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Art. 709 - Sospensione della consegna. Consegna temporanea. Esecuzione all’estero

1. L’esecuzione dell’estradizione è sospesa se l’estradando deve essere giudicato nel territorio dello Stato o vi deve scontare una pena per reati commessi prima o dopo quello per il quale l’estradizione è stata concessa. Ove sia disposta la sospensione, il Ministro della giustizia, sentita l’autorità giudiziaria competente per il procedimento in corso nello Stato o per l’esecuzione della pena, può procedere alla consegna temporanea allo Stato richiedente della persona da estradare, concordandone termini e modalità.

2. Il ministro può inoltre, osservate le disposizioni del capo II del titolo IV, convenire che la pena da scontare abbia esecuzione nello Stato richiedente.

Rassegna giurisprudenziale

Sospensione della consegna. Consegna temporanea. Esecuzione all’estero (art. 709)

La sospensione dell’esecuzione della disposta estradizione – derivante sia dal provvedimento ministeriale adottato a norma dell’art. 709, sia dalla pronuncia del giudice amministrativo a seguito di ricorso proposto avverso il decreto di estradizione –  comporta che le misure coercitive eventualmente in corso devono essere revocate.

E ciò per l’assorbente rilievo dell’assenza di limiti temporali legalmente definiti di durata della coercizione personale durante il periodo in cui l’esecuzione della estradizione resta sospesa, non potendosi applicare la disciplina «ordinaria» prevista dagli artt. 303 e 308 del codice di rito (SU, 41540/2006; Sez. 6, 4338/2015).

La facoltà riconosciuta alla corte di appello di rinviare la consegna per consentire alla persona richiesta di essere sottoposta a procedimento penale in Italia per un reato diverso da quello oggetto del mandato d’arresto implica una valutazione di opportunità, che deve tener conto non solo dei criteri desumibili dall’art. 20 L. 69/2005 (ossia, la gravità dei reati e la loro data di consumazione), ma anche di altri parametri pertinenti, quali, ad es., lo stato di restrizione della libertà, la complessità dei procedimenti, la fase o il grado in cui essi si trovano, l’eventuale definizione con sentenza passata in giudicato, l’entità della pena da scontare e le prevedibili modalità della sua esecuzione (Sez. 6, 14860/2014).

L’art. 24 della L. 69/2005, che contempla l’istituto del rinvio della consegna, stabilisce che con la decisione che dispone l’esecuzione del mandato, la corte d’appello può disporre che la consegna della persona venga rinviata per consentire che la stessa possa essere sottoposta a procedimento penale in Italia. La disciplina si discosta con ogni evidenza da quella dettata dall’art. 709 che prevede in simile evenienza un obbligo di sospensione della consegna, superabile solo con provvedimento del Ministro della Giustizia abilitante quella temporanea (Sez. 6, 38058/2016).

A differenza di quanto previsto in caso di estradizione (art. 709, comma 1), l’art. 24 L. 69/2005, non impone sempre il rinvio della consegna, quando vi siano contestuali esigenze di giustizia nazionale. La corte d’appello “può” disporre il rinvio ponderando le due esigenze contrapposte: quella della consegna - per adempiere agli obblighi internazionali cogenti – e quella relativa alla giustizia nazionale.

Si tratta di valutazione discrezionale, che deve tener conto non solo dei criteri desumibili dall’art. 20 L. 69/2005 (la gravità dei reati e la loro data di consumazione) ma anche di altri parametri pertinenti – quali, per esempio, lo stato di restrizione della libertà, la complessità dei procedimenti e la fase in cui si trovano, l’eventuale definizione con sentenza passata in giudicato, l’entità della pena da scontare e le prevedibili modalità della sua esecuzione (Sez. 6, 45647/2009) e che, se sostenuta da adeguata motivazione, non è censurabile nel giudizio di cassazione (Sez. 6, 14860/2014). Della decisione il consegnando non può dolersi se non ha espressamente addotto uno specifico interesse contrario (Sez. 6, 35181/2010) (la riassunzione si deve a Sez. 6, 4917/2016).

In tema di estradizione per l’estero, la decisione sulla sospensione dell’efficacia della misura della custodia cautelare in carcere “a soddisfatta giustizia italiana”, diversamente dalla procedura di consegna basata sul MAE, non può essere disposta dalla corte di appello, ma è rimessa alla insindacabile scelta politica di competenza del Ministro della giustizia giusta quanto previsto dall’art. 709 (Sez. 6, 5647/2013).

Nell’ipotesi in cui la mancata consegna derivi da un impedimento giuridico legato alla pronuncia di un’ordinanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento ministeriale, non può certo prodursi la perdita di efficacia del decreto di estradizione (art. 708, comma 6, prima parte), che dunque potrebbe nuovamente essere posto in esecuzione, con la conseguente riapertura dei termini per la consegna, una volta che il procedimento davanti al giudice amministrativo si concludesse con il rigetto del ricorso.

Ciò che inevitabilmente si produce è, invece, il dovere dell’autorità giudiziaria di porre in libertà il soggetto estradando, in base all’ultima parte della citata disposizione di cui all’art. 708, comma 6 (Sez. 6, 24382/2014).

Quando l’efficacia del decreto di estradizione venga sospesa da un’ordinanza del giudice amministrativo emessa mentre è già iniziata la fase della consegna, e alla consegna non si faccia luogo proprio in ragione di tale pronuncia, l’estradando, se detenuto, deve essere rimesso in libertà, poiché la legge non prevede l’intervento del giudice amministrativo come causa di sospensione o di proroga dei termini della misura restrittiva applicata, che non possono in nessun caso superare quelli inderogabili previsti per la consegna.

Si è precisato, peraltro, che il provvedimento di estradizione non perde in modo irreversibile la sua efficacia, sicché rimane integra la possibilità di porlo nuovamente in esecuzione, con la conseguente riapertura dei termini per la consegna, nel caso in cui il procedimento dinanzi al giudice amministrativo dovesse concludersi con il rigetto del ricorso.

All’interno di siffatta prospettiva, dunque, l’estensione temporale ex lege del trattamento cautelare applicato all’estradando (a seguito della definitività della decisione giudiziale favorevole alla consegna) deve considerarsi rigorosamente finalizzata alla sola esecuzione della consegna allo Stato richiedente, “entro i limiti inderogabili stabiliti dall’art. 708.

Ne discende che, una volta intervenuto il decreto di estradizione, lo status detentionis dell’estradando non può essere prolungato sine die, oltre gli stretti limiti indicati dall’art. 708, finanche in presenza di una causa di sospensione della consegna rappresentata da una pronuncia del giudice amministrativo, poiché una durata della coercizione personale che si protragga senza limiti temporali definiti dalla legge si porrebbe in palese contrasto con i principi fondamentali fissati dall’art. 13 della Costituzione.

A fronte di tali evenienze, dunque, la conseguenza da trarre – nel caso dell’intervenuta scadenza dei termini fissati dall’art. 708 – non può che essere quella della revoca della misura cautelare in atto e della coeva scarcerazione dell’estradando, secondo una linea interpretativa che, ponendosi in sostanziale adesione con le argomentazioni già sviluppate dalle Sezioni unite (SU, 41540/2006), appare maggiormente rispettosa delle implicazioni de libertate sottese al quadro di principii e di garanzie delineato dalla Costituzione.

Un diverso orientamento giurisprudenziale (Sez. 6, 12451/2011) ha affermato, di contro, la perdurante efficacia dello stato di coercizione cautelare dell’estradando, la cui consegna sia sospesa per decisione del giudice amministrativo, muovendo dal presupposto che, a causa di tale ostacolo giuridico, è impedita l’ulteriore fissazione del termine per la consegna di cui all’art. 708, comma 5, sicché non può operare la perdita di efficacia della custodia prevista dal successivo comma 6, ma esclusivamente quello  generale e desumibile dal rinvio operato dall’art. 714  connesso alla scadenza del termine massimo di durata delle misure coercitive di cui agli artt. 303 e 308.

Secondo tale indirizzo, pertanto, si è in presenza di un ostacolo o di una causa di forza maggiore rispetto alla valida prosecuzione della procedura esecutiva estradizionale, che non può ritenersi assimilabile alla ipotesi di sospensione prevista dall’art. 709 (decisa dal Ministro per esigenze di giustizia nazionale), né al caso di una eventuale inerzia ministeriale. Inoltre, l’argomento usato nella su menzionata decisione SU, 41540/2006 non viene ritenuto condivisibile sul duplice assunto che la mera impugnazione del decreto ministeriale dinanzi alla giurisdizione amministrativa non fa venir meno l’attualità dell’esigenza cautelare del pericolo di fuga, connesso alla immediatezza della consegna, e che la sospensione disposta dal giudice amministrativo dipende da una mera istanza dell’estradando, la quale può celare una finalità meramente dilatoria, con la conseguenza che in tale ipotesi si rendono applicabili i termini di cui all’art. 303, ovvero la sospensione dei termini di cui all’art. 304 (Sez. 6, 10110/2006).

Siffatto contrasto giurisprudenziale, già portato all’attenzione delle Sezioni unite con l’ordinanza di rimessione Sez. 6, 30215/2011, non è stato risolto con la sentenza SU, 6624/2012, poiché le Sezioni unite ebbero a dichiarare l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Al riguardo, in linea generale, v’è da osservare che né l’art. 708, comma 5, né l’art. 18, comma 4, della Convenzione europea di estradizione del 1957 stabiliscono alcunché per l’ipotesi, che viene qui in rilievo, in cui l’efficacia del decreto ministeriale venga sospesa dal tribunale amministrativo regionale, in accoglimento dell’istanza formulata dall’estradando.

Con sentenza 123/2007, inoltre, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 708, comma 2, e 715, comma 6, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 13 Cost. Sul punto, deve osservarsi come la Corte costituzionale abbia significativamente rilevato che i rimedi, in linea astratta, potrebbero essere molteplici, e derivare “o da una diversa interpretazione delle disposizioni in oggetto o da interventi del legislatore sulle procedure previste dalla legge in tema di libertà personale dell’estradando.

Manca, in definitiva, ad avviso del giudice delle leggi, “una soluzione costituzionalmente obbligata del dubbio prospettato dal giudice rimettente.

Nel caso in questione, invero, deve sottolinearsi come i peculiari effetti dell’evenienza procedimentale correlata alla sospensione della esecuzione della consegna a seguito di una decisione assunta dal giudice amministrativo non siano espressamente regolati dalla legge ai fini della durata della restrizione cautelare dell’estradando, né gli stessi paiono riconducibili, in via analogica, ad ipotesi di sospensione dei termini legate ad iniziative di parte direttamente incidenti sul procedimento in corso, derivando piuttosto dal concreto esercizio di forme di tutela giurisdizionale che lo stesso ordinamento giuridico espressamente riconosce all’estradando.

Il decreto ministeriale di estradizione, infatti, è ritenuto un atto di alta amministrazione di regola sindacabile da parte del giudice amministrativo, pur all’interno di limiti che lo stesso Consiglio di Stato ha rigorosamente tracciato, allorquando ha sottolineato che l’ordinamento vigente non consente al giudice amministrativo di acclarare la concedibilità tecnico-giuridica dell’estradizione e di ripercorrere ex novo  nel giudizio innescato dall’impugnazione del provvedimento amministrativo discrezionale che la concede  quelle stesse questioni di diritto soggettivo che hanno già formato compiuto oggetto dell’esame dell’autorità giudiziaria ordinaria nella pregressa fase giurisdizionale della procedura (Cons. Stato, Sez. IV n. 3286 del 12 giugno 2007).

Entro tale prospettiva, dunque, rimane precluso al giudice amministrativo ogni tipo di accertamento che si traduca nel riesame di provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice penale (allorché questi ha riscontrato la sussistenza delle condizioni tecnico-giuridiche di estradabilità), trattandosi di questioni concernenti lo status libertatis e comunque posizioni di diritto soggettivo coinvolte e vulnerate dalla procedura di estradizione (Cons. Stato, Sez. IV n. 1996 del 2000).

Parimenti preclusa al giudice amministrativo rimane ogni indagine che esorbiti dal riscontro in seno al decreto di profili estrinseci di abnormità o illogicità, suscettibili in quanto tali dì essere apprezzati anche nella giurisdizione di legittimità.

Ne discende, in definitiva, che tale sindacato può riguardare i soli aspetti del provvedimento che siano discrezionali e, quindi, potenzialmente lesivi di interessi legittimi (non sussistendo in materia alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva), ma non può comunque investire il merito intrinseco di una scelta che l’ordinamento configura come ampiamente discrezionale.

In definitiva, deve ritenersi che, una volta intervenuto il decreto ministeriale di estradizione, la coercizione personale non può permanere oltre i limiti indicati dall’art. 708, anche se intervenga una causa di sospensione della consegna, come quando l’estradando debba essere giudicato nel territorio dello Stato o ivi scontare una pena (art. 709), o quando, come verificatosi nel caso di specie, l’esecutività del decreto ministeriale sia sospesa da una pronuncia adottata dall’autorità giudiziaria amministrativa (questa ricostruzione sistematica si deve a Sez. 6, 4338/2015).