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Art. 597 - Querela della persona offesa ed estinzione del reato

1. Il delitto previsto dall’articolo 595 è punibile a querela della persona offesa (1).

2. Se la persona offesa e l’offensore hanno esercitato la facoltà indicata nel capoverso dell’articolo precedente (2), la querela si considera tacitamente rinunciata o rimessa.

3. Se la persona offesa muore prima che sia decorso il termine per proporre la querela, o se si tratta di offesa alla memoria di un defunto, possono proporre querela i prossimi congiunti, l’adottante e l’adottato. In tali casi, e altresì in quello in cui la persona offesa muoia dopo avere proposta la querela, la facoltà indicata nel capoverso dell’articolo precedente spetta ai prossimi congiunti, all’adottante e all’adottato.

(1) Comma così modificato dall’art. 2, comma 1, lett. h), DLGS 7/2016.

(2) Il riferimento si intende all’art. 596.

Rassegna di giurisprudenza

L’attribuzione ai congiunti, ex art. 597 comma 3, del potere di proporre querela in sede penale per l’illecito diffamatorio commesso in danno di persona defunta conferisce certamente ai medesimi soggetti anche la posizione attiva di titolari del diritto di svolgere in proprio, in sede civile, la correlativa azione di risarcimento del danno morale (Tribunale di Milano, Sez. 1, 2 aprile 2010).

Nell’esercizio del diritto di cronaca e di critica il giornalista ha il dovere, insito nella funzionalizzazione della sua attività allo scopo di consentire al pubblico di apprendere e valutare i fatti, di esporre in modo corretto quali sono le basi del suo ragionare, sia sotto il profilo fattuale che logico; e quindi egli non può limitarsi ad esporre le sue conclusioni, specie quando queste siano oggettivamente offensive, senza rendere ostensibili e quanto più possibile obiettivi i fatti da cui muove il suo ragionare (nella specie i giudici hanno ritenuto integrato il quadro dell’attività diffamatoria nell’aver riportato su un quotidiano una pronuncia giudiziale non per quanto essa esprimeva come dispositivo, ma per quanto si ipotizzava essa esprimesse come motivazione, ancor prima che detta motivazione fosse resa nota mediante pubblicazione della sentenza e facendo credere che essa fosse già conosciuta).

La diffamazione a mezzo stampa, punibile anche in forza di un’azione civile in alternativa alla proposizione della querela per il reato di diffamazione (art. 597) può provocare un danno patrimoniale, soprattutto quando siano diffamati personaggi famosi, che ritraggono le proprie fonti di reddito proprio dalla notorietà e dalla percezione che il pubblico ha di essi e delle loro qualità morali e professionali, consistente in una diminuzione delle legittime aspettative di guadagno sotto l’aspetto del lucro cessante (soprattutto in termini di perdita di “chances”), non può ritenersi presunto ma deve essere provato e può essere liquidato anche con valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 CC, purché il richiedente fornisca al giudice elementi idonei a ridurne l’ambito di discrezionalità, evitando così che la liquidazione divenga un arbitrio.

La sussistenza di una sofferenza morale per i casi di diffamazione a mezzo di organi di stampa è “in re ipsa” (Corte di appello di Milano, 11 aprile 2001).