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Art. 31 - Condanna per delitti commessi con abuso di un pubblico ufficio o di una professione o di un’arte. Interdizione

1. Ogni condanna per delitti commessi con l’abuso dei poteri, o con la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, o ad un pubblico servizio, o a taluno degli uffici indicati nel n. 3 dell’articolo 28, ovvero con l’abuso di una professione, arte, industria, o di un commercio o mestiere, o con la violazione dei doveri a essi inerenti, importa l’interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione, arte, industria o dal commercio o mestiere.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 31 ricollega l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici alla condanna per ogni delitto commesso con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, qualunque sia il bene giuridico che le fattispecie astratte violate siano destinate a proteggere. Ciò facendo, il codice penale equipara ai fini dell’applicazione di questa specifica pena accessoria delitti che, pur non essendo necessariamente posti a tutela del medesimo bene giuridico, producono purtuttavia una lesione all’interesse pubblico al corretto svolgimento delle pubbliche funzioni.

Orbene, laddove tutti i delitti, anche non omogenei, per i quali sia intervenuta condanna, pur se unificati quoad poenam dal vincolo della continuazione, siano stati commessi in violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione, la specifica natura dei fatti unificati comporta necessariamente l’applicazione della pena accessoria per ciascuno di essi, di modo che la durata complessiva va commisurata all’intera pena principale inflitta con la condanna, ivi compreso l’aumento per la continuazione, ferma restando in ogni caso la necessità di rispettare il limite edittale massimo previsto dall’art. 79 (Sez. 6, 40811/2018).

L’art. 31 non limita l’applicazione dell’interdizione dai pubblici uffici ai soli delitti commessi con «abuso di potere», ma vi ricomprende anche quelli posti in essere «con la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, o a un servizio pubblico ovvero «con abuso di una professione o con la violazione dei doveri ad essi inerenti (Sez. 6, 15514/2018).

Quanto alla pena accessoria dell’interdizione dall’esercizio della professione medica, l’applicazione della sanzione, nella sua ordinaria conformazione (ex artt. 30-31), è collegata eziologicamente all’abuso della professione o alla violazione dei doveri ad essa inerenti, con la conseguenza che deve ricorrere un abuso della professione o una violazione dei doveri caratterizzati da una condotta strumentalmente collegata all’attività lavorativa o professionale e qualificata dalla sua connessione con lo statuto peculiare dell’arte o della professione esercitata, oltre che causalmente efficiente sulla correttezza del suo esercizio, in relazione pertanto ad evidenti ragioni di prevenzione speciale (Sez. 3, 3214/2015).

L’interdizione temporanea dai pubblici uffici è applicabile anche se non sia stata contestata la circostanza aggravante dell’abuso di pubblica funzione di cui all’art. 61, n. 9, trattandosi di pena accessoria relativa ope legis a tutti i reati commessi in violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione (Sez. 5, 1450/2011).

La pena accessoria è applicabile in caso di condanna per un reato di falso commesso da un pubblico ufficiale, anche se non sia stata contestata la circostanza aggravante dell’abuso di pubblica funzione di cui all’art. 61, n. 9, trattandosi di pena accessoria relativa "ope legis" a tutti i reati commessi in violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione. Tale principio, in sé e per sé del tutto condivisibile, non implica, però, che l’operatività dell’art. 31 debba essere riconosciuta per il solo fatto che, come si verifica nel caso di specie, il delitto per il quale è stata pronunciata la condanna faccia parte di quelli propri dei pubblici ufficiali.

Se è vero, infatti, che la commissione, da parte di un pubblico ufficiale, di un qualsiasi reato proprio rappresenta, in senso lato, una deviazione dall’osservanza dei doveri d’ufficio, ponendosi in contrasto, prima di tutto, con il disposto di cui all’art. 54, comma 2, della Costituzione (secondo il quale "i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore"), è altrettanto vero che il citato art. 31, nel prevedere, in via generale, come presupposto per l’applicazione della pena accessoria, l’abuso dei poteri o la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o ad un pubblico servizio, adotta una formulazione assolutamente identica a quella dell’aggravante prevista dall’art. 61 n. 9; il che lascia facilmente intendere come il legislatore, non facendo differenza alcuna tra reati comuni e reati propri del pubblico ufficiale, abbia inteso esigere, anche per questi ultimi, un "quid pluris" rispetto alla pura e semplice realizzazione della condotta tipica prevista dalla norma incriminatrice, quale invece si riscontra nella fattispecie in esame (Sez. 5, 31818/2014).

L’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, disposta dal giudice d’appello per sopperire a un’omissione per distrazione del tribunale, non costituisce violazione del divieto di reformatio in peius, qualora, attesi i caratteri del reato attribuito all’imputato, sia prevista espressamente dall’art. 31 come un portato necessario della condanna per quel reato (Sez. 7, 23423/2016).

Sebbene l’art. 317-bis, modificato dalla L. 190/2012, non preveda tra i reati che comportano l’interdizione dai pubblici uffici l’induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all’art. 319-quater, tuttavia deve ritenersi che a tale reato consegua comunque detta pena accessoria, trattandosi di reato commesso con abuso di poteri (SU, 12228/2013).

Il principio di legalità della pena e quello di applicazione, in caso di successione di leggi penali, della legge più favorevole, operano anche con riguardo alle pene accessorie (Sez. 3, 48526/2009).