x

x

Art. 216 - Assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro

1. Sono assegnati a una colonia agricola o ad una casa di lavoro:

1) coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza;

2) coloro che essendo stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, e non essendo più sottoposti a misura di sicurezza, commettono un nuovo delitto, non colposo, che sia nuova manifestazione della abitualità, della professionalità o della tendenza a delinquere;

3) le persone condannate o prosciolte, negli altri casi indicati espressamente nella legge.

Rassegna di giurisprudenza

Dal dettato dell’art. 216 si trae univocamente che nei confronti della persona delinquente abituale (oppure delinquente professionale o per tendenza), della quale sia stata acclarata la persistente pericolosità sociale, va applicata la misura di sicurezza dell’assegnazione ad una colonia agricola o a una casa di lavoro. Anche tale misura di sicurezza deve trovare, in ogni caso, senza alcuna applicazione pregiudicata da mero automatismo, la sua giustificazione precisamente nell’accertata pericolosità sociale del condannato.

E  il punto non può non essere rimarcato  l’accertamento di tale pericolosità sociale è riservato alla sfera cognitiva esclusiva del giudice di merito il quale è chiamato a decidere sul tema considerando, oltre al reato nella sua oggettività, anche ogni altro elemento principale ed accessorio (Sez. 1, 50458/2017).

In sede di riesame della pericolosità sociale, la sostituzione della libertà vigilata con la più grave misura dell’assegnazione a una casa di lavoro, può essere disposta  in quanto riconducibile a un’ipotesi di trasgressione di obblighi imposti  a seguito di intervenuta condanna, anche non definitiva, del soggetto, a condizione che tale condanna si riferisca a reati commessi durante la effettiva sottoposizione dello stesso alla libertà vigilata (Sez. 1, 4117/2014), mentre, in assenza di trasgressione agli obblighi imposti, la persistenza della pericolosità accertata in sede di riesame comporta soltanto il prolungamento della misura di sicurezza (Sez. 1, 39763/2005), senza che possa qualificarsi trasgressione agli obblighi imposti né lo stato di latitanza, in sé e per sé considerato  a meno che non abbia influito direttamente sulla regolare esecuzione della misura , né l’applicazione di una misura di prevenzione, né un’eventuale condanna sopravvenuta, ove essa si riferisca a reati commessi prima della esecuzione della libertà vigilata (Sez. 1, 4600/2003).

A detti principi deve darsi continuità, poiché gli elementi utilizzabili per formulare un giudizio di accresciuta pericolosità, ai fini della sottoposizione a una misura di sicurezza più grave della libertà vigilata, non possono che essere, ai sensi dell’art. 199, quelli espressamente previsti dalla legge e, in particolare, quelli di cui all’art. 231, equiparandosi la commissione di reati durante l’espiazione della misura alla trasgressione degli obblighi imposti, mentre l’art. 208, che regola il riesame della pericolosità alla scadenza del termine della misura di sicurezza applicata, non prevede che il giudice possa applicare, in sede di riesame della pericolosità, una misura più grave di quella già applicata, potendo soltanto disporne un prolungamento qualora risulti che il soggetto, dopo la scadenza del periodo, sia ancora socialmente pericoloso (Sez. 1, 39941/2018).