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Art. 596 - Esclusione della prova liberatoria

1. Il colpevole del delitto previsto dall’articolo precedente non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa (1).

2. Tuttavia, quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l’offensore possono, d’accordo, prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d’onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo.

3. Quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale:

1) se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all’esercizio delle sue funzioni;

2) se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale;

3) se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito (2).

4. Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito, è per esso condannata dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per se stessi applicabile la disposizione dell’articolo 595, primo comma (3).

(1) Comma così modificato dall’art. 2, comma 1, lett. g), n. 1), DLGS 7/2016.

(2) Comma aggiunto dall’art. 5, DLGS LGT 288/1944.

(3) Comma aggiunto dall’art. 5, DLGS LGT 288/1944 e, successivamente, così modificato dall’art. 2, comma 1, lett. g), n. 2), DLGS 7/2016.

Rassegna di giurisprudenza

Il divieto di prova liberatoria, sancito in termini generali dal primo comma dell’art. 596, è posto a tutela della sfera di riserbo della persona (Corte costituzionale, 103/1973).

La prova liberatoria di cui all’art. 596 postula non soltanto la condizione che, nei confronti della persona la cui reputazione è stata offesa, sia pendente un procedimento penale  di per sè sola insufficiente  ma anche la piena dimostrazione della esistenza del fatto attribuito al diffamato, dimostrazione che può essere diretta, cioè acquisibile nel medesimo procedimento penale, ovvero indiretta, cioè fornita mediante la produzione della pronunzia irrevocabile di condanna (Sez. 5, 32256/2015).

La prova liberatoria è operante ove sia piena e completa, sicché la sua insufficienza non è mai suscettiva di condurre ad una qualsivoglia pronuncia di assoluzione dell’autore dell’ingiuria o della diffamazione (Sez. 5, 12807/1989).

Il divieto di “exceptio veritatis”, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 596, comma primo, non può trovare applicazione qualora l’autore del fatto incriminato abbia agito nell’esercizio di un diritto, ex art. 51 e, quindi, non solo nell’ipotesi del diritto di cronaca, ma in ogni caso in cui si prospetti il legittimo esercizio del diritto di critica (Sez. 5, 1369/2009).

In tema di diffamazione, perché sia operante la possibilità di fornire prova liberatoria ai sensi dell’art. 596, non è sufficiente che, nei confronti della persona la cui reputazione è stata offesa sia pendente un procedimento penale. Invero, l’esistenza di tale procedimento, integra solo parte della condizione di fatto che abilita l’autore delle dichiarazioni offensive alla prova liberatoria, la quale si consegue solo con la piena dimostrazione della esistenza del fatto attribuito al diffamato, dimostrazione che può essere diretta, cioè acquisibile nel medesimo procedimento penale, ovvero indiretta, cioè fornita mediante la produzione della pronunzia irrevocabile di condanna (Sez. 5, 11018/2000).

Se è vero che non è punibile l’autore di uno dei reati di cui agli artt. 594 e 595, quando l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato, solo se la verità del fatto è provata o se per esso, la persona a cui il fatto è attribuito, viene condannata dopo l’attribuzione del fatto medesimo (sempre che i modi usati non rendano di per se stesse applicabili le disposizioni dell’art. 594, comma 1, ovvero dell’art. 595, comma 1), è altrettanto vero che la prova liberatoria non è esclusa, ma, anzi è ammessa, se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto un procedimento penale, come espressamente previsto dall’art. 596, comma 3, n. 2), che elenca, per l’appunto, tutti i casi in cui, qualora l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è sempre ammessa nel procedimento penale sorto a carico dell’autore dell’offesa (Sez. 5, 14555/2015).