x

x

Art. 202 - Applicabilità delle misure di sicurezza

1. Le misure di sicurezza possono essere applicate soltanto alle persone socialmente pericolose che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato.

2. La legge penale determina i casi nei quali a persone socialmente pericolose possono essere applicate misure di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato.

Rassegna di giurisprudenza

Le misure di sicurezza personali hanno presupposti sostanzialmente identici a quelli delle misure di prevenzione personali e tendono alla eliminazione della pericolosità sociale della persona cui esse si applicano e che la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare il principio secondo cui la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è applicabile anche nei confronti di persona detenuta, dovendosi distinguere tra "momento deliberativo e momento esecutivo" della misura ed attenendo unicamente all’esecuzione di questa la sua incompatibilità con lo stato di detenzione del proposto; con la conseguenza che l’esecuzione della misura di prevenzione personale può iniziare solo quando venga a cessare lo stato di detenzione, ferma restando la possibilità per il soggetto di chiederne la revoca, per l’eventuale venire meno della pericolosità in conseguenza dell’incidenza positiva sulla sua personalità della funzione risocializzante della pena (SU, 6/1993).

La dichiarazione di delinquenza abituale, a cui segue l’applicazione di misure di sicurezza personali, può intervenire anche in riferimento ad un soggetto che si trovi in stato di espiazione di pena detentiva, dovendo distinguersi tra il momento deliberativo e il momento di esecuzione della misura di sicurezza, a nulla rilevando che l’esecuzione sia lontana nel tempo, essendo sempre rivalutabile il giudizio di pericolosità (Sez. 1, 2698/2011).

È necessario accertare la persistenza della pericolosità sociale al momento della sua effettiva applicazione, che è sempre ancorata a fatti inevitabilmente pregressi rispetto a tale momento e, precipuamente, alla perpetrazione di delitti, cui si aggiunge una sfavorevole prognosi in ordine alla probabilità che il soggetto commetta in futuro nuovi reati; ne consegue che, al fine di una corretta osservanza delle regole dettate dagli artt. 133, 202 e 203, al giudice è consentito richiamarsi ai fatti costituenti reato, intesi nella loro obiettività, soprattutto quando, per gravità e specificità, assumano connotazioni di significativo rilievo (Sez. 2, 24850/2017).

Nel caso di condanna per la partecipazione ad associazione di tipo mafioso, l’applicazione della misura di sicurezza prevista dall’art. 417 non richiede l’accertamento in concreto della pericolosità del soggetto, dovendosi ritenere operante, al riguardo, una presunzione semplice, desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla persistenza nel tempo del vincolo malavitoso, che può essere superata quando siano acquisiti elementi idonei ad escludere in concreto tale pericolosità (Sez. 6, 44667/2016).

In senso contrario: Anche nell’ipotesi prevista dall’art. 417, in base al quale, in caso di condanna per il delitto di associazione di stampo mafioso, è "sempre" ordinata una misura di sicurezza, l’applicazione in concreto di una misura di sicurezza diversa dalla confisca presuppone in ogni caso l’accertamento di un’attuale pericolosità del condannato ai sensi dell’art. 203 (Sez. 1, 3801/2014), la quale deve essere desunta dalle circostanze indicate nell’art. 133, globalmente considerate, tenendo conto, quindi, non solo della gravità dei reati commessi, ma anche dei fatti successivi e del comportamento osservato dal condannato durante e dopo l’espiazione della pena.

Non si ignora il diverso orientamento, secondo cui, nel caso di condanna per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, l’applicazione della misura di sicurezza prevista dall’art. 417 non richiederebbe l’accertamento in concreto della pericolosità del soggetto, dovendosi ritenere operante, una presunzione semplice, desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla persistenza nel tempo del vincolo criminale (Sez. 6, 44667/2016).

Trattasi, tuttavia, di orientamento non condivisibile, in quanto non conforme ai principi generali scolpiti in materia di misure di sicurezza personali, chiaramente enunciati negli artt. 203 e 679 CPP, nonché desumibili dall’intervenuta abrogazione dell’art. 204, che parlava dì "pericolosità sociale presunta" (abrogazione disposta dall’art. 31 L. 633/1986, recante modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà, il quale al secondo comma stabilisce che tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che chi ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa), dall’art. 207, che prevede la revoca della misura al venir meno della pericolosità sociale del sottoposto e dall’art. 208, che prevede il riesame della pericolosità, decorso il periodo minimo di durata della misura applicata.

Inoltre, non può trascurarsi la maggiore coerenza della linea ermeneutica che qui si sostiene con l’evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi nella materia affine delle misure di prevenzione, che ha recentemente condotto le Sezioni unite a stabilire come anche nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso sia necessario accertare il requisito della "attualità" della pericolosità del proposto (SU, 111/2018).

D’altro canto, vale la pena di sottolineare che anche decisioni riconducibili al diverso filone interpretativo abbiano, da ultimo, affermato  con ciò dimostrando che il contrasto è più apparente che reale  come la presunzione semplice di pericolosità sociale del condannato per il reato di cui all’art. 416-bis possa "essere superata quando siano acquisiti elementi, quale la collaborazione del soggetto condannato con l’AG, idonei ad escludere in concreto tale pericolosità" (Sez. 6, 2025/2018) (ricostruzione sistematica dovuta a Sez. 1, 2121/2019).

Giova puntualizzare la distribuzione della competenza in materia di misure di sicurezza. A norma dell’art. 312 CPP in relazione all’art. 279 CPP, in sede cautelare, l’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza nei confronti dell’infermo di mente e delle altre persone indicate nell’art. 206, che siano riconosciute socialmente pericolose ai sensi dell’art. 203, compete, su richiesta del PM, in qualunque stato e grado del procedimento di cognizione, al giudice che procede, quando sussistono gravi indizi di commissione del fatto e non ricorrono le condizioni previste dall’art. 273, comma 2, CPP.

A norma dell’art. 205, in sede di giudizio, le misure di sicurezza sono ordinate dal giudice nella stessa sentenza di condanna o di proscioglimento, ricorrendone le condizioni specificate nell’art. 202: commissione di un fatto preveduto dalla legge come reato e attuale pericolosità sociale, intesa come probabilità di commissione di nuovi fatti preveduti dalla legge come reati, da accertare, a norma dell’art. 203, secondo il canone dell’attualità, alla luce delle circostanze indicate nell’art. 133.

Una volta divenuta irrevocabile la sentenza di condanna o di proscioglimento e negli altri casi stabiliti dalla legge (dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere ed estinzione della pena), la competenza a ordinare le misure di sicurezza è attribuita, in via esclusiva, al magistrato di sorveglianza, su richiesta del PM o di ufficio, a norma dell’art. 679 CPP, in relazione all’art. 205, comma 2. La competenza del magistrato di sorveglianza nei casi predetti e, segnatamente, dopo la definizione del processo di cognizione con sentenza irrevocabile, ha carattere funzionale e, come tale, in caso di violazione, è sempre rilevabile, anche di ufficio, a norma dell’art. 21, comma 1, CPP (Sez. 1, 3645/2018).

Rientra nel potere discrezionale del giudice l’apprezzamento dell’accentuarsi della pericolosità sociale in presenza di trasgressioni degli obblighi imposti con la libertà vigilata, e quindi la decisione di aggravamento dell’indicata misura di sicurezza (Sez. 1, 29859/2009). In particolare, la sostituzione della libertà vigilata con una misura di sicurezza detentiva va disposta anche nell’ipotesi in cui, per accertata irreperibilità, non sia stata possibile la consegna personale al soggetto del provvedimento che gli aveva imposto l’originaria misura di sicurezza (Sez. 1, 3430/2018).

L’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, nel caso di condanna alla pena della reclusione per un tempo superiore a due anni  prevista dall’art. 235, come modificato dal DL 92/2008, convertito, con modifiche, con la L. 125/2008  costituisce una misura di sicurezza personale che trova la sua disciplina generale negli artt. 199 e ss. e può essere ordinata dal giudice solo ove, con congrua e logica motivazione, accerti, alla luce dei criteri posti dall’art. 133, la sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato, la quale si può manifestare principalmente con la reiterazione dei fatti. Tale misura si inquadra pacificamente nel "genus" delle misure di sicurezza personali e, a differenza di quella prevista dall’art. 86 DPR 309/1990, non presenta alcun profilo di obbligatorietà essendo rimessa, come le altre misure di sicurezza (il cui regime di applicabilità facoltativa è stabilito in via generale dall’art. 202), alla discrezionalità del giudice che potrà applicarla ogni volta che avrà verificato la sussistenza della pericolosità sociale del reo (Sez. 2, 2245/2018).

La declaratoria di abitualità nel delitto di cui all’art. 103, da cui deriva l’applicazione o la prosecuzione di una misura di sicurezza, può intervenire anche nei confronti di soggetti che si trovano in uno stato di espiazione di una pena detentiva, essendo, peraltro, necessaria una rigorosa verifica, da parte del magistrato di sorveglianza, della pericolosità sociale del soggetto detenuto, anche tenendo conto del tempo eventualmente intercorrente sino alla data di scadenza della pena detentiva (Sez. 1, 25217/2016). A mente dell’art. 109 la dichiarazione di abitualità nel reato importa l’applicazione di misure di sicurezza. L’art. 216 prescrive che coloro i quali sono stati dichiarati delinquenti abituali sono assegnati a una colonia agricola o ad una casa di lavoro e l’art. 217 fissa la durata minima di tale misura di sicurezza per i delinquenti abituali in quella di anni due.

Naturalmente, come è insito nello stesso sistema delle misure di sicurezza e come stabilisce l’art. 69 Ord. pen., con riferimento all’assegnazione del relativo compito al magistrato di sorveglianza, la concreta esecuzione della misura di sicurezza esige l’esame e, quando occorra, il riesame della pericolosità del soggetto destinatario di essa. In sostanza, la dichiarazione di abitualità a delinquere è giuridicamente autonoma dalla misura di sicurezza: sicché, mentre essa è soggetta ad estinzione (per effetto della riabilitazione) a norma dell’art. 109, la misura di sicurezza è invece revocabile (ex artt. 206 e 207), posto che anche in tal caso essa deve essere applicata in conseguenza della dichiarazione (art. 109, primo comma), in base alla verifica della pericolosità sociale.

Resta fermo il fatto, dunque, che  nell’ipotesi di declaratoria di delinquenza abituale  l’applicazione della misura di sicurezza deve essere ordinata previo accertamento che colui che ha commesso il fatto sia persona socialmente pericolosa (essendo stata da tempo, in forza dell’art. 31 L. 663/1986, abrogata la norma che sanciva la pericolosità sociale presunta, ossia l’art. 204). Poi, dal dettato dell’art. 216 si trae univocamente che nei confronti della persona delinquente abituale (oppure delinquente professionale o per tendenza), della quale sia stata acclarata la persistente pericolosità sociale, va applicata la misura di sicurezza dell’assegnazione ad una colonia agricola o a una casa di lavoro.

Anche tale misura di sicurezza deve trovare, in ogni caso, senza alcuna applicazione pregiudicata da mero automatismo, la sua giustificazione precisamente nell’accertata pericolosità sociale del condannato. E - il punto non può non essere rimarcato - l’accertamento di tale pericolosità sociale è riservato alla sfera cognitiva esclusiva del giudice di merito il quale è chiamato a decidere sul tema considerando, oltre al reato nella sua oggettività, anche ogni altro elemento principale ed accessorio (Sez. 1. 50458/2017).