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Art. 517-ter - Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale (1)

1. Salva l’applicazione degli articoli 473 e 474 chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000.

2. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i beni di cui al primo comma.

3. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474-bis, 474-ter, secondo comma, e 517-bis, secondo comma.

4. I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.

(1) Articolo aggiunto dalla lettera e) del comma 1 dell’art. 15, L. 99/2009.

Rassegna di giurisprudenza

Il reato previsto dall’art. 517-ter, che tutela esclusivamente il patrimonio del titolare della proprietà industriale, ricorre sia nell’ipotesi di prodotti realizzati ad imitazione di quelli con marchio altrui, sia nell’ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti “originali” da parte di chi non ne è titolare. Tra questi rientra anche il modello di utilità che, a differenza dell’invenzione industriale, la quale implica il superamento delle preesistenti cognizioni tecniche attraverso la realizzazione di un prodotto nuovo suscettibile di concrete realizzazioni nel campo industriale, opera invece sul piano della maggiore efficacia e comodità di impiego di un oggetto preesistente al quale viene conferita un’utilità nuova ed ulteriore.

A tal fine, essendo il bene giuridico protetto dalla normativa penale in materia di marchi, brevetti e segni distintivi delle opere dell’ingegno o di prodotti industriali costituito dall’interesse pubblico preminente della fede pubblica, oltre a quello privato del soggetto inventore, la tutela necessaria a garantire una risposta repressiva efficace al fenomeno della contraffazione, deve essere apprestata sin dal momento in cui il modello di utilità, al pari di ogni altro segno distintivo, sia stato depositato e registrato nelle forme di legge all’esito della prevista procedura amministrativa presso l’ufficio competente.

Potendo tuttavia le norme incriminatrici in tema di contraffazione e alterazione di marchi o dei segni trovare applicazione sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale, allorquando si assuma, così come eccepito nella specie dagli odierni indagati, che il marchio o il segno distintivo registrato difetti di validità, dovrà necessariamente essere condotto un giudizio di accertamento da parte del giudice di merito in tal senso, presupponendo l’invalidità dell’opera il suo riconoscimento formale.

Sebbene debba reputarsi la competenza del giudice penale a decidere in via incidentale, sulla validità o meno di un marchio, registrato sia in sede comunitaria che nazionale, quando la questione assuma rilevanza ai fini della qualificazione giuridica del fatto oggetto dell’imputazione (Sez. 3, 31868/2016), ciò vale per il solo giudizio di merito, risultando siffatto accertamento incompatibile con il procedimento cautelare, nel quale non è consentito instaurare un processo nel processo né è possibile, per l’assenza del supporto di riferimento dell’indispensabile attività istruttoria, effettuare valutazioni su elementi che vadano al di là del dato formale della pubblicità della registrazione, ma dovendo, invece, l’accertamento della fattispecie di reato essere condotta sulla base della congruità degli elementi rappresentati al fine di considerare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica (SU, 23/1997).

Il presupposto cautelare del “fumus commissi delicti” nei procedimenti per i reati di contraffazione e alterazione di marchi o segni distintivi è configurabile, in fase cautelare, ove questi ultimi risultino depositati, registrati o brevettati nelle forme di legge, non richiedendosi in tale fase alcuna indagine in ordine alla loro validità sostanziale (Sez. 5, 24331/2015) (riassunzione dovuta a Sez. 3, 38847/2018).

Il delitto di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale (art. 517-ter) è integrato anche nel caso di opere di design industriale destinate alla produzione seriale, le quali sono tutelabili a norma dell’art. 2, n. 10, della L. 633/1941 ove ricorrano le condizioni normativamente indicate, date dal carattere creativo e dal contenuto artistico dell’opera (fattispecie avente ad oggetto la questione della tutelabilità autorale di modelli della produzione seriale della Thun S.p.A., in cui la Corte ha ritenuto correttamente integrato il reato di cui all’art. 517-ter, osservando che la caratteristica propria delle opere di cui all’art. 2, n. 10 risiede nel fatto che esse, a differenza di quelle figurative, rientranti nella categoria di cui al n. 4 dello stesso art. 2, trovano la loro collocazione nella fase progettuale di un oggetto destinato a una produzione seriale, quale è quella industriale (Sez. 3, 2402/2018).

Il reato di messa in circolazione di beni prodotti in violazione di un titolo di proprietà industriale, previsto dal secondo comma dell’art. 517-ter, ha natura di reato di pericolo, per la cui sussistenza è sufficiente l’astratta confondibilità del prodotto imitato (come accertato nella fattispecie), a prescindere dalla concreta induzione in errore dei consumatori circa la provenienza del prodotto dal titolare della privativa (Sez. 3, 8653/2016).

Ai fini dell’integrazione dei reati di cui agli artt. 473 e 474, posti a tutela del bene giuridico della fede pubblica, è necessaria la materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio o segno distintivo che siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento, a differenza del reato previsto dall’art. 517-ter, che tutela esclusivamente il patrimonio del titolare della proprietà industriale, il quale ricorre sia nell’ipotesi di prodotti realizzati ad imitazione di quelli con marchio altrui, sia nell’ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti “originali” da parte di chi non ne è titolare (Sez. 3, 14812/2017).

L’art. 517-ter si pone in sostanziale continuità normativa con l’abrogato art. 127, comma 1, DLGS 30/2005, e si riferisce tanto all’ipotesi dei prodotti realizzati ad imitazione di quelli protetti dal titolo di privativa e quindi in violazione del medesimo, quanto a quella della fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti “originali” da parte di colui che non ne è titolato (Sez. 3, 8653/2016). Quel che distingue tale ipotesi delittuosa da quella di cui agli artt. 473 e 474, è dunque la dimensione degli interessi coinvolti: pubblici nel primo caso (fede pubblica), privati nel secondo (patrimonio).

Il bene giuridico protetto dagli artt. 473 e 474 è la fede pubblica che si intende tutelare contro specifici attacchi insiti nella contraffazione od alterazione del marchio o di altri segni distintivi o del brevetto, disegni o modelli industriali. Bene messo in pericolo tutte le volte in cui la contraffazione (pedissequa riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa di marchi o segni distintivi, ovvero riproduzione negli elementi essenziali e caratterizzanti di un prodotto brevettato) o la alterazione (riproduzione solo parziale, ma tale da ingenerare confusione con marchio originario o segno distintivo o prodotto brevettato) siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento.

L’interesse pubblico, in tale situazione, è preminente rispetto a quello privato, nella sua specifica dimensione patrimoniale, che, anzi, resta assorbito in quello collettivo reputato di maggior rilievo (fede pubblica e tutela del mercato).

Di contro, ove sia ravvisabile solo uno specifico interesse patrimoniale di un privato, leso dall’abusiva utilizzazione di un prodotto da lui brevettato, ricorre una diversa fattispecie di reato, ratione temporis ravvisabile nella fattispecie di cui all’art. 127 del DLGS 30/2005 (in precedenza come frode brevettuale di cui all’art. 88 del RD 1127/1939), che tutela esclusivamente il patrimonio e dunque una sfera di interessi esclusivamente privati (circostanza questa chiaramente segnalata dalla procedibilità a querela di parte) ed ha, dunque, carattere sussidiario rispetto alle ipotesi di reato previste dal codice penale, tra cui appunto quella di cui all’art. 473 (Sez. 5, 19512/2006, secondo cui ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 127 non rileva la mera somiglianza del prodotto contraffatto con quello originale, idonea a generare confusione, ma è necessario ravvisare un carattere del prodotto industriale, relativo a progetto o a struttura, componenti, assemblaggio, confezione od altro che, al di là del marchio, ne rende esclusiva la fabbricazione ed il commercio (Sez. 3, 14182/2017).

L’art. 517-ter configura il delitto di fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale. Sotto la medesima rubrica legis confluiscono, accomunate nel medesimo trattamento sanzionatorio, due distinte fattispecie, contenute, rispettivamente, nel primo e nel secondo comma dell’art. 517-ter. La prima ha ad oggetto la condotta di chi fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati “usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso”, pur potendo conoscere dell’esistenza del suddetto titolo.

La seconda, quella di colui che, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita “con offerta diretta ai consumatori” o mette comunque in circolazione i beni descritti nel primo comma. L’elemento oggettivo delle due fattispecie sostanzialmente riproduce quello del delitto di cui al primo comma dell’art. 127 DLGS 30/2005 (codice della proprietà industriale), abrogato dal secondo comma dell’art. 15 della L. 99/2009. Per quanto riguarda le condotte selezionate per l’incriminazione, alcune (quelle di fabbricazione, utilizzo industriale ed introduzione nello Stato) sono le stesse già prese in considerazione dall’art. 127 DLGS 30/2015.

Le altre  e cioè la detenzione per la vendita, la messa in vendita con offerta diretta ai consumatori, nonché la messa in circolazione  sono invece di nuova formulazione, ma in buona parte assorbono i contenuti di quelle previste dalla disposizione abrogata. Così la detenzione per la vendita e l’offerta diretta ai consumatori sostanzialmente anticipano la tutela penale in precedenza ancorata alla condotta di vendita, mentre la messa in circolazione in definitiva amplia ulteriormente i confini della fattispecie tipica. L’unica significativa differenza tra l’assetto previgente e quello introdotto dalla L. 99/2009 si riduce dunque alla mancata riproduzione della condotta di “esposizione”, la cui funzione era soprattutto quella di attrarre nell’area di tipicità dell’incriminazione quei comportamenti di promozione dei beni prodotti in violazione dei titoli di privativa tenuti nell’ambito di manifestazioni commerciali non dirette al pubblico dei consumatori, ma a quello degli operatori dei singoli settori.

Ulteriore novità riguarda la connotazione delle condotte che integrano il reato. Mentre per l’art. 127 DLGS 30/2005 queste ultime assumevano rilevanza penale in quanto commesse in violazione di un titolo di proprietà industriale, nella formulazione accolta nel primo comma dell’art. 517-ter oltre alla violazione del titolo rileva, in alternativa, anche la sua usurpazione. Per comprendere l’esatta portata della novità è necessario innanzi tutto rilevare come il verbo “usurpare”, nel linguaggio comune, identifichi il comportamento di chi eserciti, appropriandosene, un potere, una funzione o un diritto la cui titolarità è riservata ad altri, e questo è il significato sostanzialmente accolto nelle norme penali che lo utilizzano (si vedano ad esempio gli artt. 267, 347, 498 e l’art. 117 CNAV), compreso l’art. 171, comma secondo, L. 633/1941, che configura una circostanza aggravante del delitto di abusiva riproduzione di opere dell’ingegno per il caso che il fatto avvenga con usurpazione della paternità.

E questo è anche il senso richiamato nel Regolamento comunitario 1383/2003, il quale nel disciplinare i poteri di intervento dell’autorità doganale sulle merci sospettate di violare i diritti di proprietà intellettuale, all’art. 2, lett. b) precisa che tali sono anche le “merci usurpative” e cioè quelle che “costituiscono o contengono copie fabbricate senza il consenso del titolare”. Dunque anche l’art. 517-ter sembra volersi riferire non solo all’ipotesi dei prodotti realizzati ad imitazione di quelli protetti dal titolo di privativa e quindi in violazione del medesimo, bensì anche a quella della fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti, per così dire “originali”, da parte di colui che non ne sarebbe titolato.

Si pensi, ad esempio, all’ipotesi del licenziatario cui il titolare del marchio abbia attribuito una esclusiva per la distribuzione dei propri prodotti in un determinato ambito territoriale e che invece smerci i beni anche in altri ambiti, ovvero a quella del fabbricante cui il titolare del brevetto affida la realizzazione di un determinato numero di copie della cosa oggetto dell’invenzione, il quale in violazione degli accordi contrattuali ne produca occultamente un numero superiore, provvedendo poi a sfruttare commercialmente in maniera autonoma quelle che costituiscono l’eccedenza (Sez. 3, 8653/2016).

La violazione di un valido titolo di proprietà industriale sanzionata dall’art. 517-ter non consiste solamente nella fabbricazione di merci realizzata carpendo l’idea originale insita nel titolo di proprietà industriale ma anche nell’imitazione dei prodotti protetti dalla privativa anche utilizzando segni distintivi autentici (fattispecie inerente alla vendita di un veicolo con le stesse caratteristiche di forma e linee stilistiche della Ferrari modello 250 GTO, quanto alla livrea, il frontone, il codone, le prese d’aria frontali e laterali, i cerchi a raggi cromati, i doppi scarichi, sul quale era apposto (sul cofano, sulle fiancate, a ridosso delle portiere, sul codone e sulla maschera del radiatore) il noto marchio Ferrari, composto da cavallino rampante nero su sfondo giallo) (Sez. 3, 8653/2016).

La messa in circolazione di beni prodotti in violazione di un titolo di proprietà industriale non coinvolge solo gli interessi del titolare della privativa, bensì anche quelli della collettività, e quindi, in tal senso, l’immissione del bene nel circuito commerciale determina un pericolo per il pubblico dei consumatori e, in ultima analisi, per l’ordine economico in generale, tale da giustificare l’intervento dell’AG, a prescindere dalla concreta induzione in errore dei consumatori circa la provenienza del prodotto dal titolare della privativa, essendo sufficiente per la sussistenza del reato (che ha natura di reato di pericolo) l’astratta confondibilità del prodotto imitato (Sez. 3, 8653/2016).