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Art. 63 - Applicazione degli aumenti o delle diminuzioni di pena

1. Quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro limiti determinati, l’aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di essa, che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire.

2. Se concorrono più circostanze aggravanti, ovvero più circostanze attenuanti, l’aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall’aumento o dalla diminuzione precedente.

3. Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo (1).

4. Se concorrono più circostanze aggravanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla.

5. Se concorrono più circostanze attenuanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena meno grave stabilita per le predette circostanze; ma il giudice può diminuirla.

(1) Comma così sostituito dall’art. 5, L. 400/1984.

Rassegna di giurisprudenza

In tema di circostanze aggravanti, il principio di cui all'art. 63, c. 4, secondo cui in caso di concorso tra circostanze ad effetto speciale non si applica il cumulo materiale, ma la pena per la circostanza più grave aumentata fino ad un terzo, opera anche in caso di concorso tra circostanze aggravanti indipendenti e ad effetto speciale, atteso che le prime devono considerarsi alla stregua di queste ultime, perché influiscono sulla pena ordinaria del reato, imponendo autonomi limiti edittali (Sez. 2, 6558/2021).

In tema di concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale, la disciplina di cui all’art. 63, comma quarto, si applica integralmente nel caso in cui la recidiva concorre con altra aggravante speciale e rispetto a questa sia stata ritenuta meno grave, con la conseguenza che il giudice, quand’anche la recidiva sia di natura obbligatoria e comporti un aumento predeterminato della pena, può procedere all’ulteriore aumento di pena entro il limite di cui al combinato disposto degli artt. 63, comma quarto, e 64, comma primo, (“fino ad un terzo della pena prevista per il reato commesso”) (Sez. 6, 13843/2018).

Il criterio di contemperamento dettato dall’art. 63, quarto comma, in caso di concorso di più circostanze ad effetto speciale, vale, ovviamente, per l’ipotesi in cui in concreto vi sia stata da parte del giudice quantificazione di pena stabilita per la circostanza ad effetto speciale più grave. Ove tale aumento manchi per effetto del giudizio di equivalenza (come nel caso di specie) o prevalenza delle riconosciute (ovvero concesse) circostanze attenuanti rispetto a quelle aggravanti, non essendovi in concreto applicazione della pena stabilita per effetto di circostanza aggravante ad effetto speciale, non si verificano i presupposti per applicare il criterio di contemperamento e quindi la circostanza ad effetto speciale, che per volontà di legge è esclusa dal giudizio di bilanciamento, va applicata senza il limite stabilito dall’art. 63, quarto comma (Sez, 1, 1237/2109).

In tema di concorso di circostanze aggravanti, il principio di cui all’art. 63, comma quarto, secondo cui in caso di concorso tra circostanze ad effetto speciale non si applica il cumulo materiale, ma la pena per la circostanza più grave aumentata fino ad un terzo, opera anche in caso di concorso tra circostanze aggravanti indipendenti e ad effetto speciale, atteso che le prime devono considerarsi alla stregua di queste ultime, perché influiscono sulla pena ordinaria del reato, imponendo autonomi limiti edittali; con la conseguenza per cui il giudice, quand’anche la recidiva sia (fosse stata) di natura obbligatoria e comporti un aumento predeterminato della pena, può procedere all’ulteriore aumento di pena e, ove ritenga di apportarlo, è vincolato al limite di cui al combinato disposto degli artt. 63, comma quarto, e 64, comma primo (Sez. 5, 55389/2018).

Ai fini della determinazione della pena agli effetti dell’applicazione di una misura cautelare personale e segnatamente della individuazione dei corrispondenti termini di durata massima delle fasi processuali precedenti la sentenza di merito di primo grado, deve tenersi conto, nel caso di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale, oltre che della pena stabilita dalla legge per la circostanza più grave, anche dell’ulteriore aumento complessivo di un terzo, ai sensi dell’art. 63, quarto comma, per le ulteriori omologhe aggravanti meno gravi (SU, 38518/2015).

Secondo una pronuncia isolata, l’esclusione delle circostanze aggravanti “privilegiate” dal giudizio di bilanciamento comporta anche l’inoperatività della regola di calcolo ispirata dal favor rei, dettata dall’art. 63, quarto comma, (Sez. 2, 18278/2017). Già in precedenza, tuttavia, le Sezioni unite avevano chiarito che, «L’art. 63 detta le regole per il computo delle circostanze del reato nel corso del giudizio di merito, quando sia affermata la responsabilità dell’imputato. Il secondo comma disciplina l’ipotesi della coesistenza di più circostanze aggravanti comuni ovvero di più circostanze attenuanti comuni (fatti salvi ovviamente i criteri di bilanciamento previsti dall’art. 69 quando concorrano circostanze aggravanti e attenuanti comuni), prevedendo cumulativi incrementi o decrementi della pena per ciascuna circostanza di cui il giudice di merito riconosca la sussistenza (cumulo materiale).

Il quarto e il quinto comma disciplinano le ipotesi della coesistenza, rispettivamente, di circostanze aggravanti o di circostanze attenuanti ad effetto speciale, prevedendo (fermo, anche in questi casi, l’eventuale bilanciamento ex art. 69 tra aggravanti e attenuanti concorrenti) che la pena sia aumentata in relazione alla circostanza aggravante speciale più grave ovvero diminuita in relazione alla «pena meno grave» risultante dalle attenuanti (id est dall’attenuante che preveda una maggiore riduzione della pena), con “facoltà” per il giudice di merito di apportare un aumento o una diminuzione ulteriori della pena per l’altra o le altre circostanze ad effetto speciale (aggravanti o attenuanti) una sola volta, quale che sia il numero delle altre circostanze siffatte, e in misura non eccedente un terzo dell’individuata pena base, come statuisce l’art. 64, primo comma» (SU, 38518/2015).

In conclusione, anche in caso di presenza di una aggravante privilegiata ad effetto speciale in concorso omogeneo con una, o più aggravanti ulteriori ad effetto speciale, opera la regola di calcolo del cumulo giuridico di cui all’art. 63 comma 4: il giudice di merito deve tenere conto della circostanza speciale “più grave” ed eventualmente applicare un aumento di pena non superiore ad un terzo per le ulteriori aggravanti speciali globalmente apprezzate, con la conseguenza che l’ulteriore o le ulteriori aggravanti ad effetto speciale restano «assorbite» nell’omologa circostanza più grave; in questo caso la circostanza aggravante soccombente, che consente al giudice, nella sua discrezionalità sanzionatoria (“può”), di applicare un ulteriore aumento di pena, «si trasforma da circostanza ad effetto speciale in circostanza facoltativa comune», non avendo il legislatore predefinito l’entità della variazione di pena che il giudice può apportare (Sez. 5, 47519/2018).

È circostanza più grave quella connotata dalla pena più alta nel massimo edittale e, a parità di massimo, quella con la pena più elevata nel minimo edittale; l’aumento da irrogare in concreto non può in ogni caso essere inferiore alla previsione del più alto minimo edittale per il caso in cui concorrano circostanze, delle quali l’una determini una pena più severa nel massimo e l’altra più severa nel minimo (SU, 20798/2011).

In ipotesi di concorso tra aggravante privilegiata, ulteriori circostanze aggravanti e attenuanti, occorre procedere prima al giudizio di comparazione ai sensi dell’art. 69 tra circostanze “bilanciabili” e, sul risultato così ottenuto, applicare le ulteriori regole di calcolo dettate per l’aggravante privilegiata.

Anzitutto non è consentito prescindere dalla comparazione tra circostanze disomogenee che siano bilanciabili, altrimenti si perverrebbe al risultato incongruo per cui la sola presenza di una circostanza “privilegiata” determinerebbe una estensione del regime di “privilegio” a tutte le altre circostanze coesistenti, sottraendole al bilanciamento. In tali termini si sono pronunciate le Sezioni unite (SU, 10713/2010), anche se con riferimento al comportamento di una circostanza attenuante “privilegiata”, affermando il principio per cui: «Qualora sia riconosciuta la circostanza attenuante ad effetto speciale della cosiddetta “dissociazione attuosa”, prevista dall’art. 8 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991 n. 203 e ricorrano altre circostanze attenuanti in concorso con circostanze aggravanti, soggette al giudizio di comparazione, va dapprima determinata la pena effettuando tale giudizio e successivamente, sul risultato che ne consegue, va applicata l’attenuante ad effetto speciale»).

La ratio è la stessa anche nel caso di aggravante “privilegiata”, alla quale va trasposto il medesimo principio. In secondo luogo l’applicazione di criteri di bilanciamento degli elementi circostanziali del reato ex art. 69 è pregiudiziale rispetto alla regola di cui all’art. 63 quarto comma.

Tale principio si trova ripetutamente espresso nel corpo motivazionale delle citate Sezioni unite (SU, 38518/2015). Pertanto non può condividersi la decisione (Sez. 4, 45846/2017) la quale ha stabilito che: «In tema di guida in stato di ebbrezza, qualora concorrano le circostanze ad effetto speciale di aver provocato un incidente (art. 186, comma 2-bis, CDS) e di aver commesso il fatto in orario notturno (art. 186, comma 2-sexies, CDS), e il giudice ritenga le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di cui all’art. 186, comma 2-bis, CDS, non deve operarsi l’aumento previsto per la circostanza meno grave di aver commesso il fatto in orario notturno, sottratta al giudizio di bilanciamento in virtù del disposto di cui all’art. 186, comma 2-septies, CDS, atteso che, in caso di concorso di aggravanti ad effetto speciale, ai sensi dell’art. 63, comma 4, cod. pen., deve trovare applicazione la pena stabilita per quella più grave». Si deve cioè ritenere che la regola dell’art. 63 quarto comma debba seguire e non precedere il giudizio di comparazione tra circostanze “bilanciabili”.

A questo punto, all’esito del giudizio di comparazione tra circostanze “bilanciabili”, si prefigurano tre diversi scenari ai quali, ai fini del successivo passaggio rispetto alla circostanza “privilegiata”, si applicherà la regola propria in rapporto al risultato ottenuto: 1) giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti “bilanciabili”: le diminuzioni di pena opereranno sulla quantità di pena risultante dall’aumento previsto ed applicato per l’aggravante “privilegiata”, detta ultima circostanza opera “pienamente”, cioè senza incontrare il limite stabilito dall’art. 63 quarto comma (Sez. 2, 44155/2014); 2) giudizio di equivalenza: si applicherà la pena con l’aumento per l’aggravante “privilegiata”, anche in tal caso non viene in rilievo il disposto dell’art. 63 quarto comma, posto che una eventuale circostanza più grave di quella “privilegiata” non incide di fatto sulla quantificazione della pena siccome “elisa” dalla, o dalle circostanze di segno opposto; 3) prevalenza delle circostanze aggravanti: torneranno applicabili i commi terzo e quarto dell’art. 63, poiché in tal caso risulta, in concreto, la coesistenza di più circostanze aggravanti tutte di fatto incidenti sulla quantificazione della pena.

Nel caso in cui oltre all’aggravante “privilegiata” sussistano altre aggravanti ad effetto speciale opererà la regola del “cumulo giuridico” di cui all’art. 63 quarto comma, all’esito del quale l’aggravante “privilegiata”, se meno grave, potrebbe risultare recessiva e soccombente (riassunzione dovuta a Sez. 5, 47519/2018).

Mentre i meccanismi di aumento della pena previsti nell’art. 99 trovano la loro massima espansione nel momento in cui la recidiva è applicata singolarmente (o in concorso con altre aggravanti non speciali), al contrario, le suddette peculiarità sfumano nel momento in cui l’aggravante speciale della recidiva si trova a concorrere con altra aggravante speciale. In questo caso, se la recidiva è ritenuta, ex art. 63, comma 4, aggravante speciale più grave, si applicano tutte le regole dell’art. 99.

Ma, se la recidiva è ritenuta, fra le due o più aggravanti, quella meno grave, allora perde ogni specificità ed è trattata come una «normale» aggravante speciale secondo lo statuto previsto dall’art. 63, comma 4, che, sul punto, è sicuramente, norma speciale valevole in ogni ipotesi di concorso fra aggravanti speciali.

Ciò comporta che, ove, come nel caso di specie, l’aggravante speciale della recidiva, sia considerata meno grave, il giudice: a) può aumentare la pena determinata sulla base dell’aggravante speciale più grave; b) ove il giudice ritenga di aumentare la pena anche per la recidiva, l’aumento va determinato sulla base del combinato disposto dell’art. 63, comma 4 cod. pen. e art. 64, comma 1 e, quindi, da un minimo di un giorno ad un massimo del terzo della pena base e non secondo gli automatismi disciplinati dall’art. 99. In sintesi, quindi, in tema di concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale, alla recidiva che concorre con altra aggravante speciale e rispetto a questa ritenuta meno grave si applica integralmente la disciplina di cui all’art. 63, comma 4, con la conseguenza che il giudice, quand’anche la recidiva sia di natura obbligatoria e comporti un aumento predeterminato della pena, può procedere all’ulteriore aumento di pena e, ove ritenga di apportarlo, è vincolato al limite di cui al combinato disposto degli artt. 63, comma 4, e 64, comma 1, e cioè «fino ad un terzo della pena prevista per il reato commesso» (Sez. 2, 9365/2015, richiamata da Sez. 6, 13843/2018).

La disposizione di cui all’art. 219 comma 2 n. 1 LF postula l’unificazione quoad poenam di fatti-reato autonomi e non sovrapponibili tra loro, facendo ricorso alla categoria teorica della circostanza aggravante, della quale presenta sicuri indici qualificanti, come il nomen iuris, «circostanze», adottato nella rubrica e la generica formula utilizzata per individuare la variazione di pena in aggravamento («le pene [..] sono aumentate»), che implica il necessario richiamo all’art. 64, unica disposizione che consente di modulare la detta variazione sanzionatoria, aggiungendo, altresì, come sia indubbio che, sul piano formale, si è di fronte a una circostanza aggravante. In definitiva l’art. 219, comma secondo, n. 1, LF, disciplina, nella sostanza, un’ipotesi di concorso di reati autonomi e indipendenti, che il legislatore unifica fittiziamente agli effetti della individuazione del regime sanzionatorio nel cumulo giuridico, facendo ricorso formalmente allo strumento tecnico della circostanza aggravante (SU, 21039/2011).

Va ribadito che, in quanto formalmente circostanza aggravante, alla c.d. continuazione fallimentare debba applicarsi, tra l’altro, anche l’art. 69 e che pertanto, nell’ipotesi in cui vengano contestualmente riconosciute una o più attenuanti, la stessa debba essere posta in comparazione con queste ultime, con la conseguente esclusione della possibilità di irrogare l’aumento di pena previsto dall’art. 219 qualora all’esito del giudizio di bilanciamento la “circostanza” in questione venga ritenuta minusvalente (Sez. 5, 21036/2013, richiamata da Sez. 4, 57428/2018).