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Art. 66 - Limiti degli aumenti di pena nel caso di concorso di più circostanze aggravanti

Se concorrono più circostanze aggravanti, la pena da applicare per effetto degli aumenti non può superare il triplo del massimo stabilito dalla legge per il reato, salvo che si tratti delle circostanze indicate nel secondo capoverso dell’articolo 63, né comunque eccedere:

1) gli anni trenta, se si tratta della reclusione;

2) gli anni cinque, se si tratta dell’arresto;

3) e, rispettivamente, euro 10.329 o euro 2.065, se si tratta della multa o dell’ammenda; ovvero, rispettivamente, euro 30.987 o euro 6.197 se il giudice si avvale della facoltà di aumento indicata nel capoverso dell’articolo 133-bis (1).

(1) L’articolo già parzialmente modificato dall’art. 4, DLGS LGT 5 ottobre 1945, n. 679, e dall’art. 1, L. 12 luglio 1961, n. 603, è stato così sostituito dall’art. 101, L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

Nel caso di riconosciute circostanze aggravanti pertinenti alle plurime violazioni unificate, trova applicazione, ai sensi degli artt. 64 o 66, la sola circostanza o circostanze che si riferiscono al fatto considerato come violazione più grave, mentre delle circostanze riguardanti ciascuno dei reati satellite si deve tener conto esclusivamente ai fini dell’aumento di pena ex art. 81 (Sez. 3, 26340/2014).

I parametri di riferimento per il giudice di merito per la graduazione dell’entità della pena sia quando deve applicarsi una sola circostanza (aggravante od attenuante) che quando trattasi di più circostanze (aggravanti od attenuanti) ed i limiti entro cui operano gli aumenti ovvero le diminuzioni di pena sono previsti dagli artt. 66 e 68. È all’interno, appunto, di questi limiti che si articola il potere discrezionale del giudice nella determinazione dell’entità della variazione (o delle successive variazioni) da apportare alla pena base quando ricorrano una ovvero più circostanze.

Tale potere discrezionale non può essere censurato in sede di legittimità attraverso la mera critica alla valutazione delle prove fatta dai giudici di merito ovvero attraverso una propria interpretazione delle risultanze processuali diversa da quella cui i detti giudici sono pervenuti e sostitutiva di essa (Sez. 1, 112/1990).