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Art. 15 - Materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale

1. Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito.

Rassegna di giurisprudenza

Elementi strutturali

Ai sensi dell’art. 15, ove due fattispecie penali disciplinano la stessa materia si applica solo la norma speciale. Quanto alla nozione di "specialità", è stato chiarito che è speciale la norma che presenta tutti gli elementi di un’altra, ritenuta dunque generale, e uno o più elementi ulteriori, qualificati quindi come "specializzanti". Questi elementi ulteriori possono specificare un elemento della norma generale (specialità per specificazione) ovvero aggiungere un ulteriore elemento (specialità per aggiunta). Si qualifica, poi, come specialità reciproca il rapporto fra due norme che presentano, accanto elementi comuni, altri elementi che risultano essere specifici o generici rispetto ai corrispondenti elementi dell’altra. Il concorso di norme può aversi sia tra fattispecie incriminatrici sia tra fattispecie che descrivono elementi eventuali (aggravanti o attenuanti) del reato.

La legislazione penale, inoltre, presenta numerose ipotesi in cui è la stessa norma incriminatrice che stabilisce il criterio da applicare in caso di concorso di altra norma: sono le così dette clausole di riserva, presenti in numerose norme del codice penale. In alcuni casi le clausole di riserva esprimono criteri diversi da quello del principio di specialità, tanto che la dottrina si interroga sul fatto se da dette clausole di riserva è possibile desumere ulteriori principi, diversi da quello di specialità, idonei a risolvere i casi di concorso di norme.

La giurisprudenza è consolidata nel senso che unico principio generale da applicare per risolvere i casi di concorso di norme è il principio di specialità di cui all’art. 15, che può e deve essere derogato solo in presenza di una espressa clausola di riserva; diversamente, in assenza di clausola di riserva e non ricorrendo il rapporto di specialità tra norme, il concorso di norme determina il concorso di reati (SU, 20664/2017: "Nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialità previsto dall’art. 15, che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l’implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore") (Sez. 1, 56411/2018).

L’attuale orientamento ricorda che il principio di specialità definito dall’art. 15 consente alla legge speciale di derogare a quella generale, nel caso in cui le diverse disposizioni penali regolino la «stessa materia»; è norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicché l’ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell’ambito operativo della norma generale. Tale criterio deve intendersi e applicarsi in senso meramente logico-formale, verificando la sussistenza del presupposto della convergenza di norme, solo in presenza di un rapporto di continenza tra fattispecie, attraverso il confronto strutturale tra le norme incriminatrici astrattamente configurate, mediante la comparazione dei rispettivi elementi costitutivi, operazione questa in cui il riferimento all’interesse tutelato non assume immediata rilevanza.

L’identità di materia è sempre ravvisabile nel caso di specialità unilaterale per specificazione, nel caso di specialità reciproca per specificazione, ovvero di specialità unilaterale per aggiunta; è, invece, da escludere nella specialità reciproca bilaterale per aggiunta, ove ciascuna delle fattispecie presenta, rispetto all’altra, un elemento aggiuntivo eterogeneo. Occorre inoltre tener presente il recente intervento della Corte costituzionale (sentenza 200/2016), pur dettato con riferimento al diverso tema di comparazione tra fatto già giudicato definitivamente e fatto oggetto di una nuova azione penale nei confronti del medesimo soggetto, ai fini del divieto di cui all’art. 649 CPP; le argomentazioni espresse dalla Corte costituzionale, nel delineare la nozione di idem factum, si collocano nell’alveo del predetto orientamento espresso dalle Sezioni Unite, in base al quale il riferimento all’interesse tutelato dalle norme incriminatrici da porre in comparazione non ha immediata rilevanza ai fini dell’applicazione del principio di specialità.

La concezione naturalistica del fatto di reato, così sviluppata dalla Corte costituzionale, in riferimento all’ambito di operatività dell’art. 649 CPP (e quindi del «ne bis in idem» processuale), ha enunciato principi di garanzia validi anche in tema di valutazione sulla identità del fatto oggetto delle diverse norme incriminatrici poste a raffronto (e quindi del «ne bis in idem» sostanziale). Il giudizio sull’identità del fatto di reato, liberato dal nesso all’inquadramento giuridico delle fattispecie, deve avere riguardo all’accadimento storicamente verificatosi, tenuto anche conto dell’oggetto fisico su cui è caduta l’azione umana (Sez.5, 44165/2018).

La materia del concorso tra norme penali è disciplinata dall’art. 15 (principio di specialità), secondo il quale, nei casi in cui la "stessa materia" risulti regolata da più leggi penali o più disposizioni della medesima legge, la legge o la disposizione di legge speciale deroga a quella generale, salvo che sia altrimenti stabilito. Trattasi, indubbiamente, di una definizione assai generica: la norma non chiarisce se la specialità debba intendersi in concreto (applicando il trattamento più grave) o in astratto, anche se dottrina e giurisprudenza propendono per questa seconda ipotesi perché, si è osservato, non ha fare dipendere da un fatto concreto l’instaurarsi di un rapporto di genere a specie tra norme.

La specialità o esiste già in astratto o non esiste neppure in concreto. Inoltre, l’art. 15 utilizza l’espressione "stessa materia" per indicare i casi di concorso apparente di norme, in cui dovrà farsi ricorso al principio di specialità. Tuttavia, il legislatore non ha precisato che cosa si intenda con tale locuzione. Secondo una parte della dottrina essa va interpretata nel senso di stesso fatto "materiale", anche se alcuni autori hanno evidenziato come esistano ipotesi certamente riconducibili al concorso di reati in cui il fatto è unico (per es. violenza sessuale e incesto). Secondo una diversa interpretazione, con la predetta espressione si fa riferimento alle ipotesi di identità del bene protetto.

Tuttavia, a quest’ultima ricostruzione è stato obiettato che, in tal modo, si finirebbe per affermare la possibilità di concorso di reati anche nel caso di specialità unilaterale (per esempio, tra sequestro di persona e sequestro di persona a scopo di estorsione, atteso che il bene giuridico tutelato da questa seconda fattispecie è costituito, oltre che dalla persona, anche dal patrimonio; e così variano i beni protetti nel caso di ingiuria e oltraggio a magistrato in udienza e in quello di violenza privata e violenza a pubblico ufficiale; tutti casi per i quali non sono mai sorti dubbi sulla natura apparente del concorso).

Ne consegue, quindi, che l’espressione in parola deve riferirsi alla stessa fattispecie astratta, lo stesso fatto tipico di reato nel quale si realizza l’ipotesi di reato. In tal senso si sono pronunziate le Sezioni unite, precisando che «il riferimento all’interesse tutelato dalle norme incriminatrici non ha immediata rilevanza ai fini dell’applicazione del principio di specialità, perché si può avere identità di interesse tutelato tra fattispecie del tutto diverse, come il furto e la truffa, offensive entrambe del patrimonio, e diversità di interesse tutelato tra fattispecie in evidente rapporto di specialità, come l’ingiuria, offensiva dell’onore, e l’oltraggio a magistrato in udienza, offensivo del prestigio dell’amministrazione della giustizia» (SU, 41588/2017; SU, 16568/2007; SU, 1963/2010). Per quanto riguarda, invece, l’individuazione della norma speciale, va detto che essa risulta piuttosto agevole con riferimento ai casi di specialità c.d. unilaterale (caratterizzati dalla circostanza che tutti gli elementi della fattispecie c.d. generale siano ricompresi in quella c.d. speciale che ne prevede di ulteriori).

Laddove tra le norme risulti individuabile tale rapporto, si versa in una ipotesi di "concorso apparente", per cui, ai sensi dell’art. 15, trova applicazione unicamente la fattispecie speciale. Tuttavia, perché tale norma possa trovare applicazione è necessario che i reati abbiano la stessa obiettività giuridica, nel senso che deve trattarsi di reati che devono disciplinare la medesima materia ed avere identità di struttura. In altri termini, «il presupposto della convergenza di norme, necessario perché risulti applicabile la regola sulla individuazione della disposizione prevalente posta dall’art. 15, risulta integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra fattispecie, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le norme incriminatrici astrattamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie di reato» (SU, 41588/2017).

Nel caso di specialità c.d. bilaterale o reciproca (in cui entrambe le norme presentano l’una elementi di specialità rispetto all’altra), invece, il problema è di meno agevole soluzione. Giurisprudenza e dottrina hanno, quindi, individuato una serie di "indici rivelatori": i diversi corpi normativi in cui le norme sono ricomprese; specialità tra soggetti; la fattispecie dotata del maggior numero di elementi specializzanti.

Ad ogni modo, nei casi di specialità reciproca spesso è lo stesso legislatore ad individuare la norma prevalente; ciò con una clausola di riserva che può essere: determinata (al di fuori delle ipotesi previste dall’art.); relativamente determinata (si individua una categoria: per es., se il fatto non costituisce un più grave reato); indeterminata (quando il rinvio è del tipo se il fatto non è previsto come reato da altra disposizione di legge). Alla luce dei principi quivi esposti, la Corte regolatrice, nella sua massima espressione, ha rilevato che l’identità di materia si ha sempre nel caso di specialità unilaterale per specificazione, perché l’ipotesi speciale è ricompresa in quella generale; e, parimenti, nel caso di specialità reciproca per specificazione, come nel rapporto tra gli artt. 581 (percosse) e 572 (maltrattamenti in famiglia), ovvero di specialità unilaterale per aggiunta, per es. tra le fattispecie di cui agli artt. 605 (sequestro di persona) e 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione).

L’identità di materia è, invece, da escludere nella specialità reciproca bilaterale per aggiunta, ove ciascuna delle fattispecie presenta, rispetto all’altra, un elemento aggiuntivo eterogeneo, come nel rapporto tra violenza sessuale e incesto: violenza e minaccia nel primo caso, rapporto di parentela o affinità nel secondo. Il concorso apparente di norme tra fattispecie penali e violazioni amministrative (e quello tra norme che prevedono violazioni amministrative) è, invece, disciplinato dall’art. 9 L. 689/1989, in base al quale se uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa si applica la disposizione speciale.

Tale previsione risulta particolarmente innovativa, atteso che il principio in precedenza generalmente accolto era quello del normale concorso tra sanzione penale e violazione amministrativa. Per quanto riguarda, invece, le differenze intercorrenti tra tale previsione e l’omologa disciplina di cui all’art. 15, va detto, innanzitutto, che la prima non prevede la c.d. "clausola di riserva". Tuttavia, la diversa formulazione non preclude al legislatore di prevedere espressamente la clausola nelle singole disposizioni che prevedono violazioni amministrative (così, per esempio, l’art. 214, comma 8, CDS). Una seconda peculiare differenza consiste nell’impiego dell’espressione "stesso fatto", in luogo di quella di "stessa materia" di cui all’art. 15.

Tale locuzione, tuttavia, non può essere interpretata nel senso che con essa il legislatore abbia inteso riferirsi alla specialità in concreto, dovendosi al contrario ritenere che il richiamo sia fatto alla fattispecie tipica prevista dalle norme che vengono in considerazione; così da evitare quella genericità che caratterizza la disposizione del codice penale, in cui si fa riferimento alla materia.

Tale interpretazione, del resto, trova conferma nel tenore dello stesso art. 9 che, facendo riferimento al "fatto punito", si riferisce, evidentemente, a quello astrattamente previsto come illecito dalla norma, e non certo al fatto per come concretamente realizzatosi. Tale orientamento, infine, è stato condiviso anche dalla Corte costituzionale che – pronunziando sul tema del concorso tra fattispecie di reato e violazione di natura amministrativa e con riferimento alla disciplina prevista dall’art. 9, comma primo legge n. 689 del 1981 – ha precisato che per risolvere il problema del concorso apparente «vanno confrontate le astratte, tipiche fattispecie che, almeno a prima vista, sembrano convergere su di un fatto naturalisticamente inteso» (Corte costituzionale, sentenza 97/1987).

A ben vedere, la definizione del rapporto strutturale tra fattispecie incriminatrici (e tra fattispecie penale e illecito amministrativo) secondo il principio di specialità, rileva anche con riferimento alla dimensione dinamica del fenomeno - derivante dalla instaurazione di un secondo giudizio, per lo stesso fatto e a carico del medesimo imputato -, ossia alla tematica del divieto di bis in idem.

Soltanto «qualora il giudice abbia escluso che tra le norme viga un rapporto di specialità (artt. 15 e 84), ovvero che esse si pongano in concorso apparente, in quanto un reato assorbe interamente il disvalore dell’altro, è incontestato che si debbano attribuire all’imputato tutti gli illeciti che sono stati consumati attraverso un’unica condotta commissiva o omissiva, per quanto il fatto sia il medesimo sul piano storico-naturalistico» (Corte costituzionale, sentenza 200/2016). Sul tema del divieto di un secondo giudizio si è, a più riprese, pronunciata anche la giurisprudenza europea, i cui arresti hanno enucleato alcuni rilevanti principi in materia. Secondo l’orientamento espresso dalla Corte EDU (si veda in particolare la sentenza Grande Stevens c. Italia del 4 marzo 2014), il principio del "ne bis in idem" impone una valutazione ancorata ai fatti e non alla qualificazione giuridica degli stessi, dal momento che quest’ultima è da ritenersi troppo restrittiva in vista della tutela dei diritti della persona.

Si è affermato, quindi, che la nozione di "condotta" si traduce nell’insieme delle circostanze fattuali concrete, collocate nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata ai fini della condanna. Negli stessi termini si era già espressa la sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zolotoukhine contro Russia, che, intervenendo per risolvere un articolato conflitto manifestatosi tra le sezioni della Corte EDU sulla portata dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, aveva affermato che la medesimezza del fatto si apprezza alla luce delle circostanze fattuali concrete, indissolubilmente legate nel tempo e nello spazio. Tali principi non sono stati messi in discussione dalla più recente sentenza 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia, con la quale la Grande Camera della Corte di Strasburgo ha impresso un nuovo sviluppo alla materia del divieto "convenzionale" di bis in idem alle ipotesi di duplicazione dei procedimenti sanzionatori per il medesimo fatto (si veda in proposito la motivazione della sentenza della Corte costituzionale 43/2018).

Non è fuor di luogo, peraltro, ricordare che, con la sentenza n. 200 del 31 maggio 2016, la Corte costituzionale, nel dichiarare illegittimo l’art. 649 CPP (per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU) nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale, ha recepito sul piano interpretativo i principi affermati dalla Corte Europea sul criterio dell’idem factum e non dell’idem legale onde valutare la medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio.

Si è, infatti, affermato, che – se è vero che appare ormai pacifico che la Convenzione recepisce, nell’interpretare il principio del ne bis in idem (che vieta di perseguire o giudicare per un secondo illecito una persona già condannata o sanzionata per gli stessi fatti), il più favorevole criterio dell’ idem factum anziché la più restrittiva nozione di idem legale – il «fatto storico-naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l’accezione che gli conferisce l’ordinamento, perché l’approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal contenuto necessario.

Fatto, in questa prospettiva, è l’accadimento materiale, certamente affrancato dal giogo dell’inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un’addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi. Non vi è, in altri termini, alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all’azione o all’omissione, e non comprenda, invece, anche l’oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l’evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell’agente.

È chiaro che la scelta tra le possibili soluzioni qui riassunte è di carattere normativo, perché ognuna di esse è compatibile con la concezione dell’idem factum. Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino il riemergere dell’idem legale. Esse, infatti, non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell’accadimento naturalistico che l’interprete è tenuto a prendere in considerazione per valutare la medesimezza del fatto».

Nella sentenza della Corte Costituzionale, peraltro, si prende atto che «l’identità del "fatto" sussiste  secondo la giurisprudenza di legittimità (SU, 34655/2005)  quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona» (sentenza n. 129 del 2008). E in questi termini, e soltanto in questi, in quanto segnati da una pronuncia delle sezioni unite, che l’art. 649 cod. proc. pen. vive nell’ordinamento nazionale con il significato che va posto alla base dell’odierno incidente di legittimità costituzionale. E si tratta di un’affermazione netta e univoca a favore dell’idem factum, sebbene il fatto sia poi scomposto nella triade di condotta, nesso di causalità, ed evento naturalistico».

La stessa Corte ha dato pure atto che persiste nella stessa giurisprudenza di legittimità un orientamento minoritario, diverso da quello adottato dalle Sezioni Unite fin dal 2005, secondo il quale va tenuta in conto non solo la dimensione storico-naturalistica del fatto ma anche quella giuridica; ovvero che vanno considerate le implicazioni penalistiche dell’accadimento.

Precisa quindi la sentenza in esame che queste e «altre simili formule celano un criterio di giudizio legato all’idem legale, che non è compatibile, né con la Costituzione, né con la CEDU, sicché è necessario che esso sia definitivamente abbandonato», ulteriormente ribadendo che «il diritto vivente, con una lettura conforme all’attuale stadio di sviluppo dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, impone di valutare, con un approccio storico-naturalistico, la identità della condotta e dell’evento, secondo le modalità con cui esso si è concretamente prodotto a causa della prima (Sez. 5, 34455/2018).

Nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialità previsto dall’art. 15, che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l’implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore (SU, 20664/2017).

 

Casistica

Il rapporto di specialità sancito nell’art. 15 sussiste solo quando gli elementi costitutivi della fattispecie prevista dalla norma generale siano compresi nella norma speciale che prevede qualche elemento in più dì carattere particolarmente qualificante, di modo che l’ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell’ambito operativo della norma generale, rapporto questo che non appare ravvisabile tra i reati in tema di diritto d’autore e il reato ex art. 648, per cui il delitto previsto dalla normativa speciale concorre con il reato di ricettazione quando l’agente, oltre ad aver acquistato i supporti contraffatti, li detenga a sua volta per la commercializzazione (Sez. 3, 16153/2019).

Per l’applicazione dell’attenuante prevista dall’artt. 62 n. 6, giova osservare, che essa contempla i casi, in cui l’agente si sia "prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato". Ora, come è stato condivisibilmente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in materia di reato tentato, l’attività volontariamente posta in essere dall’agente dopo il "tentativo compiuto", finalizzata ad impedire l’evento consumativo del reato, è considerata dall’art. 56, comma 4, quale circostanza attenuante ad effetto speciale.

La circostanza attenuante comune prevista dall’art. 62, n. 6, seconda ipotesi, è applicabile in favore del soggetto che, dopo la commissione del reato, si adopera per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose, riferibili al bene tutelato dalla norma incriminatrice, diverse da quelle patrimoniali contemplate nella prima parte dell’art. 62 n. 6. In base al principio di specialità stabilito dall’art. 15, le due circostanze attenuanti, che regolano la stessa materia, hanno ambiti applicativi autonomi e non sono sovrapponibili: il "recesso attivo" previsto dall’art. 56, comma 4, opera in riferimento ai delitti tentati, accordando un trattamento premiale speciale in favore dell’agente che, dopo aver realizzato un "tentativo compiuto", pone volontariamente in essere condotte che impediscono il verificarsi dell’evento consumativo del reato.

Per converso, le condotte riparatorie, spontanee ed efficaci, attuate dopo che la consumazione del reato è avvenuta, sono dirette ad elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose ed integrano l’attenuante comune prevista dall’art. 62, n. 6, seconda ipotesi (Sez. 1, 437/2019).

I delitti di detenzione e porto illegali in luogo pubblico o aperto al pubblico di arma comune da sparo ex artt. 2, 4 e 7 L. 895/1967, non concorrono, rispettivamente, con quelli di detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico della stessa arma clandestina, ex art. 23, primo, terzo e quarto comma, L. 110/1975 (SU, 41588/2017).

Il reato di malversazione in danno dello Stato (art. 316-bis) concorre con quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis) (SU, 20664/2017).

Il reato di cui all’art. 374-bis si pone in rapporto di specialità rispetto al delitto di falso ideologico in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, in quanto si differenzia da questo per la funzione della falsa rappresentazione e per la destinazione dell’atto, ivi contemplato, all’AG (Sez. 6, 11540/2017).

Il delitto di sostituzione di persona non è assorbito in altra figura criminosa, in presenza di un unico fatto, contemporaneamente riconducibile sia alla previsione di cui all’art. 494 sia a quella di altra norma a tutela della fede pubblica (Sez. 2, 6597/2014).

Il delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia concorre e non è assorbito nel reato di estorsione, trattandosi di fattispecie preordinate alla tutela di beni giuridici diversi: la disposizione di cui all’art. 513-bis ha come scopo la tutela dell’ordine economico e, quindi, del normale svolgimento delle attività produttive a esso inerenti, mentre il reato di estorsione tende a salvaguardare prevalentemente il patrimonio dei singoli (Sez. 2, 5793/2014).

L’art. 642, strutturato come una norma penale mista del tutto peculiare, prevede nei suoi commi primo e secondo cinque diverse fattispecie di reato in particolare, il danneggiamento dei beni assicurati e la falsificazione o alterazione della polizza, nel comma primo; la mutilazione fraudolenta della propria persona, la denuncia di un sinistro non avvenuto e la falsificazione o alterazione della documentazione relativi al sinistro, nel comma secondo - che, ove ricorrano gli estremi fattuali, possono concorrere fra loro (Sez. 2, 1856/2014).

I reati di cui agli artt. 629 cod. pen. e 12, comma quinto, DLGS 286/1998 possono concorrere, in quanto le relative fattispecie incriminatrici sono poste a tutela di beni diversi (rispettivamente l’inviolabilità del patrimonio e della libertà personale il primo, la sicurezza interna il secondo) ed integrate da condotte differenti (Sez. 2, 933/2014).

Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di una prostituta è assorbito in quello, più grave, di favoreggiamento della prostituzione, qualora la condotta sia unica dal punto di vista storico e naturalistico, in virtù della clausola di riserva contenuta nell’art. 12, comma quinto, del DLGS 286/1998 (Sez. 3, 46223/2013).

In caso di concorso tra disposizione penale incriminatrice e disposizione amministrativa sanzionatoria in riferimento allo stesso fatto, deve trovare applicazione esclusivamente la disposizione che risulti speciale rispetto all’altra all’esito del confronto tra le rispettive fattispecie astratte (SU, 1963/2011).

I reati di sequestro di persona, rapina e tentato omicidio possono concorrere tra loro non sussistendo alcun rapporto di consunzione o sussidiarietà tra gli stessi, attesa la diversità dei beni giuridici tutelati che, da un lato, non consente di ritenere assorbiti tra loro gli interessi tutelati dalle fattispecie di sequestro di persona e rapina e, dall’altro, esclude che tali ultime condotte costituiscano il necessario antefatto del delitto di tentato omicidio (Sez. 1, 31735/2010).