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Art. 617-quinquies - Installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche (1)

1. Chiunque, fuori dai casi consentiti dalla legge, installa apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico ovvero intercorrenti tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

2. La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell’articolo 617-quater.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 6, L. 547/1993.

Rassegna di giurisprudenza

Se l’intercettazione del dato informatico avviene, il reato di cui all’art. 617-quinquies  resta assorbito nella frode informatica, trasformandosi tale condotta di pericolo, preparatoria dell’intercettazione, in uno dei modi che realizzano l’alterazione nel funzionamento o comunque l’intervento illecito sul sistema informatico ai sensi dell’art. 640-ter (Sez. 5, 42183/2021).

L’attività di fraudolenta intercettazione di comunicazione informatiche (art. 617-quater) presuppone la previa installazione delle apparecchiature atte a realizzare tale intercettazione (art. 617-quinquies); e se è possibile la installazione senza l’intercettazione, non è possibile che si verifichi l’inverso. Il legislatore, in altri termini, ha certamente voluto reprimere autonomamente anche la “semplice” opera di predisposizione delle apparecchiature atte a intercettare, anticipando la soglia di punibilità (di talché tiene certamente una condotta rilevante anche chi si limiti a installare apparecchiature atte a intercettare, impedire, interrompere comunicazioni telematiche), ma non si può ipotizzare che, in presenza di una effettiva attività di abusiva intercettazione, abbia voluto frazionare la condotta, ancorando la punibilità a due (distinte, ma conseguenti) azioni: la (necessitata) predisposizione e la (conseguente) intercettazione, trattandosi viceversa di un riconoscibile caso di progressione criminosa (Sez. 5, 4059/2016).

Integra il reato di installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire od interrompere comunicazioni informatiche o telematiche la condotta di colui che installi, all’interno del sistema bancomat di un’agenzia di banca, uno scanner per bande magnetiche con batteria autonoma di alimentazione e microchip per la raccolta e la memorizzazione dei dati, al fine di intercettare comunicazioni relative al sistema informatico. Trattandosi di reato di pericolo, non è necessario accertare, ai fini della sua consumazione, che i dati siano effettivamente raccolti e memorizzati (Sez. 5, 36601/2010).

È configurabile il tentativo del delitto di installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire od interrompere comunicazioni informatiche o telematiche (Sez. 2, 40035/2011).

L’utilizzazione di apparecchiature capaci di copiare i codici di accesso degli utenti di un sistema informatico integra la condotta del delitto di cui all’art. 617 quinquies cod. pen., dal momento che la copiatura abusiva dei codici di accesso per la prima comunicazione con il sistema rientra nella nozione di “intercettare” di cui alla norma incriminatrice (Sez. 2, 45207/2007).

Integra il reato di cui all’art. 617-quinquies e non il reato di cui all’art. 615-quater la condotta di chi installa su uno sportello bancomat, in sostituzione del pannello originario, una apparecchiatura composta da una superficie plastificata, con una microtelecamera con funzioni di registratore video per la rilevazione dei codici bancomat, quando non vi sia prova certa dell’avvenuta captazione di almeno un codice identificativo.

L’attività illecita di intercettazione, infatti, nel silenzio dell’art. 617-quinquies, deve ritenersi possa essere consumata con qualunque mezzo ritenuto idoneo a svelare la conoscenza di un sistema informatico quale è da considerarsi la digitazione da parte dell’operatore umano del codice di accesso ad un sistema attraverso una tastiera alfanumerica, digitazione che era destinata ad essere l’oggetto dell’illecita captazione (Tribunale di Milano, ufficio GIP, 19.2.2007).

Il delitto previsto dall’art 617-quinquies prevede al primo comma la pena della reclusione da uno a quattro anni mentre la sua forma aggravata, contemplata al secondo comma  che ora è in rilievo  comporta la pena della reclusione da uno a cinque anni. L’aggravante in parola, pertanto, non ha natura di circostanza ad effetto speciale, essendo così definite dall’art. 63 comma 3 seconda parte, quelle che importano un aumento o una diminuzione di pena superiore ad un terzo della pena comminata per la forma semplice.

Né si tratta  all’evidenza  di una circostanza che determini l’applicazione di una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, poiché si è in presenza, anche nella forma aggravata del reato, sempre della pena della reclusione. La circostanza aggravante in esame rientra nell’ambito delle cosiddette circostanze indipendenti, essendo più volte state così definite quelle che comportano un aggravamento della pena in misura autonoma rispetto alla sanzione della figura base del reato, cioè senza relazione con la comminatoria ivi prevista; tali aggravanti, nel caso in cui non implichino un aumento di pena superiore ad un terzo, ma rimangano al di sotto di questo limite, non rientrano nella categoria delle circostanze ad effetto speciale.

L’aggravante ex art 617-quinquies comma 2, pertanto, non deve essere considerata, in relazione all’art 278 CPP tra quelle che fanno eccezione alla regola generale ivi stabilita dell’irrilevanza delle circostanze aggravanti, che non siano ad effetto speciale. Essa, pertanto, rientra nella predetta regola di carattere generale e non se ne deve tener conto al fine della determinazione della pena per l’applicazione della misura cautelare (Sez. 5, 39489/2018).