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Art. 356 - Frode nelle pubbliche forniture

1. Chiunque commette frode nell’esecuzione dei contratti di fornitura o nell’adempimento degli altri obblighi contrattuali indicati nell’articolo precedente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a euro 1.032 (1).

2. La pena è aumentata nei casi preveduti dal primo capoverso dell’articolo precedente.

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

Nella giurisprudenza di legittimità si individuano due indirizzi in ordine al significato da attribuire alla «frode nell’esecuzione dei contratti di fornitura o nell’adempimento degli altri obblighi contrattuali». In base ad un primo orientamento «ai fini della configurabilità del delitto di frode nelle pubbliche forniture, non è sufficiente il semplice inadempimento del contratto, richiedendo la norma incriminatrice un "quid pluris" che va individuato nella malafede contrattuale, ossia nella presenza di un espediente malizioso o di un inganno, tali da far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti» (Sez. 6, 5317/2011).

In base ad un secondo orientamento, che pare prevalente e che si condivide, «integra il delitto di frode in pubbliche forniture la condotta dolosa di colui che consegna cose in tutto od in parte difformi dalle caratteristiche convenute senza che occorra necessariamente la dazione di "aliud pro allo" in senso civilistico» (Sez. 6, 27992/2014). Può dirsi conforme al secondo orientamento l’affermazione per cui «integra il delitto di frode in pubbliche forniture anche la condotta di colui che fornisca una cosa diversa da quella pattuita per origine, provenienza, qualità o quantità, purché la difformità sia apprezzabilmente significativa nel senso di risultare idonea ad incidere sullo svolgimento del rapporto con la pubblica amministrazione».

Tale orientamento interpreta dunque la frode come mala fede contrattuale, che sì traduce nella dolosa condotta di chi fornisca una cosa diversa per quantità o qualità o provenienza rispetto a quanto pattuito: tale assunto ben si concilia con il fatto che si tratta di reato di pura condotta, funzionale ad un’anticipazione e maggiore effettività della tutela, che non resta condizionata dal verificarsi di un danno per la persona offesa (Sez. 6, 29301/2016).

Ai fini della integrazione del reato di frode nelle pubbliche forniture ex art. 356 non sono necessari gli artifici o i raggiri propri del reato di truffa, né è richiesto un evento di danno per la parte offesa, coincidente con il profitto dell’agente, essendo sufficiente la dolosa inesecuzione del contratto pubblico di fornitura di cose o servizi, con la conseguenza che ove ricorrano anche i suddetti elementi caratterizzanti la truffa è configurabile il concorso tra i due delitti (Sez. 6, 38346/2014).

Il delitto di cui all’art. 356 presuppone un inadempimento fraudolento che si ponga come momento di una complessiva inesecuzione della prestazione, letta nella sua integralità e non parcellizzata tramite i singoli momenti attraverso i quali si realizza, salvo che gli stessi assumano un rilievo essenziale rispetto alla corretta esecuzione degli obblighi assunti (Sez. 6, 50334/2013).

Ai fini della configurabilità del delitto di frode in pubbliche forniture è sufficiente il dolo generico, costituito dalla consapevolezza di consegnare cose in tutto od in parte difformi (per origine, provenienza, qualità o quantità) in modo significativo dalle caratteristiche convenute, o disposte con legge o con atto amministrativo, non occorrendo necessariamente la dazione di aliud pro alio in senso civilistico o un comportamento subdolo o artificioso (Sez. 6, 6905/2017).

Per la configurabilità del delitto di frode in pubbliche forniture basta il dolo generico, costituito dalla consapevolezza di consegnare cose in tutto o in parte difformi (per origine, provenienza, qualità o quantità) in modo significativo dalle caratteristiche convenute, o disposte con legge o con atto amministrativo; non si richiede un comportamento ingannevole, bastando la malafede nell'eseguire il contratto in difformità dai patti, perché il dolo nel delitto di frode nelle pubbliche forniture, consiste nella cosciente volontà di consegnare cose diverse da quelle pattuite e l'espressione "frode" non allude a un comportamento ingannevole, ma identifica il fatto in ogni inadempimento che sia effetto di malafede contrattuale, con la conseguenza che se ricorrono anche gli elementi caratterizzanti la truffa è configurabile il concorso tra i due delitti (Sez. 6, 28130/2020).

L’inadempimento contrattuale preso in considerazione dall’art 355 consiste nella mancata consegna, totale o parziale, ovvero nella ritardata consegna, delle cose od opere dovute; ipotesi per le quali occorre la sola constatazione dell’illiceità civile dell’inadempimento per la configurazione del reato, che può essere doloso o colposo secondo che vi sia la volontà di cagionare la mancanza della fornitura, ovvero la colpa (imprudenza, negligenza eccetera) dell’agente.

Nelle ipotesi previste dall’art 356, che in genere riguardano gli inadempimenti che si concretano nella consegna di cosa od opera completamente diversa da quella pattuita, o di cosa od opera affetta da vizi o difetti, si richiede anche un comportamento, da parte del privato fornitore, non conforme ai doveri di lealtà e moralità commerciale e di buona fede contrattuale: ed in questo consiste l’elemento frode. Non si richiede, pertanto, un comportamento tendente a trarre in inganno il committente ed a dissimulare le deficienze della fornitura, ma semplicemente la malafede nell’eseguire il contratto in difformità dei patti (Sez. 3, 58448/2018).

La nozione di frode, rilevante ai fini della contestata norma incriminatrice, si riferisce ad ogni condotta che, nei rapporti con la P.A., viola il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, quale sancito dall’art. 1375 CC, per ciò solo risolvendosi oggettivamente in un fatto dannoso per l’interesse pubblico: il che vale a ribadire il consolidato insegnamento, per cui il reato previsto e punito dall’art. 356 non richiede una condotta implicante artifici o raggiri - propri del reato di truffa e semmai rilevanti ad integrare il concorso delle due fattispecie criminose, ricorrendo ovviamente gli altri elementi costitutivi richiesti dall’art. 640 - essendo sufficiente la dolosa inesecuzione del contratto pubblico di fornitura di cose o servizi. Così come altrettanto consolidata è l’affermazione circa la natura di dolo generico propria dell’elemento soggettivo richiesto dall’art. 356 (Sez. 6, 43900/2018).

È configurabile il concorso per omissione, ex art. 40, comma secondo, nel reato di frode nelle pubbliche forniture, posto che la responsabilità da causalità omissiva é ipotizzabile anche nei riguardi dei reati di mera condotta, a forma libera o vincolata, e che, nell’ambito della fattispecie concorsuale, la condotta commissiva può costituire sul piano eziologico il termine di riferimento che l’intervento omesso del concorrente avrebbe dovuto scongiurare (Sez. 6, 28301/2016).

L’indirizzo che interpreta la "frode nell’esecuzione dei contratti di fornitura o nell’adempimento degli atri obblighi contrattuali" (nel senso che per la sua configurabilità sarebbe insufficiente il semplice inadempimento del contratto, perché la norma incriminatrice richiederebbe anche la presenza di un espediente malizioso o di un inganno, che faccia apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti) confonde l’idea di frode come semplice inganno con quella di truffa (inganno mediante artificio o raggiro).

L’espressione "commette frode", contenuta nell’art. 356, non allude necessariamente a un comportamento subdolo o artificioso, perché si riferisce a ogni violazione contrattuale, a prescindere dal proposito dell’autore di conseguire un indebito profitto o dal danno patrimoniale del quale possa risentire l’ente committente. In altri termini, l’art. 356 sanziona le condotte contrattuali che, nei rapporti con l’amministrazione, violano il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, principio sancito dall’art. 1375 CC.

La frode è un fatto oggettivo che danneggia l’interesse pubblico indipendentemente dall’aggiungersi di espedienti truffaldini e, in un rapporto con Pubblica amministrazione, non contano le condizioni psicologiche delle persone fisiche contraenti ma le modalità di presentazione del bene in relazione a quanto oggettivamente convenuto o disposto con legge o atto amministrativo, per cui la frode non è esclusa alla conoscenza o conoscibilità del difetto della cosa da parte di coloro che agirono per conto della pubblica amministrazione (Sez. 6, 6905/2017).

È sufficiente a configurare l’elemento psicologico del reato previsto dall’art. 356 il dolo generico costituito dalla consapevolezza di effettuare una prestazione diversa per quantità e qualità da quella dovuta, a meno che vengano scoperti e allegati ulteriori elementi che attribuiscano all’oggettivo inadempimento una valenza colposa (Sez. 6, 6905/2017).