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Art. 336 - Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale

1. Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

2. La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa.

Rassegna di giurisprudenza

Elementi strutturali

Il delitto previsto dall’art. 336 si realizza allorquando la violenza o la minaccia è portata contro il pubblico ufficiale per costringerlo ad omettere un atto del suo ufficio anteriormente all’inizio di esecuzione ovvero allorquando la condotta minatoria sia diretta a costringerlo a fare un atto contrario ai doveri dell’ufficio (Sez. 7, 15722/2019).

Il delitto di cui all’art. 336 è un reato di pericolo ed è finalizzato a tutelare la libertà del funzionario nell’adempimento dei suoi doveri (Sez. 6, 47867/2018).

Il delitto ex art. 336 è di mera condotta assistita da dolo specifico e si consuma indipendentemente dal raggiungimento dello scopo prefissatosi dal reo. L’idoneità della minaccia deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto e può integrarla anche una espressione ingiuriosa, volta a ottenere l’interruzione dell’attività di ufficio che si stava svolgendo (Sez. 6, 43905/2018).

Ai fini della consumazione del reato di cui all’art. 336, l’idoneità della minaccia posta in essere per costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri deve essere valutata con un giudizio "ex ante", tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto, con la conseguenza che l’impossibilità di realizzare il male minacciato non esclude il reato, dovendo riferirsi alla potenzialità costrittiva del male ingiusto prospettato (Sez. 6, 32705/2014).

Ai fini della configurabilità del reato di minaccia a pubblico ufficiale di cui all’art. 336, le azioni intimidatorie devono essere dirette a condizionare l’esercizio del complesso di competenze e funzioni del pubblico ufficiale, non assumendo rilevanza lo specifico servizio da questi in concreto svolto, ma è tuttavia richiesto che vi sia una pertinenza tra le funzioni dell’ufficio pubblico e le minacce dirette ad influenzarne l’esercizio.

L’atto richiesto dall’autore della minaccia rivolta al pubblico ufficiale deve rientrare quanto meno nella generica competenza dell’ufficio di appartenenza, dovendosi ritenere che la minaccia rivolta a compiere un atto non rientrante nelle attribuzioni dell’ufficio non è idonea ad integrare il delitto di cui all’art. 336, ma eventualmente, le diverse ipotesi delittuose di interruzione di un ufficio o servizio pubblico, di cui all’art. 340, ove risulti accertato che da tale condotta sia derivato un effettivo turbamento della regolarità del servizio pubblico coinvolto, oltre quella di minaccia di cui all’art. 612, aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale rivestita dalla persona offesa, procedibile a querela.

La ratio della norma di cui all’art. 336, che giustifica un trattamento sanzionatorio differenziato e più afflittivo rispetto alla ipotesi generica di minaccia, aggravata ex art. 61, n. 10, dalla qualità di pubblico ufficiale della persona offesa, è quella di punire le condotte che mettono in pericolo l’adempimento dei propri doveri da parte del pubblico ufficiale minacciato, nell’esercizio della funzione rivestita e non di tutelare soltanto la incolumità personale e la libertà morale della persona che riveste l’incarico e che trova tutela, come per tutti, attraverso i reati generici di minaccia e violenza privata, seppure aggravata dall’art. 61, n. 10 (Sez. 6, 17109/2019).

Ai fini dell’integrazione del delitto di minaccia a pubblico ufficiale di cui all’art. 336, non è necessaria una minaccia diretta o personale, essendo invece sufficiente l’uso di qualsiasi coazione, anche morale, ovvero una minaccia anche indiretta, purché sussista la idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale (Sez. 6, 6482/2008).

 

Causa di giustificazione dell’atto arbitrario del pubblico ufficiale

La causa di giustificazione dell’"atto arbitrario" presuppone necessariamente un’attività ingiustamente persecutoria del pubblico ufficiale, il cui comportamento fuoriesca del tutto dalle ordinarie modalità di esplicazione dell’azione di controllo e prevenzione demandatagli nei confronti del privato destinatario (Sez. 6, 16101/2016).

 

Casistica

Ai fini della consumazione del reato di cui all’art. 336 l’attività di ufficio del pubblico ufficiale perturbata dalla condotta del privato là dove essa consista nella redazione di un verbale di contravvenzione al codice della strada si perfeziona con la sottoscrizione dell’atto da parte del contravventore che segna il momento in cui l’atto stesso viene portato alla conoscenza del trasgressore ai fini della immediata contestazione.

La consegna del verbale al contravventore quale formalità espressamente menzionata dall’art. 200, comma 3, CDS non vale ad individuare un diverso ed alternativo momento di compimento dell’attività del pubblico ufficiale elevatore della violazione al codice della strada, implicando comunque lo stesso l’intervenuta sottoscrizione del verbale di immediata contestazione (Sez. 6, 47867/2018).

 

Rapporto con altre fattispecie

Quando il comportamento di aggressione all’incolumità fisica del pubblico ufficiale non sia diretto a costringere il soggetto a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio, ma sia solo espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento genericamente minaccioso, senza alcuna finalizzazione ad incidere sull’attività dell’ufficio o del servizio, la condotta violenta non integra il delitto di cui all’art. 336, ma i delitti di oltraggio e di minaccia (Sez. 6, 12188/2005).

Sia nel reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336) sia nel reato di resistenza a un pubblico ufficiale (art. 337) l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico.

Ricorre la prima fattispecie incriminatrice se la violenza o la minaccia è rivolta al pubblico ufficiale per costringerlo a omettere un atto del suo ufficio prima che inizi a eseguirlo (Sez. 6, 7992/2015). Invece, se la violenza o la minaccia nei confronti del pubblico ufficiale è attuata durante il compimento dell’atto d’ufficio e per impedirlo, si ha resistenza ex art. 337; né è necessario che sia impedita, in concreto, la libertà di azione del pubblico ufficiale, bastando che sia usata violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, indipendentemente dall’esito positivo o negativo di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento dell’atto (Sez. 6, 46743/2013).

Il dolo specifico necessario per integrare la fattispecie incriminatrice si concreta nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di ostacolare l’attività pertinente al pubblico ufficio o servizio in atto, mentre non rilevano scopi mediati mirati dall’agente (Sez. 6, 38786/2014). Occorre anche che la violenza o la minaccia siano reali e siano idonee a coartare o anche solo ostacolare l’azione del pubblico ufficiale (Sez. 6, 15841/2019).

In tema di rapporti tra le fattispecie previste dagli artt. 336 e 337, quando la violenza o la minaccia dell’agente nei confronti del pubblico ufficiale è posta in essere durante il compimento dell’atto d’ufficio, per impedirlo, si ha resistenza ai sensi dell’art. 337, mentre si versa nell’ipotesi di cui all’art. 336 se la violenza o la minaccia è portata contro il pubblico ufficiale per costringerlo – come nel caso di specie verificatosi per l’evidente finalità di costringere la persona offesa ad effettuare una visita medica al di fuori delle regole previamente stabilite  a fare ovvero ad omettere un atto del suo ufficio anteriormente all’inizio dell’esecuzione (Sez. 6, 16949/2019).