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Art. 733 - Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale

1. Chiunque distrugge, deteriora o comunque danneggia un monumento o un’altra cosa propria di cui gli sia noto il rilevante pregio, è punito, se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale, con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda non inferiore a euro 2.065 (1).

2. Può essere ordinata la confisca della cosa deteriorata o comunque danneggiata.

(1) Ammenda così aumentata ai sensi dell’art. 113, L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 733 prevede nella parte precettiva l’obbligo in capo a chi ha la disponibilità dei beni sia di prevenire ed evitare ogni forma di danneggiamento degli stessi, sia di fare tutto ciò che è opportuno per la buona conservazione del bene.

La violazione di tale obbligo integra  sotto il profilo oggettivo  un reato di danno a forma libera e permanente. L’evento lesivo dell’oggetto materiale, infatti, può verificarsi sia attraverso un solo atto, istantaneamente, sia attraverso un comportamento continuo e prolungato, attivo o inerte, come per esempio il persistente stato di abbandono, tale da lasciare il bene materiale privo di ogni cautela da aggressioni umane (cosiddetto vandalismo), dai fattori naturali (insetti o agenti atmosferici) o da elementi chimico-fisici (i fattori inquinanti) (Sez. 3, 6199/1993).

In tema di tutela penale delle cose di antichità e d’arte, la qualifica di soggetto attivo del reato di danneggiamento (art. 733) compete anche a chi riveste la carica pubblica di sindaco nel caso in cui i beni danneggiati costituiscano «monumento» e rivestano un rilevante interesse culturale, tale da rendere incontrovertibile la loro appartenenza al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale (Sez. 3, 42983/2008).

Integra la fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 733, e non il delitto di danneggiamento aggravato, la condotta di danneggiamento di beni di valore archeologico che siano in proprietà del soggetto agente (Sez. 2, 16893/2007).

Soggetto attivo del reato di cui all’art. 733 (danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale) non è il solo titolare di diritti reali sui beni protetti, ma anche il sequestro detentore o il possessore degli stessi, mentre i terzi estranei alla proprietà possono solo concorrere con il primo nella commissione della contravvenzione (Sez. 3, 39727/2002).

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 733 c.p. (danneggiamento del patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale) occorre verificare se dal fatto sia derivato un danno patrimoniale archeologico nazionale, atteso che tale nocumento costituisce una condizione obiettiva di punibilità, nonché accertare che l’agente proprietario della cosa danneggiata sia consapevole del rilevante pregio del bene, anche se in assenza della imposizione del vincolo previsto dalla 1089/1939, che non costituisce un elemento presupposto dalla norma incriminatrice (Sez. 3, 4001/2001).

La contravvenzione di cui all’art. 733 (danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale) costituisce un presidio esterno al sistema di tutela apprestato dalla L.1089/1939, che tra le sue figure di reato contempla anche il danneggiamento delle cose d’antichità e d’arte.

Pertanto la tutela codicistica è residuale rispetto alla più incisiva protezione fornita dalla legge del 1939 che presuppone che la cosa di antichità e d’arte sia stata individuata dalla competente autorità e, quindi, sottoposta a speciale tutela, mentre il reato codicistico (art. 733) non ha tra i suoi dati costitutivi la preselezione da parte dell’autorità del bene culturale e costituisce una eccezione al danneggiamento comune, che non è configurabile quando abbia per oggetto cosa propria dell’agente.

Per la integrazione del reato di cui all’art. 733 basta la conoscenza del rilevante pregio della cosa, e non della culturalità del bene, ed il verificarsi del nocumento al patrimonio archeologico, storico o artistico derivante dal fatto (Sez. 3, 3624/1999).