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Art. 337 - Resistenza a un pubblico ufficiale

1. Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Rassegna di giurisprudenza

Elementi strutturali

In tema di resistenza a un pubblico ufficiale, ex art. 337, integra il concorso formale di reati, a norma dell’art. 81, primo comma, la condotta di chi usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio (SU, 40981/2018).

Il delitto di resistenza presuppone il ricorso alla violenza o alla minaccia che devono essere finalizzate ad opporsi al compimento dell’atto di ufficio: la violenza in particolare implica l’uso della forza fisica, che deve essere funzionale alla realizzazione dell’intendimento oppositivo, fermo restando che non ricorre il delitto contestato allorché l’eventuale atto del divincolarsi si risolva in una mera resistenza passiva, caratterizzata da un uso moderato della forza, non specificamente diretto contro il pubblico ufficiale e dunque tale da esprimere la volontà di non collaborare al compimento dell’atto (Sez. 6, 5209/2019).

Ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 337, è necessario il verificarsi di atti positivi d’aggressione o di minaccia che impediscano al pubblico ufficiale di compiere l’atto del proprio ufficio, rimanendo al di fuori della fattispecie un comportamento di mera disobbedienza o resistenza passiva (Sez. 5, 8379/2014).

Nel reato di resistenza a pubblico ufficiale la violenza consiste in un comportamento idoneo ad opporsi, in maniera concreta ed efficace, all’atto che il pubblico ufficiale sta legittimamente compiendo, con la conseguenza che tale reato commette la persona che, alla guida di un’autovettura, anziché ottemperare all’intimazione di arresto di marcia effettuata da agenti di polizia al fine di identificazione, si dia alla fuga ad alta velocità e, al fine di vanificare il successivo inseguimento, ponga in essere manovre di guida tali da creare una situazione di generale pericolo per l’incolumità personale dei pubblici ufficiali inseguitori e dei terzi circolanti sulla pubblica via (Sez. 1, 16537/2019).

Il delitto di resistenza ex art. 337 è integrato anche dalla violenza cosiddetta impropria, che  pur non aggredendo direttamente il pubblico ufficiale  si riverbera negativamente nell’esplicazione della sua funzione, impedendola o ostacolandola; solo la resistenza passiva, in quanto negazione di qualunque forma di violenza o di minaccia, rimane al di fuori della previsione legislativa (Sez. 4, 41936/2006).

Il dolo specifico del reato di cui all’art. 337 si concreta nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di opporsi al compimento di un atto dell’ufficio, mentre del tutto estranei sono lo scopo mediato ed i motivi di fatto avuti di mira dall’agente (Sez. 6, 38786/2014).

 

Rapporto con altre fattispecie

Sia nel reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336) sia nel reato di resistenza a un pubblico ufficiale (art. 337) l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico.

Ricorre la prima fattispecie incriminatrice se la violenza o la minaccia è rivolta al pubblico ufficiale per costringerlo a omettere un atto del suo ufficio prima che inizi a eseguirlo (Sez. 6, 7992/2015). Invece, se la violenza o la minaccia nei confronti del pubblico ufficiale è attuata durante il compimento dell’atto d’ufficio e per impedirlo, si ha resistenza ex art. 337; né è necessario che sia impedita, in concreto, la libertà di azione del pubblico ufficiale, bastando che sia usata violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, indipendentemente dall’esito positivo o negativo di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento dell’atto (Sez. 6, 46743/2013).

Il dolo specifico necessario per integrare la fattispecie incriminatrice si concreta nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di ostacolare l’attività pertinente al pubblico ufficio o servizio in atto, mentre non rilevano scopi mediati mirati dall’agente (Sez. 6, 38786/2014). Occorre anche che la violenza o la minaccia siano reali e siano idonee a coartare o anche solo ostacolare l’azione del pubblico ufficiale (Sez. 6, 15841/2019).

In tema di rapporti tra le fattispecie previste dagli artt. 336 e 337, quando la violenza o la minaccia dell’agente nei confronti del pubblico ufficiale è posta in essere durante il compimento dell’atto d’ufficio, per impedirlo, si ha resistenza ai sensi dell’art. 337, mentre si versa nell’ipotesi di cui all’art. 336 se la violenza o la minaccia è portata contro il pubblico ufficiale per costringerlo  come nel caso di specie verificatosi per l’evidente finalità di costringere la persona offesa ad effettuare una visita medica al di fuori delle regole previamente stabilite  a fare ovvero ad omettere un atto del suo ufficio anteriormente all’inizio dell’esecuzione (Sez. 6, 16949/2019).