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Art. 81 - Concorso formale. Reato continuato

1. È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge.

2. Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.

3. Nei casi preveduti da quest’articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti (1).

4. Fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave (2).

(1) Articolo così sostituito dall’art. 8, DL 99/1974. Vedi gli artt. 8 e 53, L. 689/1981.

(2) Comma aggiunto dall’art. 5, L. 251/2005.

Rassegna di giurisprudenza

Concorso formale

…Elementi strutturali

Lo scopo dell’istituto della continuazione (così come quello del concorso formale) è la mitigazione del trattamento sanzionatorio in ragione della ritenuta minore gravità della condotta e dell’elemento volitivo che la sorregge, in quanto l’agente risulta aver superato in un’unica occasione le controspinte (precettive e sanzionatorie) che l’ordinamento predispone a tutela di beni ritenuti meritevoli di protezione da parte del diritto penale. Ma tale mitigazione non può che avere come termine di paragone la pena astrattamente prevista per i singoli reati. Una volta “stabilita”, ai sensi del comma 2 dell’art. 533 CPP, la pena per ciascun reato-satellite, il giudice, considerata la unitarietà del disegno criminoso, procederà ai singoli incrementi sanzionatori (“determinando”, così, la pena, in osservanza delle norme sulla continuazione); come è ovvio, ogni reato-satellite “contribuirà” alla determinazione della “pena finale” in base al concreto valore ponderale che il giudicante intenderà  in concreto  attribuirgli, non potendo, tuttavia, il predetto giudicante trascurare la indicazione che  in astratto  gli ha fornito il legislatore con la apposizione dei termini edittali (SU, 22471/2015).

Con la sentenza 200/2016, nell’ambito del processo Eternit bis, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 CPP, nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato, già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile, e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale. Con la pronuncia in questione, si pone in evidenza che, secondo il “diritto vivente” italiano, la nozione di “medesimo fatto” è posta in correlazione con la nozione di “fatto giuridico”, il che rende compatibile la possibilità di celebrare un nuovo giudizio nei confronti dello stesso imputato, allorché le norme incriminatrici sono diverse e suscettibili di concorso formale. Diversa concezione è stata assunta dalla Consulta, adottando l’interpretazione del concetto del “medesimo fatto”, offerta dalla Corte EDU, con riferimento all’art. 4 Prot. 7 CEDU, occorrendo avere riguardo, in questo caso, al “fatto storico”, ossia ai profili naturalistici e materiali della fattispecie concreta, da determinarsi in relazione al contesto spazio - temporale, senza prendersi in considerazione la qualificazione giuridica, data dall’ordinamento. In tale ottica, precisa la Consulta, il fatto storico va individuato in senso complessivo, in tutti i suoi elementi essenziali, costituiti dalla condotta dell’imputato e dall’evento, incluso il nesso causale intercorrente tra lo specifico comportamento, tenuto dall’imputato, e l’evento naturalistico. Solo la coincidenza di tutti gli elementi, sopra indicati, comporta l’identità del fatto storico, che, secondo l’orientamento comunicato, al quale ha acceduto la Consulta, determina la nuova interpretazione dell’art. 649 CPP, escludendosi, invece, l’ipotesi in cui dalla medesima condotta siano scaturiti eventi diversi, per sé soli implicanti la diversità dei fatti storici, considerati naturalisticamente. La giurisprudenza di legittimità, al riguardo, (Sez. 5, 11049/2018), ha posto in evidenza che l’affrancamento dall’inquadramento giuridico, ha attribuito al principio del ne bis in idem un profilo esclusivamente processuale, precludendo l’esercizio dell’azione penale, con una seconda iniziativa penale, allorché il fatto sia stato già oggetto di una pronuncia di carattere definitivo. A fronte dell’ininfluenza del concorso formale tra i reati, oggetto dei giudizi, l’uno sfociato in una pronuncia definitiva e l’altro tuttora in corso, si distingue il concetto di ne bis in idem processuale, finora descritto come legato al fatto inteso in senso storico - naturalistico, rispetto al concetto di ne bis in idem sostanziale, criterio con riferimento al quale occorre verificare se la disposizione incriminatrice, già applicata nel primo giudizio, esaurisca la qualificazione giuridica del fatto contestato ovvero, in base al principio di specialità (art. 15), consenta l’applicazione delle regole del concorso formale tra i reati (Sez. 5, 50496/2018).

Perché possa essere ritenuta la continuazione, è necessario che i vari reati siano stati programmati sin dall’inizio nelle loro linee essenziali e, a tal fine, l’esistenza di un’ideazione preventiva e unitaria deve essere provata con una serie di elementi dai quali possa desumersi che sin dalla commissione del primo reato esistesse un programma criminoso diretto alla commissione di altri reati. Il giudice di merito deve pertanto procedere ad una rigorosa e approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori del fatto - quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita - che, al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi fossero stati realmente già programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici di cui sopra se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea, di contingenze occasionali, di complicità imprevedibili, ovvero di bisogni e necessità di ordine contingente, o ancora della tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole in virtù di una scelta delinquenziale compatibile con plurime deliberazioni (Sez. 2, 14924/2020).

…Casistica

In tema di resistenza a un pubblico ufficiale, ex art. 337, integra il concorso formale di reati, a norma dell’art. 81, primo comma, la condotta di chi usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio (SU, 40981/2018).

Il reato di malversazione in danno dello Stato (art. 316-bis) concorre con quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis) (SU, 20664/2017).

La detenzione contestuale di due tipologie di sostanza stupefacente c.d. leggera, qualificata come di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, DPR 309/1990 integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro (SU, 51063/2018).

È impossibile configurare il concorso del reato di detenzione di arma clandestina con quello di detenzione illegale della medesima arma, quando sia riscontrabile la sostanziale unità naturalistica del fatto, così potendo ricorrere in tale ipotesi, in forza del principio di specialità, la sola fattispecie di detenzione di arma clandestina (SU, 41588/2017).

Deve ritenersi configurabile il concorso formale tra il delitto di peculato e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione in quanto i due si differenziano per struttura ed offensività (Sez. 6, 14402/2021).

L’art. 122 presuppone che venga commesso un unico reato a danno di più persone, mentre non è applicabile nell’ipotesi in cui una sola azione comporti più lesioni della stessa disposizione penale, ledendo distinti soggetti, in quanto tale situazione integra un concorso formale di reati in danno di più persone, in cui la “reductio ad unum” è preordinata solo ad un più benevolo regime sanzionatorio che non incide sulla autonomia dei singoli reati, di guisa che, in tal caso, la procedibilità di ciascun reato è condizionata alla querela della rispettiva persona offesa (Sez. 5, 44392/2015).

Reato continuato

…Elementi strutturali

In tema di reato continuato, con riferimento all'elemento cronologico, neppure l'inciso «anche in tempi diversi» consente di negare logicamente rilevanza, al fine dell'apprezzamento dell'esistenza di un unico disegno originario, all'aspetto del tempo di commissione dei reati. Sicché, come la vicinanza temporale può apparire sintomo dell'esistenza del medesimo disegno criminoso, pur non costituendo di per sé “indizio necessario” dello stesso, così la notevole distanza di tempo ben può essere, anche se non è inevitabile che lo sia, formidabile indizio negativo, specie se rapportato alla natura istantanea dei reati e alla loro realizzazione secondo modalità che non denotano alcuna forma di preordinazione. (Sostiene la Corte in motivazione che le difficoltà di programmazione e deliberazione a lunga scadenza e le crescenti probabilità di mutamenti che, con il passare del tempo, richiedono una nuova risoluzione antidoverosa, riducono sensibilmente le possibilità di ravvisare la sussistenza della continuazione, da tanto derivando che il dato della distanza cronologica tra i reati del tutto correttamente può essere apprezzato alla stregua di un indice probatorio che, pur non essendo decisivo, può in concreto rappresentare un limite logico alla possibilità di ravvisare la continuazione, tanto maggiore quanto più lontani nel tempo sono i fatti di cui si discute). (Sez. 1, 13668/2022).

In tema di continuazione nel reato, l'identità del disegno criminoso non consiste in una unità dell'elemento volitivo, ma in una unità di ordine intellettivo, per effetto del quale più reati sono riconducibili ad un programma unico, rivolto al raggiungimento di un determinato fine. Pertanto, è sufficiente che i singoli reati siano individuati nelle loro linee essenziali e concepiti anche in termini di eventualità, giacché il momento volitivo si pone, di volta in volta, nella concreta realizzazione di ciascuno di essi (Sez. 3, 27992/2021).

La continuazione, quale istituto di carattere generale, è applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee. Nei casi di reati puniti con pene eterogenee (detentive e pecuniarie) posti in continuazione, l’aumento di pena per il reato satellite va comunque effettuato secondo il criterio della pena unitaria progressiva per moltiplicazione, rispettando tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena previsto per il reato satellite, nel senso che l’aumento della pena detentiva del reato più grave andrà ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’art. 135 (SU, 40983/2018).

Il reato continuato (o, meglio, la continuazione fra i reati), oltre a presupporre  pur nella unicità del complessivo disegno criminoso e proprio quale elemento atto a consentire, sotto il profilo oggettivo, la diagnosi differenziale rispetto alla ipotesi del concorso formale fra reati  la autonomia materiale e cronologica delle singole condotte, nel senso che le stesse debbono essere frutto di comportamenti fra loro non contestuali, richiede, altresì, in considerazione della ratio dell’istituto giuridico in questione, la previsione della ricorrenza di più azioni criminose rispondenti a determinate finalità dell’agente e, in relazione al profilo della volontà, l’esistenza della deliberazione di un programma di massima, implicante, attraverso la commissione di più illeciti penali già tratteggiati almeno nelle loro linee essenziali la previsione del raggiungimento di un predeterminato scopo (SU, 28659/2017).

Ai fini della continuazione, il giudice di merito deve procedere ad una rigorosa, approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori  quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita  del fatto che, al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi fossero stati realmente già programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici di cui sopra se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea, di contingenze occasionali, di complicità imprevedibili, ovvero di bisogni e necessità di ordine contingente, o ancora della tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole in virtù di una scelta delinquenziale compatibile con plurime deliberazioni (SU, 28569/2017).

Se la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza non è condizione necessaria o sufficiente ai fini del riconoscimento della continuazione, di essa costituisce comunque un indice rivelatore, sicché tale stato deve formare oggetto di specifico esame da parte del giudice qualora emerga dagli atti o sia stato altrimenti prospettato (Sez. 5, 18233/2022).

Lo scopo dell’istituto della continuazione (così come quello del concorso formale) è la mitigazione del trattamento sanzionatorio in ragione della ritenuta minore gravità della condotta e dell’elemento volitivo che la sorregge, in quanto l’agente risulta aver superato in un’unica occasione le controspinte (precettive e sanzionatorie) che l’ordinamento predispone a tutela di beni ritenuti meritevoli di protezione da parte del diritto penale. Ma tale mitigazione non può che avere come termine di paragone la pena astrattamente prevista per i singoli reati. Una volta “stabilita”, ai sensi del comma 2 dell’art. 533 CPP, la pena per ciascun reato-satellite, il giudice, considerata la unitarietà del disegno criminoso, procederà ai singoli incrementi sanzionatori (“determinando”, così, la pena, in osservanza delle norme sulla continuazione); come è ovvio, ogni reato-satellite “contribuirà” alla determinazione della “pena finale” in base al concreto valore ponderale che il giudicante intenderà  in concreto  attribuirgli, non potendo, tuttavia, il predetto giudicante trascurare la indicazione che  in astratto  gli ha fornito il legislatore con la apposizione dei termini edittali (SU, 22471/2015).

L’indagine che si impone alla riflessione del giudice chiamato a delibare un istanza di applicazione della disciplina della continuazione deve concentrarsi su tre essenziali problemi: dapprima, verificare la credibilità intrinseca, sotto i profili della logica e della congruità, dell’asserita esistenza di un unico, originario programma delittuoso; indi, analizzare i singoli comportamenti incriminati per individuare le particolari, specifiche finalità che appaiono perseguite dall’agente; infine, verificare se detti comportamenti criminosi, per le loro particolari modalità, per le circostanze in cui si sono manifestati, per lo spirito che li ha informati, per la finalità che li ha contraddistinti, possano considerarsi, valutata anche la natura dei beni aggrediti, come l’esecuzione, diluita nel tempo, del prospettato, originario, unico disegno criminoso (Sez. 1, 749/2019).

In tema di reato continuato l’identità del disegno criminoso non richiede una puntuale determinazione dei singoli illeciti e va piuttosto desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez. 5, 13396/2019).

L’identità del disegno criminoso non può essere confusa con il generico proposito di commettere reati, derivante da una scelta di vita deviante, sussistendo una radicale diversità tra l’identità della spinta criminosa o del movente pratico sotteso alle plurime violazioni di legge e l’unicità del disegno criminoso richiesto per la configurabilità del reato continuato: infatti, perché possa essere ritenuta la continuazione, è necessario che i vari reati siano stati programmati sin dall’inizio nelle loro linee essenziali e, a tal fine, l’esistenza di un’ideazione preventiva e unitaria deve essere provata con una serie di elementi dai quali possa desumersi che sin dalla commissione del primo reato esistesse un programma criminoso diretto alla commissione di altri reati (Sez. 5, 1766/2015).

Per aversi medesimo disegno criminoso deve esistere collegamento (o cd. connessione di natura sostanziale) tra i fatti. Le diverse condotte si devono saldare in un programma unitario e devono aggregarsi in un progetto coeso ab initio, che risulti delineato almeno nei tratti generali. Pur senza addentrarsi in questa sede nella definizione della sua natura, che oscilla tra il carattere intellettivo o psichico e la consistenza obiettiva, è necessario che le singole condotte siano espressione di un piano concepito unitariamente e non risultino frutto di determinazioni estemporanee e finalisticamente slegate. Si comprende, pertanto, come spesso possa risultare difficoltoso accertare se le realizzazioni esteriori siano o meno espressione di un conato unico, giacché obiettivi intimistici dell’agente, non di rado, possono segnare la fase commissiva pur senza lasciare in immediato trasparire con chiarezza dalle condotte stesse l’unità finalistica che indirizza il volere dell’agente. Soprattutto, allorquando il progetto unificante si diluisca nel tempo, può sfumare nella spinta a delinquere la percettibilità della genesi aggregante unitaria e non rivelarsi all’interprete, ex re, il fine ultimo che rende meritevole (e conforme alla ratio dell’istituto) l’applicazione di una sanzione unitaria. Si comprende, allora, come l’essenza del medesimo disegno criminoso possa non emergere nella sua consistenza e possa sfuggire o, egualmente, divenire frutto di valutazioni fallaci, là dove l’interprete si tenga discosto dal ricercare proprio l’anzidetto fine ultimo, cui protende ab initio l’agente. Al contrario e in ragione di quest’obiettivo unificante il legislatore guarda con minore rigore la pluralità delittuosa. Ciò accade perché la spinta a delinquere e l’atteggiamento antidoveroso del volere si indirizzano verso uno scopo prefissato, contenendo la portata lesiva entro margini ben definiti, in un perimetro entro cui la pericolosità sociale dell’autore si autolimita, per effetto della scelta di cedere al delitto, programmando, indubbiamente, una reità plurima, al fine, tuttavia, di conseguire un risultato illecito “unico”. A fronte di ratio siffatta il sistema riconosce un beneficio in punto di trattamento penale. Recupera, dunque, la reiterazione illecita obiettivamente programmata e finalisticamente orientata all’unico risultato, alla regola di favor, scritta nell’art. 81. Contrariamente, l’azione non connotata dai crismi anzidetti risulterebbe suscettibile di essere ripetuta in occasioni indefinite ed a prescindere dal conseguimento di un fine ultimo prefigurato. Ciò, pertanto, spiega la ragione per la quale in casi ben determinati la connessione sostanziale (di tipo cd teleologico, consequenziale o in vincolo di subordinazione tra fatti) che prescinde da un fine unitario possa rilevare come aggravante del singolo reato, legittimandone un aumento di pena (ex art. 61 n. 2) e diversificarsi concettualmente e in punto di trattamento sanzionatorio dalla programmazione illecita che caratterizza la pluralità di fatti presente nel reato continuato. Poste queste premesse l’analisi del requisito del medesimo disegno criminoso deve articolarsi su tre distinti momenti, nella consapevolezza che si tratta di un giudizio che resta, comunque, unitario e che è volto ad accertare il fine ultimo che caratterizza l’agire dell’autore. Quel fine non può essere autonomamente fissato dal giudice ovvero da costui selezionato, tra una serie di possibili ed astratte eventualità prospettate in forma ipotetica dall’istante. Non si ha difficoltà ad intendere come, ammessa soluzione siffatta, si finirebbe per ragionare attraverso mere congetture, staccando la valutazione del fatto dai crismi di certezza che, di converso, devono contraddistinguerlo. Piuttosto, chi invoca la continuazione ha obbligo di indicare esattamente l’obiettivo cui ab origine tendeva l’agire stesso e deve indicare in che termini la pluralità illecita fosse protesa a conseguire l’attuazione di un medesimo disegno criminoso. Ciò vale viepiù là dove si versi al cospetto di fatti decisamente risalenti nel tempo, ipotesi che impone l’indicazione anche dell’eventuale ragione che abbia indotto a temporeggiare sulla presentazione della domanda d’accertamento del vincolo della continuazione (dal cui riconoscimento discenderebbero indiscutibili effetti sostanziali di natura costitutivo-modificativa della pena e dei sui effetti). Il giudice, infatti, in un primo momento deve verificare la “credibilità razionale” dell’obiettivo indicatogli come elemento aggregante la pluralità delle azioni. È un accertamento che, al di là dei criteri formali della razionalità logica, deve confrontarsi con le massime di esperienza e con i singoli elementi che emergono nel dipanarsi concreto dei fatti. In un secondo momento il decidente deve appurare se sul piano oggettivo le condotte ed il fine iniziale e unitario prospettatogli sia in nesso di coerenza con gli scopi segnalati e la tipologia illecita realizzata. L’ultimo aspetto della verifica riguarda l’accertamento sul se, acquisita la credibilità della prospettazione del fine unitario e la oggettiva coerenza dei delitti e delle azioni con il conseguimento di quel fine, i singoli reati si possano realisticamente intendere come posti in essere in diversi momenti storici, così attuando un programma illecito unitario, ma diluito nel tempo. In questa fase dell’indagine non può trascurarsi la presenza di particolari di fatto o di dati storici obiettivamente incompatibili con l’ipotesi del progetto unitario. Si può, pertanto, ribadire il principio secondo cui: “L’indagine che si impone alla riflessione del giudice chiamato a delibare un’istanza di applicazione della disciplina della continuazione deve concentrarsi su tre essenziali problemi: dapprima, verificare la credibilità intrinseca, sotto i profili della logica e della congruità, dell’asserita esistenza di un unico, originario programma delittuoso; indi, analizzare i singoli comportamenti incriminati per individuare le particolari, specifiche finalità che appaiono perseguite dall’agente; infine, verificare se detti comportamenti criminosi, per le loro particolari modalità, per le circostanze in cui si sono manifestati, per lo spirito che li ha informati, per le finalità che li ha contraddistinti, possano considerarsi, valutata anche la natura dei beni aggrediti, come l’esecuzione, diluita nel tempo, del prospettato, originario unico disegno criminoso (Sez. 1, 30702/2018).

In tema di reato continuato, l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro specificità, e la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di regola, da indici esteriori, che nel caso che ci occupa mancano, che siano significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere (Sez. 4, 3456/2019).

…Reato continuato e circostanze

In via generale e salvo a verificarne la congruenza in relazione alla concreta fattispecie, non sussiste, pur dopo la modifica incisiva del reato continuato introdotta dalla novella di cui alla L. 220/1974, un’incompatibilità logico-giuridica tra la continuazione e la circostanza aggravante del nesso teleologico, agendo, la prima, sul piano della riconducibilità di più reati ad un comune programma criminoso ed essendo, la seconda, connotata dall’accertamento della strumentalità di un reato rispetto ad un altro (Sez. 1, 27126/2016).

La compatibilità tra l’istituto della continuazione e la circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 2 rinviene la sua base logico-giuridica nella considerazione che, mentre la continuazione appresta uno strumento equilibratore della pena attraverso la previsione del cumulo giuridico nei termini previsti dall’art. 81 esigendo la verifica della riconducibilità di più reati ad un medesimo programma criminoso, la circostanza aggravante del nesso teleologico è caratterizzata dal legame di strumentalità di un reato rispetto ad un altro ed è dall’ordinamento finalizzata ad aggravare la pena, in quanto la sua sussistenza è dalla legge ritenuta idonea a connotare il reato di più intensa gravità, essendo esso espressione di una maggiore pericolosità del colpevole; sicché il reato aggravato dal nesso teleologico può rientrare, nonostante la differente funzione dei due istituti, nel programma criminoso elaborato da un solo agente o da più concorrenti nel reato. Pertanto, sia quando si verta in tema di nesso teleologico in senso proprio (ossia di commissione del reato per eseguirne un altro), sia (e vieppiù) quando si verta in tema di nesso consequenziale (di ordine paratattico, ossia per assicurare a sé o ad altri il prodotto, il profitto o il prezzo di un altro reato, oppure di ordine ipotattico, ossia per occultare un altro reato o conseguire l’impunità dopo la sua commissione), la distinzione logico-giuridica fra circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 2, e l’istituto della continuazione di cui all’art. 81, secondo comma, resta nitida. È poi, questione di fatto verificare se, nella singola fattispecie, ricorra la sola continuazione, senza l’evenienza dei presupposti per la circostanza aggravante, o viceversa i reati risultino avvinti dal medesimo disegno criminoso, ma nessuno di essi sia aggravato dal nesso teleologico o consequenziale, oppure  come ha stabilito in questo caso il giudice di merito  concorrano la circostanza aggravante e la continuazione (Sez. 1, 16881/2018).

Il limite di aumento di pena non inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave, di cui all’art. 81, quarto comma, nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma, opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti (SU, 31669/2016).

In tema di continuazione, l’aumento minimo di un terzo della pena ex art. 81, comma quarto, nei confronti dei soggetti per i quali sia stata ritenuta la recidiva reiterata, opera anche quando il giudice abbia considerato la stessa equivalente alle riconosciute attenuanti poiché, anche in tal caso, ricorre l’applicazione della recidiva reiterata (Sez. 3, 19496/2016).

Non esiste incompatibilità fra gli istituti della recidiva e della continuazione, sicché, sussistendone le condizioni, vanno applicati entrambi, praticando sul reato base, se del caso, l’aumento di pena per la recidiva e, quindi, quello per la continuazione, che può essere riconosciuta anche fra un reato già oggetto di condanna irrevocabile ed un altro commesso successivamente alla formazione di detto giudica (Sez. 4, 1775/2019).

Il limite di aumento minimo per la continuazione, pari ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, previsto dall’art. 81, comma quarto, si applica nei soli casi in cui l’imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva emessa precedentemente al momento della commissione dei reati per i quali si procede e non anche quando egli sia ritenuto recidivo reiterato in relazione agli stessi reati uniti dal vincolo della continuazione del cui trattamento sanzionatorio si discute (Sez. 4, 1775/2019).

Una volta contestata la recidiva nel reato, anche reiterata, purché non ai sensi dell’art. 99, comma quinto, qualora essa sia stata esclusa dal giudice, non solo non ha luogo l’aggravamento della pena, ma non operano neanche gli ulteriori effetti commisurativi della sanzione costituiti dal divieto del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, di cui all’art. 69, comma quarto, dal limite minimo di aumento della pena per il cumulo formale di cui all’art. 81, comma quarto, dall’inibizione all’accesso al cosiddetto “patteggiamento allargato” e alla relativa riduzione premiale di cui all’art. 444, comma 1-bis, CPP, effetti che si determinano integralmente qualora, invece, la recidiva stessa non sia stata esclusa, per essere stata ritenuta sintomo di maggiore colpevolezza e pericolosità (SU, 35738/2010).

Il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo di quella stabilita per il reato più grave, previsto dall’art. 81, comma quarto, nei confronti dei soggetti ai quali è stata applicata la recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti (SU, 31669/2016).

...Reato continuato e particolare tenuità del fatto

La pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione può risultare ostativa alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis non di per sé, ma soltanto se è ritenuta, in concreto, dal giudice idonea ad integrare una o più delle condizioni previste tassativamente dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell'offesa o per qualificare il comportamento come abituale (SU, udienza del 27.1.2022, informazione provvisoria).

La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis può essere dichiarata anche in presenza di più reati che sono legati dal vincolo della continuazione, purché non espressivi di una tendenza o inclinazione al crimine. Il vincolo della continuazione non si identifica infatti con l’abitualità nel reato e può prescindere dalla medesimezza dell’indole dei reati commessi, che è solo uno dei parametri di riferimento per ricostruire l’unicità del disegno criminoso (ed è l’unico che secondo il disposto di cui all’art. 131-bis, co. 3, è di per sé ostativo all’applicazione di tale causa di non punibilità). Il limite applicativo dell’art. 131-bis opera solo in relazione a reati abituali ovvero espressione di una tendenza o inclinazione al crimine, sia essa giudizialmente accertata che desumibile dagli atti e a reati espressione della stessa indole o che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate. L’istituto della continuazione non può parimenti escludere il riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità perché la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n.4, va valutata e applicata in relazione a ogni singolo reato unificato nel medesimo disegno criminoso, con riguardo al danno patrimoniale cagionato per ogni singolo fatto-reato (Sez. 5, 30434/2020).

…Modalità di calcolo della pena

Quesito posto alle Sezioni unite: "Se, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base per tale reato, debba anche calcolare l'aumento di pena in modo distinto per i singoli reati satellite o possa determinarlo unitariamente per il complesso dei reati satellite" (Sez. 3, 10395/2021). Risposta delle Sezioni unite: Ove riconosca la continuazione tra reati, ai sensi dell’articolo 81, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base per tale reato, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati satellite. Il giudice deve calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati satellite (SU, 47127/2021).

In sede di continuazione, l’aumento di pena per il reato satellite va effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per "moltiplicazione", rispettando tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena prevista per il reato satellite, nel senso che l'aumento della pena detentiva del reato più grave dovrà essere ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell'art. 135 (Sez. 5, 11575/2022).

Nel caso in cui venga applicata ai sensi dell’art. 444 CPP una pena per reati ritenuti in continuazione con quelli oggetto di una separata sentenza, parimenti emessa ex art. 444, deve aversi riguardo per ogni effetto giuridico alla pena complessiva (Sez. 4, 42345/2017).

L’applicazione della continuazione tra reati giudicati con rito ordinario ed altri giudicati con rito abbreviato comporta che soltanto nei confronti di questi ultimi deve operare la riduzione di un terzo della pena a norma dell’art. 442, comma 2, CPP (SU, 35852/2018).

Per i delitti previsti dall’art. 73 DPR 309/1990, l’aumento di pena calcolato a titolo di continuazione per i reati-satellite in relazione alle così dette “droghe leggere” deve essere oggetto di specifica rivalutazione da parte dei giudici del merito, alla luce della più favorevole cornice edittale applicabile per tali violazioni, a seguito della sentenza 32/2014 della Corte costituzionale, che ha dichiarato la incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4-vicies ter della L. 49/2006 e ha determinato, in merito, la reviviscenza della più favorevole disciplina anteriormente vigente (SU, 22471/2015).

…Motivazione dell’aumento di pena per la continuazione

Se l’aumento di pena che è possibile apportare ai sensi dell’art. 81, secondo comma, può astrattamente raggiungere il triplo della pena massima, non è tuttavia sufficiente per la legittimità della decisione determinare la pena nell’ambito quantitativo previsto dalla legge, dovendo il giudice, nella motivazione, dare conto delle valutazioni operate su ogni aspetto dell’esercizio del suo potere discrezionale, ivi compresa la determinazione dell’aumento di pena per la continuazione. Ciò in forza della previsione contenuta nell’art. 533, comma 2, CPP secondo cui “se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso dei reati o sulla continuazione” (Sez. 2, 4406/2019).

Nel caso in cui il giudice abbia congruamente motivato in ordine alla determinazione della pena, facendo riferimento, come nel caso di specie, alla personalità dell’imputato, al predominate ruolo avuto nella vicenda e alla gravità fatti, che impediscono un giudizio di prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, egli non ha l’obbligo di autonoma e specifica motivazione in ordine alla quantificazione dell’aumento per continuazione, posto che i parametri al riguardo sono identici a quelli valevoli per la pena base (Sez. 5, 11945/2000).

In tema di determinazione della pena nel reato continuato, deve ritenersi congruamente motivata la sentenza che faccia riferimento alle modalità dei fatti ed ai precedenti penali specifici degli imputati; non sussiste, invece, l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena a titolo di continuazione, valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (Sez. 2, 49007/2014).

…Reato continuato e giudizio di appello

Viola il divieto di reformatio in peius la decisione del giudice di appello che, in presenza di impugnazione del solo imputato avverso una sentenza di condanna pronunciata per più reati unificati dal vincolo della continuazione, pur dichiarando l’estinzione per prescrizione per taluno di essi, non diminuisce l’entità della pena originariamente inflitta (Sez. 5, 31998/2018), col necessario corollario, quindi, che il risultato di mancata diminuzione della pena originaria non può essere conseguenza dell’aumento di un diverso, perdurante elemento della continuazione, che “si sostituisca”, con aggravata valenza sanzionatoria, a quello eliminato. Invero il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione e, quindi, anche l’aumento conseguente al riconoscimento della continuazione (Sez. 5, 50083/2017) (riassunzione dovuta a Sez. 3, 2851/2019).

Nel giudizio di appello, instaurato a seguito di impugnazione del solo imputato, viola il divieto di reformatio in peius il giudice che, riqualificato in termini di minore gravità il fatto sul quale è commisurata la pena base  a seguito del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche  , pur irrogando una sanzione complessivamente inferiore a quella inflitta in primo grado, applica per i reati satellite  già unificati per continuazione  un aumento di pena maggiore rispetto a quello praticato dal giudice della sentenza riformata, in quanto la struttura del reato continuato non cambia nonostante la mutata qualificazione della violazione più grave (Sez. 2, 34387/2016).

Il giudice di appello che, accogliendo il motivo di gravame proposto dal solo imputato riguardante una regiudicata integrata da più reati unificati dal vincolo della continuazione, apporta, per effetto di una diversa valutazione della gravità del reato base, una riduzione della pena applicata solo per il reato più grave non deve necessariamente rivedere tutte le componenti del calcolo che concorrono a formare la pena (Sez. 3, n. 45027/2015).

…Reato continuato e competenze del giudice dell’esecuzione

In tema di quantificazione della pena a seguito di riconoscimento della continuazione tra diversi reati il giudice deve fornire indicazione e motivazione non solo in ordine alla individuazione della pena base, ma anche in ordine all’entità dell’aumento ex art. 81. Tale opzione ermeneutica è aderente allo statuto del reato continuato secondo cui, nonostante si tratti del frutto di una operazione unitaria, la pena individuata in aumento per ciascun reato satellite deve risultare sempre riconoscibile (a titolo di esempio, il Supremo collegio ha enunciato la rilevanza che assume la pena inflitta per ciascun reato satellite alla verifica dell’osservanza del limite di cui al all’art. 81 comma 3; allo scioglimento del cumulo giuridico per la applicazione degli istituti della prescrizione e dell’indulto; alla scomponibilità della pena ai fini della sostituzione delle pene detentive brevi, ex art. 53, ultimo comma, L. 689/1981; all’estinzione delle misure cautelari personali; alla durata delle misure cautelari) (Sez. 1, 17209/2020).

Il giudice dell’esecuzione pur godendo di piena libertà di giudizio, non può trascurare la valutazione già compiuta in sede cognitoria ai fini della ritenuta sussistenza del vincolo della continuazione tra reati commessi in un lasso di tempo al cui interno si collocano, in tutto o in parte, quelli oggetto della domanda sottoposta al suo esame; di conseguenza, qualora non ritenga di accogliere la domanda, anche solo con riguardo ad alcuni reati maturati in un contesto di prossimità temporale e di medesimezza spaziale, è tenuto a motivare la decisione con la quale si disattende la valutazione del giudice della cognizione in relazione al complessivo quadro delle risultanze fattuali e giuridiche emergenti dai provvedimenti dedotti nel suo procedimento (Sez. 1, 17211/2020).

In tema di esecuzione, grava sul condannato che invochi l’applicazione della disciplina del reato continuato l’onere di allegare elementi specifici e concreti a sostegno, non essendo sufficiente il mero riferimento alla contiguità cronologica degli addebiti ovvero all’identità o analogia dei titoli di reato, in quanto indici sintomatici non di attuazione di un progetto criminoso unitario quanto di una abitualità criminosa e di scelte di vita ispirate alla sistematica e contingente consumazione di illeciti (Sez. 1, 17515/2020).

In tema di applicazione nella fase esecutiva della disciplina del reato continuato, una volta ritenuta, da parte del giudice dell'esecuzione, l'unicità del disegno criminoso tra due fatti oggetto di due diverse sentenze e applicata agli stessi la disciplina del reato continuato, la sospensione condizionale della pena già disposta per uno dei due fatti non è automaticamente revocata, essendo compito del giudice valutare se il beneficio già concesso possa estendersi alla pena complessivamente determinata ovvero se esso debba essere revocato perché venuti meno i presupposti di legge (Sez. 1, 18109/2020).

È configurabile la continuazione fra reato associativo e reati fine a condizione che il giudice verifichi puntualmente che i reati fine siano stati programmati al momento della costituzione dell’associazione di tal che la disciplina di cui all’art. 81 comma 2 non trova applicazione quando si accerti che i reati fine in concreto commessi, pur rientrando nell’ambito delle attività proprie dell’associazione ed essendo finalizzati al rafforzamento di quest’ultima, non erano programmabili ab origine perché legati a circostanze ed eventi contingenti ed occasionali o, comunque, non immaginabili dal reo al momento della costituzione dell’associazione, ovvero, della successiva instaurazione del rapporto associativo fra la persona fisica che i reati fine abbia commesso e la preesistente associazione (Sez. 1, 14881/2020).

Il giudice della esecuzione al quale è demandato il compito di valutare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della continuazione non deve limitarsi a dedurre l’inesistenza del vincolo in forza della distanza temporale e della pluralità degli episodi criminosi; entrambi gli indici non possono essere utilizzati per eludere di per sè, una volta che la richiesta adduca la ricorrenza di plurimi elementi sintomatici. In questo caso si impone l’obbligo di approfondimento delle vicende ricostruite nelle varie sentenze di condanna, anche in vista dell’esame circa la ricorrenza del vincolo soltanto rispetto a taluni degli episodi (Sez. 1, 14162/2020).

Il GE, in caso di riconoscimento della continuazione tra più reati oggetto di distinte sentenze irrevocabili, nel determinare la pena è tenuto anche al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione più grave, oltre che del criterio indicato dall’art. 671, comma 2, CPP rappresentato dalla somma delle pene inflitte con ciascuna decisione irrevocabile (SU, 28659/2017).

Il GE, in sede di applicazione della disciplina del reato continuato, non può quantificare gli aumenti di pena per i reati-satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna (SU, 6296/2017).

Nella determinazione, in sede esecutiva, della pena per la continuazione tra reati separatamente giudicati con sentenze, una ovvero ciascuna delle quali per più violazioni già unificate a norma dell’art. 81, il giudice deve dapprima scorporare tutti i reati che il giudice della cognizione abbia riunito in continuazione, individuare quello più grave e solo successivamente, sulla pena come determinata per quest’ultimo dal detto giudice, operare autonomi aumenti per i reati-satellite, compresi quelli già riuniti in continuazione c.d. interna con il reato posto a base del nuovo computo (Sez. 5, 8436/2014).

Nella sequenza delle operazioni per la determinazione del trattamento sanzionatorio, il GE è vincolato dal giudicato solamente per quanto riguarda la individuazione del reato più grave, la cui sanzione deve prendere in considerazione quale base del procedimento di computo, applicandovi gli aumenti di pena per i reati a esso unificati, senza che analogo vincolo sussista quanto al trattamento sanzionatorio originariamente previsto per tali reati-satellite, potendo egli procedere, nell’ambito di una valutazione dei fatti unificati nella continuazione, alla rideterminazione della pena per gli stessi reati anche in misura superiore alla pena originariamente inflitta per ogni reato, ancorché nei limiti di cui all’art. 671 CPP e previo ragguaglio tra le pene di genere diverso ai sensi dell’art. 135 (SU, 4901/1992).

Ne discende che il GE, nel determinare la pena finale per il reato continuato, incontra il solo limite, stabilito dall’art. 671, comma 2, CPP, del divieto di superamento della somma delle sanzioni inflitte in sede cognitiva con ciascun titolo giudiziale (Sez. 1 25426/2013), pacificamente prevalente sulla regola del non superamento del triplo della pena relativa alla violazione più grave, fissata, per il giudizio di cognizione, dall’art. 81, comma 2.

In ogni caso, il GE deve dare conto dei criteri adottati per la determinazione della pena per l’applicazione della continuazione, in modo da rendere noti all’esterno non solo gli elementi che sono stati oggetto del suo ragionamento, ma anche i canoni adottati, sia pure con le espressioni concise caratteristiche dei provvedimenti esecutivi (Sez. 1, 32870/2013), e, in particolare, nel determinare la pena complessiva, non solo deve individuare il reato più grave, stabilendo la pena base applicabile per tale reato, ma deve anche calcolare l’aumento di pena per la continuazione in modo distinto per i singoli reati-satellite, anziché unitariamente (Sez. 5, 16015/2015).

Sotto concorrente profilo deve rilevarsi che l’art. 671, comma 2-bis, CPP rinvia, estendendone l’applicabilità in sede esecutiva, alle disposizioni di cui all’art. 81, comma 4, alla cui stregua “se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave” (Sez. 1, 29939/2016).

La tesi secondo cui anche in sede di esecuzione dovrebbe porsi a base della pena da determinare ai sensi dell’art. 81 e art. 671 CPP quella da infliggere per il reato edittalmente più grave, è manifestamente infondata. La disciplina applicabile in sede di cognizione è, infatti, espressamente derogata, in relazione all’applicazione della disciplina del concorso formale o della continuazione da parte del giudice dell’esecuzione, dall’art. 187 ATT. CPP che prevede che in tal caso va considerata violazione più grave quella per la quale è stata inflitta la pena più grave, anche quando per taluni reati si è proceduto con giudizio abbreviato (Sez. 1, 50861/2018).

…Casistica

L'intervento di una causa estintiva della pena inflitta per uno dei reati addebitati non fa venir meno l'interesse dell'imputato alla dichiarazione della continuazione tra gli stessi (Sez. 4, 11721/2021).

Non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell'ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, non erano programmabili "ab origine" perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell'associazione (Sez. 6, 4680/2021).

In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti per più reati unificati dalla continuazione, qualora sia sopravvenuta per uno dei reati satellite l’abolitio criminis, la Corte di cassazione deve procedere alla eliminazione della porzione di pena inflitta per il reato abrogato nella misura determinata dall’accordo (Sez. 5, 41676/2016).

Il reato continuato, che è fictio iuris, può essere considerato reato unico ai fini specificamente previsti dalla legge, mentre va considerato come pluralità di reati agli effetti dell’art. 137 e art. 657 CPP, comma 4, secondo cui vanno computate solo custodia cautelare sofferta e pene espiate dopo la commissione del reato. Sicché nell’ipotesi di riconoscimento della continuazione dovrà operarsi la scissione del reato stesso in relazione all’epoca delle singole condotte unificate, ciascuna di esse riacquistando la propria autonomia, ai fini delle detrazioni da operare e della verifica di operatività del beneficio di cui all’art. 78, nell’ambito dei singoli cumuli in relazione alla pena per ciascuna di esse determinata (Sez. 1, 41936/2018).