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Art. 598 - Offese in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle autorità giudiziarie o amministrative

1. Non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all’autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un’autorità amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo.

2. Il giudice, pronunciando nella causa, può, oltre ai provvedimenti disciplinari, ordinare la soppressione o la cancellazione, in tutto o in parte, delle scritture offensive, e assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Qualora si tratti di scritture per le quali la soppressione o cancellazione non possa eseguirsi, è fatta sulle medesime annotazioni della sentenza.

Rassegna di giurisprudenza

L'esimente di cui all'art.598 non è applicabile agli esposti inviati al Consiglio dell'Ordine forense, in quanto l'autore dell'esposto non è parte nel successivo giudizio disciplinare e l'esimente di cui all'art. 598 attiene agli scritti difensivi in senso stretto, con esclusione di esposti e denunce (Sez. 5, 19325/2021).

La disposizione prevista dall’art. 598 concerne le offese contenute in scritti presentati o discorsi pronunciati dalle parti o dai loro difensori in procedimenti innanzi all’autorità giudiziaria od amministrativa, non punibili nella misura in cui le espressioni offensive riguardino, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale nel sostenere la tesi prospettata o comunque nell’ottica dell’accoglimento della domanda proposta (Sez. 5, 2507/2017), quand’anche esse non siano necessarie e riguardino passaggi non decisivi dell’argomentazione. Deve essere esclusa, invece, la necessità che le offese abbiano anche un contenuto minimo di verità o che la stessa sia in qualche modo deducibile dal contesto, in quanto l’interesse tutelato è la libertà di difesa nella sua correlazione logica con la causa a prescindere dalla fondatezza dell’argomentazione (Sez. 5, 8421/2019).

L’esimente di cui all’art. 598 determina la non punibilità delle offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative ed è funzionale al libero esercizio del diritto di difesa, sicché è circoscritta all’ambito del giudizio ordinario od amministrativo nel corso del quale le offese siano proferite ( con la condizione che siano pertinenti all’oggetto della causa o del ricorso amministrativo) con la conseguenza che essa non è applicabile qualora le espressioni offensive siano divulgate in altra sede (Sez. 5, 20058/2015).

È esclusa la possibilità di applicare l’art. 598 in caso di esposti disciplinari al Consiglio dell’Ordine, dal momento che si tratta di una situazione diversa da quella sub iudice. L’esegesi di legittimità ha infatti escluso che, data la struttura e le regole in rito del procedimento che si apre con la sollecitazione disciplinare, l’autore di quest’ultima vi partecipi e possa, quindi, considerarsi “parte” (Sez. 5, 8421/2019).

In tema di riferibilità della causa di non punibilità di cui all’art. 598 alla sede disciplinare, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità non appare univoco. L’indirizzo numericamente prevalente afferma che la causa di non punibilità di cui all’art. 598 non è applicabile qualora le espressioni offensive siano contenute in un esposto inviato al Consiglio dell’Ordine forense, in quanto l’autore dell’esposto non è parte nel successivo giudizio disciplinare e l’esimente di cui all’art. 598 attiene agli scritti difensivi, in senso stretto, con esclusione di esposti e denunce, pur se redatti da soggetti interessati (Sez. 5, 24003/2010). Diversamente si sono espresse due decisioni (Sez. 5, 28081/2011 e Sez. 5, 33453/2008) dissentendo dai precedenti citati. Secondo questo orientamento l’esimente di cui all’art. 598 è applicabile alle offese contenute in un esposto inviato al Consiglio dell’Ordine forense, sulla base delle seguenti argomentazioni: la ratio dell’art. 598 é ispirata alla massima libertà nell’esercizio del diritto di difesa; il Consiglio dell’Ordine forense, dando corso alla procedura di sua competenza, esercita un’attività oggettivamente riconducibile all’esercizio di funzioni pubblicistiche, dal momento che il controllo del corretto esercizio della professione forense corrisponde all’interesse pubblico all’uso corretto, da parte del professionista, del potere riconosciutogli dallo Stato; la procedura instaurata va definita, quindi, in termini di procedimento e il Consiglio dell’Ordine forense esercita poteri propri di un’autorità amministrativa, quale quello disciplinare, suscettibile di essere sottoposto a successivo controllo giurisdizionale; in senso contrario non può argomentarsi sulla base della natura del procedimento che si svolge presso il Consiglio dell’Ordine forense territoriale, solo amministrativa e non giurisdizionale perché l’esimente de qua è applicabile anche ad atti funzionali all’esercizio del diritto di difesa, pur se precedono l’instaurazione di un procedimento giurisdizionale; l’autore dell’esposto al Consiglio dell’Ordine forense è «parte del relativo procedimento», dovendosi intendere tale «chiunque sia titolare di un interesse (nel caso di specie leso dalla violazione disciplinare) tutelato dalla legge anche, in forma mediata, con il ricorso all’autorità giudiziaria o amministrativa» e, quindi, anche se si tratti di un interesse legittimo e non di un diritto soggettivo; d’altra parte, tutti i procedimenti amministrativi sono soggetti al principio dell’istruzione «partecipata», ad eccezione di quelli espressamente indicati dalla L. 241/1990; l’art. 598 menziona l’autorità giudiziaria e l’autorità amministrativa; poiché non è dubbio che anche il giudice amministrativo debba essere qualificato «autorità giudiziaria» consegue che per «autorità amministrativa» non possa intendersi il giudice amministrativo, ma l’autorità amministrativa «non giurisdizionale» e tuttavia decidente nell’ambito dei cosiddetti ricorsi amministrativi; l’art. 598 parla di offese, da intendersi come espressioni inurbane, volgari, spregiative, contumeliose; tali manifestazioni, pur non essendo lecite, non sono penalmente represse  se contenute in scritti presentati o in discorsi pronunziati innanzi alle Autorità di cui sopra  per una esplicita scelta del legislatore, che ha voluto garantire la massima libertas convicii; non è dunque corretto affermare che l’art. 598 altro non è che una specificazione del più generale diritto di critica, garantito dall’art. 51 e dall’art. 21 Cost.; la libertas convicii non ha limiti (l’eventuale sanzione non penale interviene ex post), mentre il diritto di critica ha i noti limiti individuati dalla giurisprudenza (rilevanza sociale, continenza e verità della notizia sulla quale si innesta la attività valutativa e, appunto, critica); l’offesa va tenuta distinta dall’accusa; mentre, per l’offesa formulata in una delle occasioni di cui al ricordato art. 598 l’offensore non risponde, operando la causa di non punibilità, per l’accusa, l’accusatore non può che assumere la responsabilità di quel che dice; anche accusare – specie se lo si fa per far valere un proprio diritto – è lecito, ma occorre che l’accusa abbia fondamento o, almeno, che l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente (anche se erroneamente) convinto di ciò. Si ritiene che sia corretto il primo orientamento: se è vero che l’art. 598 trova applicazione anche nel contraddittorio che si sviluppa dinanzi ad una autorità amministrativa, è pur sempre necessario che contraddittorio vi sia e che coinvolga l’autore della comunicazione per la quale si invoca la cosiddetta libertas convicii. Il soggetto autore della comunicazione deve essere quindi parte del procedimento nel quale è chiamato a tutelare un proprio specifico interesse, assumendo una posizione procedimentalmente qualificata, proprio perché la norma mira a proteggere, con l’esonero da responsabilità penale, il contraddittore, in quanto tale, che arrechi offesa alla controparte con espressioni ingiuriose che concernano, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata o per l’accoglimento della domanda proposta. Colui che presenta un esposto disciplinare ad un Ordine professionale sollecita l’esercizio di una potestà pubblicistica di verifica del rispetto delle regole deontologiche da parte di un professionista e non è legittimato dalla tutela di una sua specifica posizione soggettiva, non è contraddittore in seno al procedimento, non riceve notizia dei provvedimenti emessi dagli organi disciplinari, né può impugnarne le decisioni e non ha neppure diritto di essere informato dei suoi sviluppi. Non è quindi la natura del procedimento, meramente amministrativo, che preclude l’applicabilità della causa di non punibilità dell’art. 598 all’autore dell’esposto, ma la sua veste soggettiva: ben potrebbe invece invocare l’esimente il professionista sottoposto a procedimento disciplinare, che é parte interessata e contraddittore a pieno titolo. L’attuale legge professionale forense (DLGS 247/2012) all’art.58, comma 4, ha introdotto esclusivamente la previsione della comunicazione del provvedimento di archiviazione anche al soggetto dal quale é pervenuta la notizia di illecito; nulla invece dispone in proposito l’art.59, comma 1, lettera m), quanto al provvedimento che decide nel merito dell’accusa disciplinare. Tantomeno la legge professionale contempla un diritto di impugnazione in capo all’autore dell’esposto. Ancora minor rilievo spettava alla figura dell’autore dell’esposto nella legge professionale precedente (RD 1578/1933) che non la prendeva minimamente in considerazione, neppure per prevedere nei suoi confronti la comunicazione dell’archiviazione (Sez. 5, 39486/2018).

L’esimente di cui all’art. 598  per cui non sono punibili le offese contenute negli scritti e nei discorsi pronunciati dinanzi alle autorità giudiziarie o amministrative  non si applica allorché l’esposizione infedele espressa con la consapevolezza dell’innocenza dell’accusato integri un fatto costitutivo di illecito penale (calunnia), essendo, in tal caso, del tutto irrilevante la circostanza di avere agito nell’espletamento di condotta difensiva (Sez. 5, 31115/2011).

L’esimente di cui all’art. 598  concernente la non punibilità delle offese contenute in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative, funzionale al libero esercizio del diritto di difesa  è circoscritta all’ambito del giudizio ordinario od amministrativo nel corso del quale le offese siano proferite, a condizione che siano pertinenti all’oggetto della causa o del ricorso amministrativo, con la conseguenza che essa non è applicabile qualora le espressioni offensive siano divulgate in altra sede (Sez. 5, 20058/2015).

La non punibilità, prevista dall’art. 598, tende infatti a salvaguardare esclusivamente la libertà di discussione delle parti ed ha, quindi, una funzione strumentale rispetto alla formazione del giudizio (Corte costituzionale, sentenza 380/1999). L’esimente ha quindi ad oggetto un’immunità giudiziale e non è applicabile allorché la diffamazione sia compiuta al di fuori dell’ambito del giudizio penale in cui veniva ad inserirsi l’atto impugnazione. È bene anche rammentare che l’art. 598, proprio perché esprime una regola di carattere eccezionale (Corte costituzionale, sentenze 128/1979 e 380/1999), va interpretato in termini aderenti alla sua portata letterale, con la conseguenza che in esso non può trovarsi la fonte di una singolare facoltà di offendere (Sez. 5, 14542/2017) o addirittura di commettere un reato di calunnia (risultando in tal caso irrilevante la circostanza di avere agito nell’espletamento di condotta difensiva delle proprie ragioni, se la redazione dell’atto diretto all’AG consapevolmente contenga una falsa incolpazione di reati che vengono ascritti a persone di cui l’autore conosce l’innocenza, in quanto si viene ad esorbitare dai limiti funzionali posti dalla legge al corretto esercizio della tutela delle proprie ragioni (Sez. 6, 39916/2018).

In tema di diffamazione, la causa di non punibilità prevista dall’art. 598 e la scriminante di cui all’art. 51 operano su piani diversi; la prima non esclude l’antigiuridicità del fatto ma solo l’applicazione della pena e ricomprende anche condotte di offesa non necessarie, purché inserite nel contesto difensivo; la seconda si ricollega, invece, all’esercizio del diritto di difesa richiede il requisito della necessarietà ed il rispetto dei limiti di proporzionalità e strumentalità (Sez. 5, 14542/2017).

In tema di diffamazione, l’esimente di cui all’art. 598  in base alla quale non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunziati dalle parti o dai loro patrocinatori innanzi alla AG  costituisce applicazione estensiva del più generale principio posto dall’art. 51, in quanto riconducibile all’art. 24 Cost., e si fonda esclusivamente sul rapporto di strumentalità tra le frasi offensive e le tesi prospettate nell’ambito di una controversia giudiziaria, sicché non si richiede che le offese abbiano una base di veridicità o una particolare continenza espressiva (Sez. 5, 6701/2006).

L’esimente di cui all’art. 598 è applicabile anche alle offese contenute nell’atto introduttivo del giudizio (Sez. 5, 40452/2004).

La causa di non punibilità prevista dall’art. 598 e la scriminante di cui all’art. 51 operano su piani diversi, la prima non escludendo l’antigiuridicità del fatto ma solo l’applicazione della pena e ricomprendendo anche condotte di offesa non necessarie, purchè inserite nel contesto difensivo; la seconda ricollegandosi, invece, all’esercizio del diritto di difesa e richiedendo il requisito della necessarietà ed il rispetto dei limiti di proporzionalità e strumentalità (Sez. 5, 14542/2017), di guisa che le offese non punibili ai sensi dell’art. 598 sono solo quelle che si riferiscono all’oggetto della causa ed hanno una qualche finalità difensiva (Sez. 5, 7341/2019).

Perché possa ricorrere la causa di giustificazione ex art. 598, è necessario che le espressioni ingiuriose concernano, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata o per l’accoglimento della domanda proposta (Sez. 5, 2507/2017).