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Art. 495 - Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri

1. Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.

2. La reclusione non è inferiore a due anni:

1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile;

2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all’autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome (1).

(1) Articolo prima modificato dall’art. 10, DL 144/2005, convertito, con modificazioni, con L. 31 155/2005 - come modificato dall’art. 1-ter, DL 272/2005, convertito, con modificazioni, con L. 49/2006 - e poi così sostituito dalla lettera b-ter) del comma 1 dell’art. 1, DL 92/2008, convertito in legge, con modificazioni, con L. 125/2008.

Rassegna di giurisprudenza

La falsa attestazione del luogo e della data di nascita, resa dal soggetto agente mediante esibizione del documento alterato, integra la nozione di “altra qualità della propria o altrui persona”, di cui all’art. 495 in quanto trattasi di dati che concorrono  all’evidenza  ad individuare il soggetto e a consentire la sua identificazione (Sez. 5, 9195/2016) e si consuma nel momento in cui la dichiarazione perviene al pubblico ufficiale, indipendentemente dalla sua riproduzione in un atto pubblico (Sez. 5, 13666/2019).

L’esibizione ad un notaio di una carta d’identità contraffatta costituisce falsa attestazione circa la propria identità, integrando la condotta punita dall’art. 495 (Sez. 5, 40103/2018).

La funzione di asseverazione delle qualità personali al pubblico ufficiale e la trasfusione delle medesime negli atti pubblici rogati integrano la falsa attestazione, che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui all’art. 495, nel testo modificato dalla L. 125/2008, rispetto all’ipotesi di cui all’art. 496 (Sez. 5, 5622/2015).

Poiché il delitto di sostituzione di persona ex art. 494 ha carattere sussidiario, allorquando l’induzione in errore, al fine di vantaggio o di danno, è commessa mediante l’attribuzione di falsi dati identificativi in una dichiarazione resa ad un pubblico ufficiale in un atto pubblico, è configurabile soltanto il più grave reato previsto dall’art. 495, restando assorbito quello sussidiario di sostituzione di persona (Sez. 5, 45527/2016).

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 495 (falsa attestazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri), la presentazione del passaporto all’autorità preposta al controllo equivale a declinare le proprie generalità in conformità alle indicazioni contenute nei predetti documenti di identificazione. (Sez. 5, 22585/2012).

Integra il reato di cui all’art. 495 la condotta di colui che, privo di documenti di identificazione, fornisca ai carabinieri, nel corso di un controllo stradale, false dichiarazioni sulla propria identità, considerato che dette dichiarazioni  in assenza di altri mezzi di identificazione  rivestono carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali, e, quindi, ove mendaci, ad integrare la falsa attestazione che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui all’art. 495, nel testo modificato dalla L. 125/2008, rispetto all’ipotesi di reato di cui all’art. 496 (Sez. 5, 7286/2015).

Il reato di false dichiarazioni ad un pubblico ufficiale, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 125/2008, si distingue da quello di false dichiarazioni sulla propria identità poiché il disvalore è incentrato sulla condotta di “attestazione falsa”, sicché, nonostante l’eliminazione del riferimento all’atto pubblico, esso incrimina tuttora il soggetto che renda false dichiarazioni “attestanti”, ovvero tese a garantire, il proprio stato od altre qualità della propria od altrui persona, destinate ad essere riprodotte in un atto fidefaciente idoneo a documentarle (Sez. 4, 19963/2009). Tuttora, quindi, nonostante l’eliminazione dell’espresso riferimento all’atto pubblico, qualora il soggetto renda false dichiarazioni “attestanti” (e cioè tese a garantire) il proprio stato o altre qualità della propria o altrui persona che, in quanto tali, siano destinate ad essere riprodotte in un atto fidefaciente idoneo a documentarle, deve continuare a trovare applicazione la norma incriminatrice di cui all’art. 495 (Sez. 5, 48904/2018).

La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di delineare i profili distintivi del reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483) rispetto al reato di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o sulle qualità personali (art. 495): se la condotta consistente nella attestazione ideologicamente falsa resa al pubblico ufficiale dal privato in un atto pubblico è comune ad entrambe le fattispecie incriminatrici, tuttavia quando ha ad oggetto le “qualità personali” del dichiarante, ricade certamente nella seconda ipotesi che è incentrata su tale specifico oggetto della falsa attestazione, ossia nel reato di cui all’art. 495 cod. 2: fattispecie incriminatrice, quest’ultima, nella quale deve essere sussunta la falsa attestazione inerente ad una qualità personale del dichiarante (ossia, come nel caso di specie, l’identità della sposa), con esclusione, quindi, tanto del reato di cui all’art. 483 (poiché la falsa attestazione non ha per oggetto “fatti”), quanto di quello di cui all’art. 496, configurabile solo in via residuale quando la falsità non abbia alcuna attinenza, né diretta né indiretta, con la formazione di un atto pubblico, inteso in senso lato.

Conclusione che deve essere ribadita anche con riguardo alla formulazione dell’art. 495 derivante dalla modifiche introdotte dal DL 92/2008 convertito con la L. 125/2008, risultando integrato detto reato in relazione ad attestazioni preordinate a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali, e, quindi, ove false, ad integrare la falsa attestazione che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui all’art. 495, nel testo appunto novellato, rispetto all’ipotesi di reato di cui all’art. 496 (Sez. 5, 4054/2019).

La dichiarazione del privato concernente identità o qualità personali svolge rispetto al provvedimento amministrativo cui la stessa tende, e dalla collocazione strutturale, all’interno del procedimento amministrativo, che la medesima assume. II reato di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri previsto dall’art. 495 richiede, difatti, che la mendace dichiarazione resa dal privato sia recepita in un provvedimento amministrativo che fonda sull’esistenza dei requisiti attestati, mentre il reato di cui all’art. 496 sanziona l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà dichiarativa su qualità personali imposta dalla legge ed a cui l’ordinamento riconduce ex se la produzione di effetti giuridici nella sfera del dichiarante.

Nella delineata prospettiva, ed al fine di individuare la disposizione incriminatrice applicabile a fronte della medesima condotta dichiarativa, risolvendo il concorso apparente di norme che ne deriva attraverso la individuazione degli elementi specializzanti contenuti nella norma extrapenale integratrice del precetto (SU, 41588/2017), necessario si appalesa lo scrutinio circa la destinazione funzionale delle dichiarazioni di cui si contesta la veridicità, collocandone la portata nell’ambito del procedimento amministrativo di riferimento. In siffatto contesto, e con riferimento alla fattispecie in esame, rileva la natura giuridica della dichiarazione concernente qualità personali proprie ai fini della voltura di licenza di somministrazione di bevande. II subingresso in tale tipo d’attività commerciale rientra tra i temi affrontati dal DLGS 59/2010, adottato in attuazione della direttiva comunitaria 2006/123, relativa ai servizi nel mercato interno.

L’art. 64 del citato DLGS, ulteriormente ridefinito dal DLGS 147/2012, prevede che «il trasferimento della gestione o della titolarità degli esercizi [...] in ogni caso sono soggetti a segnalazione certificata di inizio di attività da presentare allo sportello unico per le attività produttive del comune competente per territorio ai sensi dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni».

Ed i predetti principi dispiegano effetto anche sulla normativa regionale, dovendosi interpretare le diverse locuzioni previste in alcune leggi regionali in materia di subingresso quali “segnalazioni” ai sensi dell’articolo 19 della L. 241/90, come modificato. In linea generale, la SCIA – Segnalazione certificata di inizio attività – è la dichiarazione che consente alle imprese di iniziare, modificare o cessare un’attività produttiva (artigianale, commerciale, industriale), senza dover attendere i tempi e l’esecuzione di verifiche e controlli preliminari da parte degli enti competenti, sostituendo autorizzazioni, licenze o domande di iscrizione non sottoposte a valutazioni discrezionali o al rispetto di norme di programmazione e pianificazione, così come di vincoli ambientali, paesaggistici, culturali, etc..

In presenza dei necessari presupposti, all’interessato è sufficiente presentare la SCIA, correttamente compilata e completa in ogni sua parte, per avviare l’attività. Per consentire lo svolgimento dei controlli successivi da parte degli uffici ed organi di controllo preposti, la segnalazione deve essere corredata delle prescritte autocertificazioni circa il possesso dei requisiti soggettivi (morali e professionali, quando richiesti per lo svolgimento di determinate attività) e oggettivi, unitamente, ove richiesto, all’allegazione di elaborati tecnici e planimetrici.

Sotto il profilo formale, la compilazione dei campi e l’aggiunta degli allegati occorrenti devono fornire le informazioni e gli elementi necessari a descrivere compiutamente l’attività affinché l’amministrazione destinataria possa svolgere, nei sessanta giorni successivi, accertamenti riguardo il possesso e la veridicità dei requisiti dichiarati, adottando, in caso negativo, i necessari provvedimenti per richiedere la conformazione dell’attività ovvero, qualora ciò non sia possibile, vietare la prosecuzione dell’attività e sanzionare, se necessario, l’imprenditore che si fosse reso responsabile di dichiarazioni mendaci.

I DLGS 126, 127 e 222 del 2016, adottati in attuazione della L. 125/2015 nell’ambito della riforma della Pubblica Amministrazione, ispirata alla semplificazione dei rapporti tra cittadini ed istituzioni ed alla digitalizzazione dell’attività amministrativa, hanno ulteriormente definito la materia, rendendo il regime della SCIA quello più frequentemente applicato ai procedimenti amministrativi, conformandone la struttura alla diversa tipologia di interessi perseguiti.

Dalla sommaria ricostruzione che precede, risulta che la dichiarazione in esame, allegata alla SCIA e contenente mendaci dichiarazioni riguardo i requisiti morali richiesti per il subingresso nella licenza, costituisce mero atto comunicativo reso nell’ambito della SCIA, autosufficiente ai fini della legittimazione all’esercizio dell’attività che può, solo successivamente, essere vietata, all’esito del negativo riscontro dei requisiti da parte dell’ente pubblico.

Di guisa che trattasi di atto comunicativo non destinato ad incidere, direttamente o indirettamente, sulla formazione di un atto pubblico che, invece, sostituisce. Ne consegue che integra il reato di cui all’art. 496 (false dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie o di altri) – e non quello di cui all’art. 495 (falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri) – la condotta di colui che dichiari falsamente, in sede di SCIA, di possedere i prescritti requisiti morali, in quanto, in tal caso, la dichiarazione del privato costituisce ex se condizione di legittimazione all’esercizio dell’attività e non è destinata ad incidere, direttamente o indirettamente, anche sulla formazione di un atto pubblico (Sez. 5, 26575/2018).