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Art. 29 - Casi nei quali alla condanna consegue l’interdizione dai pubblici uffici

1. La condanna all’ergastolo e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni importano l’interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici; e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.

2. La dichiarazione di abitualità o di professionalità nel delitto, ovvero di tendenza a delinquere, importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Rassegna di giurisprudenza

In caso di condanna per reato continuato, la pena principale, alla quale si deve far riferimento per determinare la durata della conseguente pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici  che, ai sensi dell’art. 29, è perpetua quando la condanna è per un tempo non inferiore a cinque anni ed è di cinque anni quando la condanna è per un tempo non inferiore a tre anni , non è quella complessiva, comprensiva cioè dell’aumento per la continuazione, ma quella inflitta in concreto per la violazione più grave, tenendo conto della incidenza delle circostanze attenuanti e del bilanciamento eventualmente operato con le circostanze aggravanti, oltre che della diminuente per la scelta del rito speciale, e, quindi, prescindendo dai modi in base ai quali si è pervenuti al risultato finale (Sez. 1, 25476/2017).

In tema di pene accessorie, la previsione di cui all’art. 37 svolge una funzione residuale rispetto all’art. 29 ed è destinata ad operare nei soli casi in cui la durata delle pene accessorie temporanee non è normativamente predeterminata (Sez. 1, 36299/2015).

Ai fini dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, il giudice deve tener conto dell’entità della pena principale irrogata dalla sentenza di condanna, anche all’esito delle eventuali diminuzioni processuali (Sez. 1, 18149/2014).

Ogni qualvolta la misura della sanzione è predeterminata per legge nei presupposti e nella misura, non vi è necessità di motivazione all’atto dell’applicazione (Sez. 3, 1508/1998).

Le pene accessorie conseguono di diritto alla sentenza di condanna come effetti penali della stessa, con la conseguenza che non possono essere mantenute in caso di proscioglimento dell’imputato anche se pronunciato a seguito di estinzione del reato per prescrizione (Sez. 2, 11033/2005).

L’applicazione di una pena accessoria extra o contra legem da parte del giudice della cognizione può essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal GE purché essa sia determinata per legge ovvero determinabile, senza alcuna discrezionalità, nella specie e nella durata, e non derivi da errore valutativo del giudice della cognizione (Sez. 1, 4137/2016).

Il principio di legalità della pena e quello di applicazione, in caso di successione di leggi penali, della legge più favorevole, operano anche con riguardo alle pene accessorie (Sez. 3, 48526/2009).