del comportamento osservato dal condannato durante e dopo l’espiazione della pena. Non si ignora il diverso orientamento, secondo cui, nel caso di condanna per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, l’applicazione della misura di sicurezza prevista dall’art. 417 non richiederebbe l’accertamento in concreto della pericolosità del soggetto, dovendosi ritenere operante, una presunzione semplice, desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla persistenza nel tempo del vincolo criminale (Sez. 6, 44667/2016). Trattasi, tuttavia, di orientamento non condivisibile, in quanto non conforme ai principi generali scolpiti in materia di misure di sicurezza personali, chiaramente enunciati negli artt. 203 e 679 CPP, nonché desumibili dall’intervenuta abrogazione dell’art. 204, che parlava dì "pericolosità sociale presunta" (abrogazione disposta dall’art. 31 L. 633/1986, recante modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà, il quale al secondo comma stabilisce che tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che chi ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa), dall’art. 207, che prevede la revoca della misura al venir meno della pericolosità sociale del sottoposto e dall’art. 208, che prevede il riesame della pericolosità, decorso il periodo minimo di durata della misura applicata. Inoltre, non può trascurarsi la maggiore coerenza della linea ermeneutica che qui si sostiene con l’evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi nella materia affine delle misure di prevenzione, che ha recentemente condotto le Sezioni unite a stabilire come anche nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso sia necessario accertare il requisito della "attualità" della pericolosità del proposto (SU, 111/2018). D’altro canto, vale la pena di sottolineare che anche decisioni riconducibili al diverso filone interpretativo abbiano, da ultimo, affermato  con ciò dimostrando che il contrasto è più apparente che reale  come la presunzione semplice di pericolosità sociale del condannato per il reato di cui all’art. 416-bis possa "essere superata quando siano acquisiti elementi, quale la collaborazione del soggetto condannato con l’AG, idonei ad escludere in concreto tale pericolosità" (Sez. 6, 2025/2018) (ricostruzione sistematica dovuta a Sez. 1, 2121/2019).

Giova puntualizzare la distribuzione della competenza in materia di misure di sicurezza. A norma dell’art. 312 CPP in relazione all’art. 279 CPP, in sede cautelare, l’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza nei confronti dell’infermo di mente e delle altre persone indicate nell’art. 206, che siano riconosciute socialmente pericolose ai sensi dell’art. 203, compete, su richiesta del PM, in qualunque stato e grado del procedimento di cognizione, al giudice che procede, quando sussistono gravi indizi di commissione del fatto e non ricorrono le condizioni previste dall’art. 273, comma 2, CPP. A norma dell’art. 205, in sede di giudizio, le misure di sicurezza sono ordinate dal giudice nella stessa sentenza di condanna o di proscioglimento, ricorrendone le condizioni specificate nell’art. 202: commissione di un fatto preveduto dalla legge come reato e attuale pericolosità sociale, intesa come probabilità di commissione di nuovi fatti preveduti dalla legge come reati, da accertare, a norma dell’art. 203, secondo il canone dell’attualità, alla luce delle circostanze indicate nell’art. 133. Una volta divenuta irrevocabile la sentenza di condanna o di proscioglimento e negli altri casi stabiliti dalla legge (dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere ed estinzione della pena), la competenza a ordinare le misure di sicurezza è attribuita, in via esclusiva, al magistrato di sorveglianza, su richiesta del PM o di ufficio, a norma dell’art. 679 CPP, in relazione all’art. 205, comma 2. La competenza del magistrato di sorveglianza nei casi predetti e, segnatamente, dopo la definizione del processo di cognizione con sentenza irrevocabile, ha carattere funzionale e, come tale, in caso di violazione, è sempre rilevabile, anche di ufficio, a norma dell’art. 21, comma 1, CPP (Sez. 1, 3645/2018).

Agli effetti penali la pericolosità sociale rilevante ai fini dell’applicazione di una misura di sicurezza consiste nel pericolo di commissione di nuovi reati deve essere valutata autonomamente dal giudice che deve tener conto dei rilievi peritali sulla personalità, sugli effettivi problemi psichiatrici e sulla capacità criminale dell’imputato, nonché sulla base di ogni altro parametro desumibile dall’art. 133 c.p. L’inottemperanza al provvedimento di espulsione adottato dal Prefetto non è automaticamente rilevante ai fini della prognosi richiesta dall’art. 203, comma 1, c.p., posto che è suscettibile di integrare il reato previsto dall’art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286 del 1998 - punito con la multa da 6.000 a 15.000 Euro - soltanto nel caso, delineato dall’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, in cui lo straniero abbia violato l’intimazione rivoltagli dal Prefetto di lasciare volontariamente il territorio nazionale, entro il termine stabilito (Sez. 5, 23101/2020).