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Art. 497-ter - Possesso di segni distintivi contraffatti (1)

1. Le pene di cui all’articolo 497-bis si applicano anche, rispettivamente:

1) a chiunque illecitamente detiene segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso ai Corpi di polizia, ovvero oggetti o documenti che ne simulano la funzione;

2) a chiunque illecitamente fabbrica o comunque forma gli oggetti e i documenti indicati nel numero precedente, ovvero illecitamente ne fa uso.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 10-bis, DL 144/2005, convertito, con modificazioni, con L. 155/2005, inserito dall’art. 1-ter, DL 272/2005 convertito, con modificazioni, con L. 49/2006.

Rassegna di giurisprudenza

Integra il delitto di cui all’art. 497-ter, comma primo, seconda parte, (possesso di segni distintivi contraffatti), la detenzione di un contrassegno riferibile alla Guardia di finanza, ancorché da questa non in uso, considerato che detta disposizione sanziona la detenzione di segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione che, pur senza riprodurre fedelmente gli originali, ne simulino la funzione, siano cioè idonei a trarre agevolmente in inganno i cittadini sulle qualità personali di colui che ne fa uso e sul potere connesso all’uso del segno stesso (Sez. 5, 3556/2015).

Con riguardo ai segni distintivi la punibilità è esclusa solo nel caso di grossolana falsificazione, immediatamente riconoscibile da chiunque (Sez. 5, 3556/2015).

L’art. 497-ter prevede due autonomi reati, diversamente sanzionati: al n. 1), l’illecita detenzione di segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso ai Corpi di polizia, ovvero di oggetti o documenti che ne simulino la funzione (pena della reclusione da due a cinque anni); al n. 2), e alternativamente, l’illecita fabbricazione o formazione degli oggetti e documenti predetti, ovvero l’illecito uso di tali cose (pena della reclusione da due a cinque anni aumentata da un terzo alla metà), condotte distinte e diverse da quelle previste dal n. 1) e che, in quanto non comprensive degli elementi costitutivi del reato previsto al n. 1) e di un quid pluris, non possono configurarsi come ipotesi aggravate di quest’ultimo reato (Sez. 5, 26537/2014).

La norma di cui all’articolo 497-ter è stata introdotta dalla L. 49/2006. L’art. 1-ter è intervenuto a modificare, mediante previsione aggiuntiva, l’art. 10-bis del DL 144/2005, convertito in L. 55/2005, ossia il decreto contenente norme urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, ed ha inteso punire la detenzione, la fabbricazione e l’uso di segni distintivi dei corpi di Polizia, sul presupposto della potenziale strumentalità di tale condotta rispetto alla consumazione di delitti terroristici.

La previsione del comma 1, n. 1) si riferisce, come si desume anche dalla rubrica dell’articolo di legge, sia alla detenzione di segni contraffatti o comunque non autentici (posto che la contraffazione, in sé, è condotta rientrante in quelle espressamente descritte nell’ipotesi numero 2, prevista dall’articolo citato), sia alla detenzione illecita di segni distintivi di diversa origine illegale (ad esempio furto). D’altra parte, la condotta integrata dalla “detenzione” di segni o contrassegni contraffatti, in uso a corpi di Polizia, prevista nella prima parte del n. 1, è disciplinata unitamente a quella, contenuta nella seconda parte del n. 1 dello stesso articolo 497-ter. della detenzione di “oggetti o documenti che ne simulano la funzione” cioè di oggetti idonei a trarre in inganno sulla funzione tipica del segno imitato.

Tale dizione è in grado di ricomprendere l’ipotesi di documenti che, ancorché non realmente in uso ai corpi di Polizia, siano comunque in grado di indurre in errore in ordine allo svolgimento della funzione, siano cioè idonei a trarre agevolmente in inganno i cittadini sulle qualità personali di chi li dovesse, illecitamente, usare e sul potere connesso all’uso del segno.

Quello che rileva ai fini penali è, quindi, l’attitudine della copia fotostatica a sorprendere la fede pubblica in quanto intesa a rappresentare falsamente un inesistente originale. Il che peraltro costituisce il criterio ispiratore anche della giurisprudenza di legittimità laddove, stabilendo una deroga al principio per il quale la copia fotostatica è di per sé inidonea a ledere il bene tutelato, afferma che, invece, sussiste il reato di falso, nelle sue varie prospettazioni, quando la falsa copia sia presentata con l’apparenza di un documento originale (Sez. 5, 8870/2015). Nessun rilievo può essere poi riconosciuto alla mancata utilizzazione del falso documento, posto che la norma punisce la mera detenzione (Sez. 5, 13810/2017).