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Art. 473 - Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (1)

1. Chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.500 a euro 25.000.

2. Soggiace alla pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 3.500 a euro 35.000 chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati.

3. I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.

(1) Articolo prima modificato dall’art. 113, L. 689/1981 e poi così sostituito dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 15, L. 99/2009.

Rassegna di giurisprudenza

Ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 473, posto a tutela del bene giuridico della fede pubblica, è necessaria la materiale contraffazione o alterazione dell'altrui marchio o segno distintivo che siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento, a differenza del reato previsto dall'art. 517-ter, che tutela esclusivamente il patrimonio del titolare della proprietà industriale e che ricorre sia nell'ipotesi di prodotti realizzati ad imitazione di quelli con marchio altrui, sia nell'ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti "originali" da parte di chi non ne è titolare (Sez. 5, 11873/2022).

Poiché la tutela penale dei marchi o dei segni distintivi delle opere dell’ingegno o di prodotti industriali è finalizzata alla garanzia dell’interesse pubblico preminente della fede pubblica, più che a quello privato del soggetto inventore, il terzo comma dell’art. 473 deve essere interpretato nel senso che per la configurabilità dei delitti contemplati dai precedenti commi del medesimo articolo è necessario che il marchio o il segno distintivo, di cui si assume la falsità, sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge all’esito della prevista procedura, sicché la falsificazione dell’opera dell’ingegno può aversi soltanto se essa sia stata formalmente riconosciuta come tale. Di conseguenza, il presupposto cautelare del fumus commissi delicti nei procedimenti per i reati di contraffazione e alterazione di marchi o segni distintivi è configurabile, in fase cautelare, ove questi ultimi risultino depositati, registrati o brevettati nelle forme di legge, non richiedendosi alcuna indagine in ordine alla loro validità sostanziale (Fattispecie nella quale il tribunale del riesame aveva rigettato la richiesta formulata ex art. 324 c.p.p. in relazione al sequestro di capi di abbigliamento recanti marchi asseritamente contraffatti, nonostante una consulenza tecnica di parte avesse rilevato che si trattava di loghi che non godono di alcuna protezione sul territorio nazionale) (Sez. 2, 46882/2021).

L’oggetto della tutela apprestata dall’art. 473 consiste nel pericolo di confusione dei marchi che possa sorprendere l’affidamento del consumatore nella genuinità e autenticità del segno distintivo del prodotto industriale (Sez. 5, 11230/2019).

Il diritto di utilizzare in via esclusiva il marchio, con il connesso diritto di inibirne ad altri l’utilizzo, è configurato come un diritto territoriale, sicché il titolare di marchio italiano, ovvero di un marchio registrato in Italia (e in ambito comunitario), ha il diritto di uso esclusivo solo con riferimento al territorio italiano (e comunitario), non estendendosi oltre i predetti confini (Sez. 5, 11230/2019).

Il dimostrato pre-uso del marchio di fatto opera come causa scriminante rispetto al delitto di cui all’art. 473, poiché il pre-utente del marchio ha diritto di continuare nell’uso del marchio stesso nei limiti della sua diffusione territoriale (Sez. 5, 28956/2013).

Il pre-uso di marchio di fatto comporta il diritto all’uso del segno distintivo da parte del pre-utente, anche nel caso di successiva registrazione del marchio da parte di terzi, nell’ambito dell’uso fattone dal precedente utilizzatore (Sez. 1 civile, 4405/2006).

Non integra il reato di contraffazione di marchio, o di uso di marchio contraffatto, la condotta del pre-utente del marchio di fatto, anche se non notorio, da altri registrato, il quale continui a utilizzarlo nei limiti del pre-uso, esercitando questi un diritto espressamente riconosciutogli dall’ordinamento (Sez. 5, 11230/2019).

Alla luce delle modifiche apportate all’art. 473 dalla L. 99/2009, non è sufficiente per la configurabilità del reato che prima della sua consumazione sia stata depositata la domanda tesa ad ottenere il titolo di privativa, ma è invece necessario che questo sia stato effettivamente conseguito (Sez. 5, 41891/2013).

Come si ricorderà infatti, prima dell’intervento della novella, la giurisprudenza di legittimità aveva dapprima escluso la penale rilevanza degli abusi sui segni distintivi e sui brevetti in relazione ai quali sia stata presentata solo la domanda di riconoscimento (Sez. 2, 26 marzo 1998), mutando in seguito il proprio indirizzo ed aderendo all’opinione di segno contrario, sulla base dell’assunto che il deposito rende formalmente conoscibili al pubblico i titoli di privativa rendendone possibile la contraffazione, l’alterazione o l’indebita utilizzazione. La citata L. 99/2009 ha successivamente inserito nel primo comma dell’art. 473 l’inciso per cui il fatto è tipico solo se l’autore poteva «conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale». Essendo pacifico che ai sensi dell’art. 2 DLGS 30/2005 il titolo di privativa viene ad esistere solo al momento in cui vengono concessi la registrazione o il brevetto  concessione alla quale lo stesso articolo attribuisce espressamente natura di accertamento costitutivo  l’orientamento di legittimità si è consolidato nel senso sopra indicato, escludendo che la presentazione della domanda sia presupposto sufficiente per la configurabilità del reato. Pertanto l’avvenuto rilascio dei titoli di privativa  il cui regime di pubblicità garantisce la loro conoscibilità ed integra conseguentemente il presupposto richiesto ora dalla norma incriminatrice  è circostanza sulla quale il giudice di merito è chiamato a motivare in maniera specifica, posto che la nuova formulazione dell’art. 473 deve ritenersi più favorevole e dunque applicabile al fatto per cui si procede nonostante lo stesso sia stato consumato anteriormente alla modifica legislativa di cui si è detto (Sez. 5, 55823/2018).

Ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 473 non è sufficiente la mera possibilità di confusione tra due marchi, regolarmente registrati, ma è necessaria la materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio (Sez. 2, 28922/2014).

Non c’è coincidenza tra la condotta integrante l’illecito civilistico della concorrenza sleale e quella integrante il reato di cui all’art. 473, atteso che l’illecito civilistico, quale previsto dall’art. 2598 n. 1 CC richiede come condizione necessaria e sufficiente quella che si usino nomi o segni distintivi idonei a creare confusione con quelli usati da altri, o che si imitino servilmente i prodotti altrui, mentre l’art. 473 richiede, più specificamente, che gli altrui marchi o segni distintivi siano fatti oggetto di materiale contraffazione o alterazione, per cui, mancando queste, la sola possibilità di confusione non può, di per se, valere a costituire il reato (Sez. 2, 28922/2014).

Permane la rilevanza penale del fatto, ai sensi dell’art. 473, quando il diverso marchio registrato sia identico a quello noto e, all’uso di esso sul prodotto, si accompagni la replica di tutti gli altri segni distintivi, così da travalicare il concetto di “confusione” per arrivare ad una vera e propria “copiatura” (Sez. 5, 51754/2018).

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 473, è necessaria la materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio. Occorre, in altre parole, che il marchio subisca una riproduzione integrale o, se parziale, di consistenza comunque idonea a creare la confusione con il marchio originale (Sez. 7, 46574/2018).

Ai fini della configurabilità dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 473, non è sufficiente la mera confondibilità tra due marchi regolarmente registrati, ma è necessario un quid pluris rappresentato dalla materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio (Sez. 1, 30774/2016).

Il reato di cui all’art.473 è punito a titolo di dolo generico (Sez. 5, 33137/2018).

I reati previsti dagli articoli 473 e 474 tutelano la pubblica fede con riferimento ai segni distintivi di un determinato prodotto ed hanno come presupposto l’attività fraudolenta del soggetto, esplicatasi mediante alterazione o contraffazione di marchi, etichette o sigilli originali, sicché, in tale contesto normativo, il riutilizzo, dopo la scadenza della relativa licenza, di un’etichetta o di un marchio vero su un prodotto non originale rientra nel concetto di contraffazione (Sez. 5, 22503/2016).

Il reato di cui all’art. 473 è configurabile anche semplicemente con riferimento alla contraffazione dei cartellini, indipendentemente dal fatto che siano impiegati o meno per etichettare il prodotto (Sez. 5, 33137/2018).

L’art. 473 esige la contraffazione, che consiste nella riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa, di un marchio o di un segno distintivo, ovvero la alterazione, che ricorre quando la riproduzione è parziale, ma tale da potersi confondere col marchio originario o col segno distintivo.

La fattispecie declinata dall’art. 517 prescinde, invece, dalla falsità, rifacendosi alla mera, artificiosa equivocità dei contrassegni, marchi ed indicazioni illegittimamente usati, tali da ingenerare la possibilità di confusione con prodotti similari da parte dei consumatori comuni. I due reati sono connotati dalla diversità del bene giuridico tutelato, in quanto il primo ha per oggetto la tutela della fede pubblica e richiede la contraffazione o l’alterazione del marchio e/o del segno distintivo della merce, laddove il reato di cui all’art. 517 ha per oggetto la tutela dell’ordine economico e richiede la semplice imitazione del marchio, non necessariamente registrato o riconosciuto, purché detta imitazione sia idonea a trarre in inganno gli acquirenti (Sez. 5, 31482/2007).

Ai fini dell’integrazione dei reati di cui agli artt. 473 e 474, posti a tutela del bene giuridico della fede pubblica, è necessaria la materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio o segno distintivo che siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento, a differenza del reato previsto dall’art. 517-ter, che tutela esclusivamente il patrimonio del titolare della proprietà industriale, il quale ricorre sia nell’ipotesi di prodotti realizzati ad imitazione di quelli con marchio altrui, sia nell’ipotesi di fabbricazione, utilizzazione e vendita di prodotti “originali” da parte di chi non ne è titolare (Sez. 3, 14812/2017).

Integra il reato di cui all’art. 473 una condotta di alterazione per imitazione dei c.d. modelli ornamentali registrati, consistita nella riproduzione degli elementi emblematici strutturali e di maggior risalto del modello brevettato, in modo tale da causare la confondibilità dell’oggetto contraffatto con il prodotto originario, o comunque da ingenerare una falsa rappresentazione della provenienza del prodotto, in considerazione dell’insieme delle caratteristiche costruttive ed estetiche dei modelli confrontati (Sez. 5, 16709/2016).

In punto di attitudine della contraffazione alla confondibilità con il prodotto originale, va rilevato che «Ai fini della configurabilità del reato di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (art. 473), nessun rilievo spiega la cosiddetta contraffazione grossolana, considerato che il bene tutelato in via principale e diretta dalla fattispecie incriminatrice, non è la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione.

Si tratta, pertanto, di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e nemmeno ricorre l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno, similmente a quanto richiesto per l’ipotesi del reato di cui all’art. 474 cod. pen., considerato che ferma la diversità della condotta caratterizzanti le due fattispecie, la “res” oggetto della condotta è la medesima, di guisa che ricorrendo la “eadem ratio” si applica analogo principio» (Sez. 5, 21049/2012).

Quanto al versante soggettivo dell’imputazione di cui all’art. 473, sono adeguati indicatori del dolo generico richiesto dalla norma incriminatrice da un lato, la pubblicazione sul Portale dell’Ufficio Europeo della Proprietà Intellettuale della registrazione delle componenti identificative del modello, con conseguente pubblicità legale del titolo di privativa, soprattutto nell’ambito delle aziende produttrici di beni analoghi; dall’altro, l’omissione degli obblighi strumentali di verifica (Sez. 5, 19395/2018).

In tema di contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali, l’autore di uno stampo per la contraffazione di singoli componenti o chi lo acquisti a fini produttivi risponde del delitto previsto dall’art. 473 non solo con riferimento alla realizzazione o all’acquisto di questo strumento, ma anche, a titolo di continuazione, per le successive condotte, da lui poste in essere, di lavorazione e commercializzazione dei beni realizzati con tale mezzo (Sez. 6, 15646/2015).

Integra il reato di cui all’art. 473 la contraffazione o l’alterazione di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali che siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento, mentre ricorre il reato previsto dall’art. 127, comma primo, DLGS 30/2005 nel caso in cui l’abusiva utilizzazione di un prodotto leda solo lo specifico interesse patrimoniale di chi lo ha brevettato, in quanto il bene protetto dal primo reato è la fede pubblica laddove quello tutelato dal secondo è il patrimonio (Sez. 5, 22503/2016).

Ai fini della configurabilità del reato di contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni (art. 473), nessun rilievo spiega neppure la cosiddetta contraffazione grossolana, considerato che il bene tutelato in via principale e diretta dalla fattispecie incriminatrice, non è la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione.

Si tratta, pertanto, di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e nemmeno ricorre l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno, similmente a quanto richiesto per l’ipotesi del reato di cui all’art. 474, considerato che ferma la diversità della condotta caratterizzanti le due fattispecie, la res oggetto della condotta è la medesima, di guisa che ricorrendo la eadem ratio si applica analogo principio (Sez. 5, 21049/2012).

Il bene giuridico protetto dagli artt. 473 e 474 è la fede pubblica, che si intende tutelare contro specifici attacchi insiti nella contraffazione od alterazione del marchio o di altri segni distintivi o del brevetto, disegni o modelli industriali. Bene messo in pericolo tutte le volte in cui la contraffazione (pedissequa riproduzione integrale, in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa di marchi o segni distintivi, ovvero riproduzione negli elementi essenziali e caratterizzanti di un prodotto brevettato) o la alterazione (riproduzione solo parziale, ma tale da ingenerare confusione con marchio originario o segno distintivo o prodotto brevettato) siano tali da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento. L’interesse pubblico, in tale situazione, è preminente rispetto a quello privato, nella sua specifica dimensione patrimoniale, che, anzi, resta assorbito in quello collettivo reputato di maggior rilievo (fede pubblica e tutela del mercato). Di contro, ove sia ravvisabile solo uno specifico interesse patrimoniale di un privato, leso dall’abusiva utilizzazione di un prodotto da lui brevettato, ricorre un’altra fattispecie di reato, ratione temporis ravvisabile nella fattispecie di cui all’art. 127 del DLGS 30/2005 (in precedenza come frode brevettuale di cui all’art. 88 RD 1127/1939), che tutela esclusivamente il patrimonio e dunque una sfera di interessi esclusivamente privati (circostanza questa chiaramente segnalata dalla procedibilità a querela di parte) ed ha, dunque, carattere sussidiario rispetto alle ipotesi di reato previste dal codice penale, tra cui appunto quella di cui all’art. 473 (Sez. 5, 19512/2006).

Il reato di falso punito dall’articolo 473 è applicabile anche alla contraffazione o alterazione dei cosiddetti modelli ornamentali disciplinati dall’articolo 2593 CC, che sono indicativi della provenienza del prodotto dall’impresa che l’ha brevettato. In tal caso la contraffazione consiste nel dare al prodotto quella forma e quei colori particolari che possono indurre il pubblico ad identificarlo come proveniente da una certa impresa, anche prescindendo dalle eventuali indicazioni dei marchi con i quali venga contrassegnato. Ed invero “quando il modello contraffatto sia legittimamente contrassegnato anche da un marchio di provenienza, per la consumazione del reato è necessario che sia integralmente riprodotta per imitazione una forte capacità identificativa del modello, pur riconoscendosi autonoma rilevanza penale alla contraffazione del modello a norma dell’articolo 473, secondo comma” (Sez. 5, 8758/1999, fattispecie relativa a modelli ornamentali di capi di abbigliamento). Infatti da tempo era stato sottolineato che, proprio ai fini dell’art. 473, per modello ornamentale si intende “quello idoneo a conferire a determinati prodotti industriali uno speciale ornamento, sia per la forma, sia per una particolare combinazione di linee o di altri qualificanti elementi (art. 5, RD 1141/1940, in materia di brevetti per invenzioni industriali). Quando tali modelli abbiano ricevuto il brevetto, sono destinatari anche della tutela apprestata dall’art. 473. Questa norma, infatti, ne punisce la contraffazione, ossia la realizzazione, attraverso l’indebito sfruttamento del modello, di altro oggetto dello stesso tipo, conformazione e caratteristica funzionale, capace di rendere confondibile l’oggetto contraffatto con quello la cui originalità risulta tutelata mediante in brevetto” (Sez. 5, 4084/1994).

Pertanto, in caso di modello ornamentale, la condotta di contraffazione assume caratteristiche affatto diverse da quelle richieste per ritenere integrata la condotta di contraffazione del marchio ed in tal senso deve essere letta anche la più recente giurisprudenza di legittimità in tema di contraffazione del marchio (Sez. 2, 28922/2014) non applicabile tout court alle fattispecie di contraffazione del modello ornamentale (Sez. 3, 31868/2016).

L’uso illegittimo di un brevetto non integra gli estremi del reato di cui all’art. 473 ma quello di cui all’art. 88 RD 1127/1934 (c.d. frode brevettuale), successivamente depenalizzato ad opera dell’art. 20 L. 70/1989 , il quale sanziona la condotta di colui che, ancorché non responsabile della falsificazione di marchi e brevetti, si attivi in vario modo per commerciare prodotti in violazione del diritto di esclusiva (Sez. 5, 11556/2007).