Art. 341-bis - Oltraggio a pubblico ufficiale (1)
1. Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni.
2. La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile.
3. Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto.
(1) Articolo aggiunto dal comma 8 dell’art. 1, L. 94/2009.
Rassegna di giurisprudenza
Non è contraria ai principi di uguaglianza e proporzionalità la pena da 15 giorni a 3 anni di reclusione stabilita per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, nella versione in vigore dal 2009 fino all’entrata in vigore del “decreto sicurezza” dell’estate 2019, che ha innalzato il minimo a 6 mesi (Corte costituzionale, sentenza 284/2019).
Ai fini della configurabilità del reato di oltraggio a pubblico ufficiale non è richiesto che l’offesa arrecata al prestigio del pubblico ufficiale sia tale da avere determinato un turbamento del pubblico ufficiale, né presuppone che sia commessa con violenza o minaccia, essendo solo richiesto che l’offesa sia rivolta al pubblico ufficiale mentre compie un atto del suo ufficio, e a causa o nell’esercizio delle sue funzioni, e che avvenga in luogo pubblico o aperto al pubblico ed in presenza di più persone. La finalità della norma è quella di tutelare il prestigio del pubblico ufficiale per non comprometterne l’autorevolezza alla presenza di altre persone, indipendentemente da un concreto condizionamento o turbativa della funzione, e quindi anche se le offese non abbiano in alcun modo influenzato il pubblico ufficiale nell’esercizio della sua funzione. Inoltre, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, purché le espressioni utilizzate siano obiettivamente offensive del prestigio del pubblico ufficiale, il dolo è implicito nel fatto stesso, non essendovi possibilità di interpretazioni diverse, ed essendo l’offesa per la sua contestualità con il compimento dell’atto indicativa comunque di una critica scomposta e volgare al compimento dell’atto di ufficio (Sez. 6, 16869/2019).
Il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, come disciplinato dall’art. 341-bis, è a forma libera ed è integrato da una qualunque manifestazione offensiva, attiva o omissiva, esplicita o implicita, anche violenta o minacciosa, che rivesta valenza lesiva del prestigio del pubblico ufficiale. In caso di oltraggio commesso rivolgendo una frase al pubblico ufficiale, le espressioni utilizzate devono essere connotate da un’obbiettiva idoneità offensiva e, pertanto, essere tali da recare nocumento a quella particolare forma di decoro e di rispetto che deve circondare quanti esercitano una pubblica funzione. Del resto, il diritto di libera manifestazione del pensiero presidiato dalla Costituzione non è incondizionato ma è soggetto ai limiti della continenza e dell’ordine pubblico, il che esclude che il delitto di oltraggio possa ritenersi scriminato dall’esercizio del diritto di critica allorché esso si esplichi mediante l’uso di parole obbiettivamente offensive e denigratorie dell’onore e del prestigio del pubblico ufficiale, in cui si incarna la considerazione della pubblica amministrazione funzionale al buon andamento della stessa, bene giuridico anch’esso di rilievo costituzionale. È ovviamente richiesta la prova del nesso funzionale, e cioè che l’offesa sia stata posta in essere mentre il soggetto passivo stava compiendo un atto del suo ufficio e che essa sia strettamente connessa all’esercizio delle funzioni e, dunque, abbia la propria scaturigine nell’atto d’ufficio che il pubblico ufficiale stava ponendo in essere. Il reato di cui all’art. 341-bis sanziona infatti non una qualunque critica anche accesa verso i pubblici ufficiali mediante l’articolazione di frasi dal contenuto denigratorio, bensì solo e soltanto la condotta ingiuriosa che – in quanto connotata dal requisito della pubblicità, dalla presenza dell’offeso pubblico ufficiale e soprattutto da una relazione diretta rispetto all’espletamento della pubblica funzione – sia tale da minare la dignità sociale del pubblico ufficiale e, attraverso di esso, la considerazione della pubblica amministrazione che impersona in quel momento. Inoltre, va rilevato che il legislatore del 2009, nel reintrodurre la fattispecie dell’oltraggio a pubblico ufficiale, ha richiesto ai fini della incriminazione che l’offesa sia connotata dal requisito della pubblicità, e cioè avvenga in un luogo pubblico ovvero aperto al pubblico ed in presenza di più persone, oltre che in presenza del pubblico ufficiale. Fermo quanto precede, il reato è integrato con la frase "togliti dai coglioni", anche considerato il contesto di aspra contrapposizione in cui è stata pronunciata, di chiaro ed evidente contenuto offensivo dell’altrui reputazione ed onorabilità. Tale espressione volgare (attributiva di una patente diretta di discredito anche se morfologicamente utilizzata con una forma per così dire ellittica) anche valutata nel contesto complessivo della proposizione, ha senza dubbio una valenza obiettivamente denigratoria e minatoria verso l’esercente la pubblica funzione, non può giudicarsi espressione di mera critica, anche accesa, o di villania, ma è tale da incidere in senso negativo sul consenso che il pubblico ufficiale deve avere nella società (Sez. 7, 10773/2019).
Ai fini della configurabilità del reato di oltraggio di cui all’art. 341-bis è sufficiente che le espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale possano essere udite dai presenti, poiché già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la P.A. di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie (Sez. 6, 19010/2017).
Ai fini della valutazione in punto di idoneità offensiva delle espressioni utilizzate nei confronti del pubblico ufficiale, non ci deve limitare a valutare il mero significato obiettivo delle parole, ma si deve tenere conto anche dei criteri etico sociali comunemente condivisi e, soprattutto, della evoluzione del linguaggio nella società. Il che peraltro non significa che l’obiettiva capacità offensiva delle parole possa ritenersi elisa dalla facilità con cui nella società contemporanea vengono abitualmente usate espressioni volgari o dal fatto che una data locuzione ricorra frequentemente nel linguaggio comune, potendo questa integrare il reato allorché sia inserita in un contesto che esprima, senza possibilità di equivoci, disprezzo e disistima per le funzioni del pubblico ufficiale (Sez. 6, 51613/2016).
Sebbene non sia previsto dall’art. 341-bis – mentre l’ipotesi previgente lo richiedeva expressis verbis –, l’offesa deve inoltre avvenire anche in presenza del pubblico ufficiale, requisito che si desume, seppure implicitamente, dalla previsione che la condotta oltraggiosa deve essere compiuta "mentre" il pubblico ufficiale che riceve l’offesa "compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni", contemporaneità che resterebbe priva di significato ove l’offesa perseguita non fosse immediatamente percepita dal pubblico ufficiale intento a svolgere l’attività d’ufficio (Sez. 6, 51613/2016).
Presenza di più persone
Affinché possa configurarsi un'offesa al prestigio ai sensi dell’art. 341-bis, le «più persone» in presenza delle quali deve svolgersi la condotta oltraggiosa debbono essere diverse dai pubblici funzionari interessati o coinvolti nel compimento dell'atto dell'ufficio, ma non necessariamente estranee alla Pubblica Amministrazione (cioè i "civili"), potendo anche rilevare la presenza di altri pubblici ufficiali, a condizione che questi non siano presenti per lo stesso motivo d'ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall'agente. (Secondo la Suprema Corte, la sentenza impugnata non ha fatto buon governo di tale principio di diritto, avendo posto l'accento sulle circostanze di luogo della condotta che, in quanto avvenuta sulla pubblica via, legittimerebbe una presunzione di sussistenza della presenza di più persone, spostando sostanzialmente sulla difesa l'onere di fornire la prova contraria. Tale argomentazione, ha osservato peraltro la Suprema Corte, si pone in contrasto con il principio generale in tema di prova che grava l'accusa dell'onere di dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato per cui si procede) (Sez. 6. 13153/2022).
La fattispecie di cui all'art. 341-bis richiede che la condotta sia tenuta in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, in modo che le offese possano essere udite da queste ultime, giacché tale aspetto di per sé costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la prestazione del pubblico ufficiale, disturbandolo mentre compie un atto dell'ufficio e facendogli avvertire condizioni avverse, ulteriori rispetto a quelle ordinarie. Per tale ragione, il requisito della pluralità di persone alla cui presenza deve svolgersi la condotta oltraggiosa è integrato unicamente da persone estranee alla pubblica amministrazione (ossia dai "civili") ovvero da persone che, pur rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, siano presenti in quel determinato contesto spazio-temporale non per lo stesso motivo d'ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall'agente (Sez. 6, 11820/2022).
In contrario avviso: l’art. 341-bis richiede la presenza di più persone, ma non anche la qualità di estranei alle forze dell’ordine, sicché il requisito è integrato anche se tra i presenti si tenga conto di appartenenti alle forze dell’ordine medesime (Sez. 7, 3348/2019).
Ai fini della configurabilità del reato di oltraggio di cui all’art. 341-bis, è necessaria la prova della presenza di più persone e, solo ove risulti accertata tale circostanza, la prova della percepibilità dell’offesa da parte dei presenti (Sez. 6, 9143/2019).
Il delitto di cui all’art. 341-bis è integrato allorché sia presente una pluralità di persone, le quali possano udire le espressioni offensive, essendo invece irrilevante che le abbiano percepite effettivamente, in quanto la mera potenzialità costituisce aggravio psicologico che può compromettere l’attività del pubblico ufficiale (Sez. 6, 29406/2018).
Luogo pubblico o aperto al pubblico
Ai fini della configurabilità del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, la cella e gli ambienti penitenziari sono da considerarsi luogo aperto al pubblico, e non come luogo di privata dimora, non essendo nel "possesso" dei detenuti, ai quali non compete alcuno ius excludendi alios.
Ai fini della qualificazione dell’ambiente come luogo aperto al pubblico, è essenziale la sua destinazione alla fruizione di un numero indeterminato di soggetti che, in presenza di determinate condizioni, hanno la possibilità pratica e giuridica di accedervi, essendo, invece, irrilevante che l’accesso dei detenuti sia coattivo e volto a soddisfare un interesse pubblico (Sez. 6, 26028/2018).
È tale una piazzola di sosta in autostrada (Sez. 6, 59221/2018).
Ai fini della configurabilità del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, la caserma dei carabinieri va considerata luogo aperto al pubblico in quanto ufficio pubblico accessibile, nel rispetto di prefissate condizioni, ad una categoria di persone, in cui rientrano gli utenti, che possono avvalersi delle competenze dell’ufficio anche al di fuori degli orari di ufficio in casi di emergenza, e gli stessi appartenenti all’Arma nonché il personale di servizio.
L’indicato estremo dell’apertura al pubblico non può pertanto neppure essere escluso dalla circostanza che la condotta oltraggiosa sia stata posta in essere dall’imputato in locali prevalentemente adibiti ad attività amministrativa interna (Sez. 6, 25526/2018).
Rapporto con altre fattispecie
Il pianerottolo delle scale di un fabbricato in condominio costituisce luogo aperto al pubblico in quanto consente l’accesso ad una indistinta categoria di persone e non soltanto ai condomini (Sez. 1, 934/1983).
Quando il comportamento di aggressione all’incolumità fisica del pubblico ufficiale non sia diretto a costringere il soggetto a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio, ma sia solo espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento genericamente minaccioso, senza alcuna finalizzazione ad incidere sull’attività dell’ufficio o del servizio, la condotta violenta non integra il delitto di cui all’art. 336, ma i delitti di oltraggio e di minaccia (Sez. 6, 13712/2019).
Casistica
È integrato il reato previsto e punito dall’art. 341 allorché taluno definisca "incompetenti", "ignoranti", "proprio degli sbirri", i militari dell’arma dei Carabinieri mentre elevano una contravvenzione al ciclomotore di sua proprietà (Sez. 7, 13981/2019).