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Art. 622 - Rivelazione di segreto professionale

1. Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516 (1).

2. La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società (2).

3. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

(2) Comma aggiunto dall’art. 2, DLGS 61/2002 e poi così modificato dall’art. 15, L. 262/2005.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 622 non sanziona penalmente soltanto la rivelazione dei “segreti” che l’assistito abbia affidato al proprio difensore, ma la rivelazione di qualunque informazione che questi abbia appreso in ragione della propria professione, purché non sussista una giusta causa e ne derivi pericolo di nocumento (Sez. 5, 29495/2018).

La tutela del segreto professionale, sotto il profilo oggettivo dell’archivio informatico, ha ad oggetto l’interesse alla riservatezza di notizie attinenti non ai singoli dati o a loro singole specie, ma ai metodi di progettazione, elaborazione, messa a punto dei dati medesimi, metodi che costituiscono il know how, vale a dire quel patrimonio cognitivo, che è frutto di una particolare tecnologia di lavoro, trasfusa in una particolare metodica informatica.

Oggetto della tutela penale del reato in esame deve ritenersi quindi il segreto professionale in senso lato, da intendersi quell’insieme di conoscenze riservate e di particolari modus operandi in grado di garantire al titolare conoscenza, riproduzione, diffusione dei dati informatici con la maggiore esattezza, con la più celere prontezza, col più alto profitto (Sez. 5, 17756/2015).

Il reato di rivelazione di segreto professionale previsto dall’art. 622 c.p., nel caso in cui la rivelazione del segreto sia compiuta al fine di aiutare taluno ad eludere le investigazioni dell’autorità a suo carico, coesiste con il reato di favoreggiamento personale di cui all’art. 378 - nella specie del concorso formale di reati - data la diversa oggettività dei due reati ed attesa la strumentalità della rivelazione del segreto rispetto al favoreggiamento (Sez. 6, 8635/1997).

L’elemento distintivo significante tra il reato previsto dall’art. 622, rivelazione di segreto professionale, ed il reato di rivelazione di segreti d’ufficio di cui all’art. 326  la cui differenza pure è possibile cogliere in base alla diversità della ratio incriminatrice (tutela della libertà del singolo per l’art. 622 e tutela della pubblica amministrazione per l’art. 326), della qualificazione giuridica (reato, rispettivamente, di danno ovvero di pericolo) e delle condizioni di perseguibilità (a querela ovvero d’ufficio)  è essenzialmente quello del tipo di segreto, di cui è interdetta la divulgazione: il quale, nella ipotesi dell’art. 326, deve riguardare notizie «di ufficio», quelle, cioè, concernenti un atto o un fatto della pubblica amministrazione in senso lato nei diversi aspetti delle funzioni legislativa, giudiziaria o amministrativa stricto iure; mentre, nella ipotesi dell’art. 622 c.p., deve essere riferito a notizie apprese «per ragioni di ufficio» e riflettenti situazioni soggettive di privati e delle quali colui, che di esse è depositario in virtù del suo status professionale in senso lato (ufficio, professione o arte), deve assicurare la riservatezza (Sez. 6, 8635/1997).

Commette il reato di cui all’art. 622, per il quale l’azione costitutiva consiste nel rivelare il segreto o nell’impiegarlo a proprio o altrui profitto, l’impiegato di una società, che trasmetta – nel caso di una gara di appalto – notizie segrete riguardanti la sua azienda a vantaggio della società poi rimasta aggiudicataria dei lavori, formulando o contribuendo a formulare per quest’ultima condizioni più vantaggiose di quelle offerte dalla ditta da cui dipende, agendo con la consapevolezza che la presentazione della nuova offerta, resa possibile dalla conoscenza di quanto offriva la società datrice di lavoro, poteva a quest’ultima recare un danno che effettivamente si realizzò (Sez. 2, 7861/1986).