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Art. 18-ter

Limitazioni e controlli della corrispondenza

1. Per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi:

a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa;

b) la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo;

c) il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima.

2. Le disposizioni del comma 1 non si applicano qualora la corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata ai soggetti indicati nel comma 5 dell’articolo 103 del codice di procedura penale, all’autorità giudiziaria, alle autorità indicate nell’articolo 35 della presente legge, ai membri del Parlamento, alle Rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell’uomo di cui l’Italia fa parte.

3. I provvedimenti previsti dal comma 1 sono adottati con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero o su proposta del direttore dell’istituto:

a) nei confronti dei condannati e degli internati, dal magistrato di sorveglianza;

b) nei confronti degli imputati, dal giudice indicato nell’articolo 279 del codice di procedura penale; se procede un giudice in composizione collegiale, il provvedimento è adottato dal presidente del collegio o della corte di assise (1).

4. L’autorità giudiziaria indicata nel comma 3, nel disporre la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, se non ritiene di provvedere direttamente, può delegare il controllo al direttore o ad un appartenente all’amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore.

5. Qualora, in seguito al visto di controllo, l’autorità giudiziaria indicata nel comma 3 ritenga che la corrispondenza o la stampa non debba essere consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che la stessa sia trattenuta. Il detenuto e l’internato vengono immediatamente informati.

6. Contro i provvedimenti previsti dal comma 1 e dal comma 5 può essere proposto reclamo, secondo la procedura prevista dall’articolo 14-ter, al tribunale di sorveglianza, se il provvedimento è emesso dal magistrato di sorveglianza, ovvero, negli altri casi, al tribunale nel cui circondario ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento. Del collegio non può fare parte il giudice che ha emesso il provvedimento. Per quanto non diversamente disposto dal presente comma si applicano le disposizioni dell’articolo 666 del codice di procedura penale.

7. Nel caso previsto dalla lettera c) del comma 1, l’apertura delle buste che racchiudono la corrispondenza avviene alla presenza del detenuto o dell’internato.

(1) Lettera così sostituita dall’art. 3, comma 1, lett. a), D.Lgs. 123/2018.

Rassegna di giurisprudenza

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18-ter, sollevata per contrasto con gli articoli 3, 15, 24, 112 e 117 della Costituzione (quest’ultimo richiamato in relazione agli articoli 8 e 13 CEDU), nella parte in cui dispone che il detenuto - e quindi anche il suo difensore - non può conoscere le ragioni per le quali la corrispondenza in arrivo gli è stata trattenuta, né prenderne visione, atteso che l’accesso ad essa vanificherebbe la decisione del giudice sul gravame (Sez. 1, 47748/2011).

La legislazione vigente, ed in particolare gli artt. 18-ter e 41-bis, non possono essere interpretati nel senso di consentire che diritti primari di rango costituzionale, attinenti alla sfera privata e personalissima dell’individuo, finiscano per essere - sia pure per limitatissime categorie di soggetti detenuti appartenenti ad associazioni mafiose o terroristico/sovversive - sostanzialmente elisi o eliminati in via preventiva, generale ed astratta, in ragione della mera appartenenza ad una determinata tipologia di indagati o condannati ed attraverso provvedimenti dell’amministrazione penitenziaria sui quali l’autorità giudiziaria eserciti un controllo di legittimità che, privo di motivazione concreta e specifica, si riduce a vuoto simulacro di richiami normativi. Si violerebbe senza dubbio il criterio ermeneutico di rango primario che impone al giudice, anzitutto, la ricerca di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme che applica nelle fattispecie a lui sottoposte, poiché una lettura della disposizione di cui all’art. 41-bis quale quella adottata nel provvedimento impugnato ne determinerebbe la potenziale esposizione a dubbi di legittimità costituzionale, in relazione alla violazione dell’art. 15 della Costituzione, ma anche dell’art. 111 Cost. In particolare, l’art. 41-bis, comma 2, stabilisce che “quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica”, il Ministro della giustizia possa disporre, nei confronti di detenuti o internati per gravi reati in materia di terrorismo o di criminalità organizzata, la sospensione, in tutto o in parte, delle regole del trattamento che possano porsi in contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza, al fine di impedire i collegamenti con “un’associazione criminale, terroristica o eversiva”. Quanto alle comunicazioni con l’esterno ed alla possibilità di tenere corrispondenza epistolare, la lett. e) del comma 2-quater prevede “la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia”. Tale disposizione, peraltro, nulla stabilisce in relazione alla disciplina del trattenimento, ovvero dell’operazione successiva all’esercizio del controllo sui contenuti della corrispondenza, consistente nel mancato inoltro della stessa al destinatario; trattenimento al quale, conseguentemente, si applica la disciplina generale dettata dagli artt. 18-ter e 38 Reg. (Sez. 1, 48365/2012, secondo cui la libertà di corrispondenza dei detenuti in regime speciale può essere limitata, in virtù di quanto stabilito dall’art. 15 della Costituzione, solo con un provvedimento dell’autorità giudiziaria, specificamente motivato in ordine alla sussistenza dei presupposti indicati dai commi da 1 a 4 dell’art. 18-ter, come modificato dalla L. 95/2004). L’art. 18-ter, dedicato alle “limitazioni e controlli della corrispondenza”, stabilisce, al comma 5, che il magistrato di sorveglianza (competente nei confronti dei condannati, degli internati e degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado) qualora ritenga che la corrispondenza o la stampa non debba essere consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che la stessa sia trattenuta; e che, in tale evenienza, il detenuto e l’internato debbano essere immediatamente informati. Apparentemente la norma non individua espressamente i casi in cui può essere disposto il trattenimento, ma, stante il suo stretto collegamento funzionale con il visto di censura, sembra evidente che detto trattenimento possa essere disposto qualora, dall’esame dei contenuti della corrispondenza, l’autorità giudiziaria ritenga che sussista una situazione di pericolo concreto per quelle esigenze di ordine e di sicurezza pubblica che costituiscono i presupposti per l’adozione del visto di censura. Tale verifica, demandata in sede di necessario controllo giurisdizionale, al magistrato di sorveglianza, non può prescindere da un obbligo di motivazione, sia pur sintetico e calibrato sulle eventuali esigenze investigative e di segretezza per possibili indagini ulteriori in corso sui contenuti della corrispondenza. Invero, come non ha mancato di sottolineare un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità in casi analoghi di detenuti sottoposti a regime penitenziario ai sensi del citato art. 41-bis, là dove il giudice di merito ometta di riferire e dar conto dei presupposti di fatto del caso concreto, non è dato controllare la correttezza del percorso logico-giuridico della valutazione contenuta nel provvedimento. L’obbligo di motivazione, peraltro, come già accennato, può essere soddisfatto anche garantendo la doverosa esigenza di riservatezza della materia (spesso legata ad indagini in corso), attraverso un’indicazione per quanto possibile sintetica delle doglianze difensive e delle verifiche sui punti in questione compiuti dal giudice di sorveglianza. Non si ignora che una differente opzione interpretativa ha dettato sul tema un percorso interpretativo che sembra diverso ed ammette quasi la possibilità di una motivazione dell’autorità giudiziaria sul trattenimento della corrispondenza priva della indicazione di ragioni specifiche legate al caso concreto (cfr. Sez. 1, 38632/2010). Tuttavia, la fattispecie che, dalla lettura della motivazione, si comprende essere stata decisa dalla Corte di legittimità - una ipotesi in cui esigenze investigative presenti e rilevate impedivano di rivelare specificamente nel provvedimento giurisdizionale le frasi di contenuto criptico od ambiguo - non consente di ritenerla paradigmatica rispetto all’ipotesi sottoposta al Collegio nel presente procedimento. Anzi, anche questa pronuncia non smentisce la necessità di una motivazione effettiva, quale che sia e magari contemperi i diversi beni costituzionali in gioco, attraverso la giusta proporzione tra ragioni ostensibili e rilievi non consentiti poiché confliggenti con esigenze investigative Anche più recentemente, quando la Corte di cassazione ha ritenuto legittimo il diniego di inoltro della corrispondenza lo ha fatto, in relazione a detenuti sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41-bis, valutando elementi concreti posti in risalto nella stessa motivazione del provvedimento della magistratura di sorveglianza. Così, Sez. 1, 51187/2018 ha chiarito che, in tema di controllo sulla corrispondenza del detenuto sottoposto a regime di detenzione speciale, la decisione di non inoltro può essere legittimamente motivata sulla base di elementi concreti che facciano ragionevolmente dubitare che il contenuto effettivo della missiva sia quello che appare dalla semplice lettura del testo (Sez. 5, 32452/2019).

L’art. 41-bis, comma 2 stabilisce che “quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica”, il Ministro della giustizia possa disporre, nei confronti di detenuti o internati per gravi reati in materia di terrorismo o di criminalità organizzata, la sospensione, in tutto o in parte, delle regole del trattamento che possano porsi in contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza, al fine di impedire i collegamenti con “un’associazione criminale, terroristica o eversiva”. Sul versante delle comunicazioni con l’esterno e segnatamente della corrispondenza epistolare, la lett. e) del comma 2-quater prevede “la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia”. Tale disposizione, peraltro, nulla stabilisce in relazione alla disciplina del trattenimento, ovvero dell’operazione successiva all’esercizio del controllo sui contenuti della corrispondenza, consistente nel mancato inoltro della stessa al destinatario; trattenimento al quale, conseguentemente, si applica la disciplina generale dettata dagli artt. 18-ter e 38 Reg. (Sez. 1, 48365/2012, secondo cui la libertà di corrispondenza dei detenuti in regime speciale può essere limitata, in virtù di quanto stabilito dall’art. 15 della Costituzione, solo con un provvedimento dell’autorità giudiziaria, specificamente motivato in relazione alla sussistenza dei presupposti indicati dai commi da 1 a 4 dell’art. 18-ter, come modificato dalla L. 95/2004). L’art. 18-ter, rubricato “limitazioni e controlli della corrispondenza”, stabilisce, al comma 5, che il magistrato di sorveglianza (competente nei confronti dei condannati, degli internati e degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado), qualora ritenga che la corrispondenza o la stampa non debba essere consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che la stessa sia trattenuta; e che, in tale evenienza, il detenuto e l’internato debbano essere immediatamente informati. Benché la disposizione, in apparenza, non individui espressamente i casi in cui può essere disposto il trattenimento, è evidente, stante il suo stretto collegamento funzionale con il visto di censura, che esso possa essere disposto qualora, dall’esame dei contenuti della corrispondenza, l’autorità giudiziaria ritenga sussistente una situazione di pericolo concreto per quelle esigenze di ordine e di sicurezza pubblica che costituiscono i presupposti per l’adozione della prima forma di controllo. 3. Secondo la giurisprudenza di legittimità, quando la corrispondenza sia in “entrata”, il contenuto di questa, pur non dovendo essere analiticamente esplicitato, deve comunque essere richiamato con modalità idonee ad assicurare il prudente bilanciamento tra il diritto del detenuto a conoscere le ragioni della limitazione e le finalità di pubblico interesse volte a salvaguardare le esigenze investigative (Sez. 1, 43522/2014). Nel caso in esame, sia il provvedimento applicativo, sia quello impugnato hanno dato conto dei contenuti della corrispondenza trattenuta, sottolineando la cripticità dell’inoltro di materiale giudiziario relativo a soggetti di cui erano sconosciuti i legami personali con il detenuto, conseguentemente pervenendosi, con valutazione di merito scevra da profili di illogicità, a una valutazione di pericolo per l’ordine e la sicurezza esterna all’istituto, connessa alla possibile comunicazione di informazioni che non dovevano essere portate a conoscenza del detenuto. In questo modo, l’ordinanza impugnata si è conformata all’indirizzo giurisprudenziale di legittimità secondo cui in tema di controllo sulla corrispondenza del detenuto sottoposto a regime di detenzione speciale, la decisione di non inoltro può essere legittimamente motivata sulla base di elementi concreti i quali facciano ragionevolmente dubitare che il contenuto effettivo della missiva sia quello che appare dalla semplice lettura del testo (Sez. 7, 5140/2020).

L’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. a) e c), nel testo novellato dalla L. 94/2009 (recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica"), consente all’Amministrazione penitenziaria di adottare, tra le misure di elevata sicurezza interna ed esterna volte a prevenire contatti del detenuto in regime differenziato con l’organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, il divieto di ricevere dall’esterno e di spedire all’esterno libri, riviste e stampa in genere. Ciò in ragione della possibilità che libri e riviste costituiscano veicolo di comunicazioni illecite tra il detenuto e esponenti dell’organizzazione criminale di appartenenza che si trovino in libertà. Al medesimo fine, il DAP aveva adottato, il 6/11/2011, una prima circolare (identificata dal n. 8845/2011), recante un complesso di disposizioni in ordine all’ingresso, alla circolazione e alla detenzione della stampa nell’ambito delle sezioni degli istituti penitenziari destinate ad accogliere i detenuti in regime speciale, con cui era stato stabilito che qualsiasi tipo di stampa autorizzata (quotidiani, riviste, libri) potesse essere acquistata dai detenuti in regime speciale solo nell’ambito dell’istituto, tramite l’impresa di mantenimento o personale delegato dalla direzione, con conseguente divieto di ricevere libri e riviste provenienti dall’esterno, e in particolare dai familiari, sia a mezzo posta sia tramite consegna in occasione dei colloqui, così come di trasmettere, all’esterno, tale materiale da parte del detenuto. Tali disposizioni erano state, successivamente, disapplicate con provvedimenti di alcuni magistrati di sorveglianza, secondo cui esse avrebbero leso i diritti di informazione e di studio dei detenuti, introducendo penalizzanti ostacoli all’acquisizione dei testi necessari per l’esercizio di tali diritti, incidendo, altresì, sulla libertà di corrispondenza, sancita dall’art. 15 Cost. I provvedimenti di disapplicazione della circolare ministeriale erano stati, tuttavia, annullati dalla Corte di cassazione, secondo cui l’Amministrazione penitenziaria aveva regolarmente esercitato il «potere regolamentare» per la concreta applicazione delle restrizioni stabilite dall’ordinamento penitenziario, senza rendere inutilmente più gravoso lo speciale trattamento e senza un’inutile compressione dei diritti costituzionalmente garantiti anche al detenuto (cfr. tra le altre, Sez. 1, 1774/2015). Inoltre, secondo la giurisprudenza di legittimità, la ricezione e lo scambio della stampa non avrebbero potuto essere ricondotti al concetto di «corrispondenza» in senso stretto (Sez. 1, 19204/2015), essendo quest’ultima limitata alle forme di comunicazione del proprio pensiero a persone determinate tramite scritti, sostitutiva della comunicazione verbale e strumentale al mantenimento delle relazioni interpersonali e affettive e non comprensiva, pertanto, della ricezione dall’esterno, tramite servizio postale, di pubblicazioni - quali libri e riviste - che riportano il pensiero di terzi. E proprio per le limitazioni nella ricezione della stampa, dalla sottoposizione al regime di cui all’art. 41-bis derivava la sottoposizione a una disciplina speciale, derogatoria di quella dettata dall’art. 18-ter, giustificata dal più elevato livello di pericolosità del detenuto (Sez. 1, 1774/2015). Va, peraltro, osservato che la stessa giurisprudenza di legittimità aveva anche osservato, condivisibilmente, come la mancata consegna, al detenuto in regime speciale, di pacchi postali contenenti libri o riviste provenienti dall’esterno non potesse assimilarsi al «trattenimento» della stampa di cui all’art. 18-ter, comma 5, demandato, da tale disposizione, all’AG. Ciò in quanto, diversamente dal trattenimento, la mancata consegna non sottraeva gli stampati alla disponibilità tanto del mittente quanto del destinatario, ma aveva il solo effetto di non consentire l’ingresso dei libri e delle riviste nell’istituto, ferma restando la facoltà del mittente di pretenderne in qualunque momento la restituzione; sicché, in definitiva, la mancata consegna configurava un semplice “respingimento” (Sez. 1, 50158/2014), analogo a quello che l’Amministrazione penitenziaria poteva disporre nei casi in cui un pacco postale o gli oggetti in esso contenuti non fossero conformi alla normativa di ordinamento penitenziario o alle prescrizioni del regolamento interno di istituto. A fronte dell’indirizzo giurisprudenziale prima ricordato, che aveva riconosciuto la correttezza dell’azione amministrativa, il DAP aveva emanato, in data 11/2/2014, una nuova circolare, con la quale aveva ripristinato le disposizioni della circolare oggetto dei provvedimenti di disapplicazione. La relativa disciplina è stata, infine, ritenuta compatibile con i principi della Carta fondamentale da parte della Corte costituzionale, la quale, con sentenza 122/2017, ha ritenuto che le disposizioni in questione non violassero la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), intesa nel suo significato passivo di diritto di essere informati e del diritto allo studio (artt. 33 e 34 Cost.), sottolineando come il diritto dei detenuti in regime speciale a ricevere e a tenere con sé le pubblicazioni di loro scelta non fosse limitato da tale disciplina, essendo agli stessi semplicemente imposto di servirsi, per la relativa acquisizione, dell’istituto penitenziario, al fine di evitare che il libro o la rivista si trasformi in un veicolo di comunicazioni occulte con l’esterno. E parimenti infondata è stata ritenuta la censura di violazione della libertà di corrispondenza (art. 15 Cost.), non potendo la trasmissione di libri e riviste rientrare nella nozione di «corrispondenza» in quanto inidonei a fungere da veicolo di comunicazione di un pensiero proprio del mittente, indirizzato in modo specifico ed esclusivo al destinatario, posto che, in tal modo opinando, si sarebbe dovuto riconoscere alla persona detenuta, in nome della libertà di corrispondenza, il diritto di scambiare con l’esterno, senza alcuna restrizione quali-quantitativa - fin tanto che non intervenisse uno specifico provvedimento limitativo dell’AG - non soltanto libri e riviste, ma qualsiasi tipo di oggetto (Sez. 1, 5211/2020).

Il diritto a ricevere pubblicazioni della stampa periodica costituisce declinazione del più generale diritto a essere informati, a sua volta riconducibile alla libertà di manifestazione del pensiero, di cui costituisce una sorta di pre-condizione; sicché esso trova una diretta copertura costituzionale negli artt. 2 e 21 Cost. (così Corte costituzionale, 112/1993; 826/1988; 148/1981) e, a livello convenzionale, nell’art. 10 CEDU. La particolare rilevanza di tali diritti, certamente riferibili al novero di quelli fondamentali, trova riscontro nella doppia riserva, di legge e di giurisdizione, approntata in relazione alla loro eventuale limitazione, la quale non può che connotarsi, dunque, in termini di extrema ratio. Per tale ragione, l’art. 18-ter, stabilendo che “per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi: a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa ...”, impone rigorosi presupposti applicativi e precisi vincoli temporali. E dal lato del giudice, la particolare rilevanza dei diritti incisi rende, ovviamente, necessario che il provvedimento restrittivo si informi a un obbligo di rigorosa motivazione. In presenza dei cennati presupposti di legge, costituisce affermazione consolidata, nella giurisprudenza di legittimità, che il divieto di ricevere, se del caso, anche tutta la stampa locale, può ritenersi conforme alla disciplina costituzionale, tenuto conto che, in ipotesi siffatta, il detenuto ben potrebbe fruire della stampa nazionale, sicché la compressione del suo diritto non sarebbe, comunque, assoluta (Sez. 1, 32904/2014). Nondimeno, perché un siffatto provvedimento possa ritenersi legittimamente dato è necessario che vi sia una specifica correlazione tra la circolazione della stampa locale all’interno del carcere e il probabile verificarsi di taluna delle circostanze indicate dall’art. 18-ter. Così, si è affermato, e la relativa decisione non pare potersi revocare in dubbio, che è pienamente “legittimo il provvedimento di limitazione nella ricezione della stampa locale emesso nei confronti di detenuto sottoposto a regime speciale ex art. 41-bis. qualora detta ricezione possa consentirgli di continuare a gestire dal carcere le attività illecite dell’associazione di appartenenza” (Sez. 1, 6322/2013). E ciò senza che sia necessario che il mantenimento, per il tramite della stampa, di collegamenti con il sodalizio di provenienza, sia accertato in termini di certezza, essendo sufficiente una situazione di mera probabilità, siccome funzionale al soddisfacimento di esigenze di tipo preventivo. Nondimeno, trattandosi di provvedimenti che incidono su diritti fondamentali, deve escludersi, come condivisibilmente dedotto dalla difesa del detenuto, che le limitazioni in questione possano essere basate sulla ricorrenza di una situazione di “mero sospetto”, essendo necessario che ricorrano concreti elementi di valutazione idonei a conferire un adeguato coefficiente di oggettività alle ragioni poste alla base del richiesto controllo (Sez. 1, 35766/2019).

In materia di trattenimento della corrispondenza dei detenuti, il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni della legge penitenziaria, ai vizi della motivazione, dovendo essere ricondotti in tali patologie tutti i casi in cui la motivazione risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile il percorso motivazionale seguito dalla magistratura di sorveglianza ovvero quando le linee argomentative del provvedimento non consentano di verificare la sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 18-ter per l’adozione della misura restrittiva (Sez. 1, 48898/2019).

La decisione di mancata consegna della corrispondenza può essere legittimamente motivata solo sulla base di elementi concreti - da indicare, anche in sede di reclamo, senza che ciò comporti la vanificazione del trattenimento - che facciano ragionevolmente dubitare che il contenuto effettivo della missiva sia quello che appare dalla semplice lettura del testo (Sez. 1, 36040/2019).

La materia delle limitazioni e dei controlli nella libertà di comunicazione, epistolare e telegrafica, dei detenuti con l’esterno, e nella libertà di informazione dei medesimi, è regolata dall’art. 18 - ter allo scopo precipuo di assicurare il pieno rispetto, in materia, delle garanzie prescritte dall’art. 15 Cost. (nonché, anche su sollecitazione della Corte di Strasburgo, dagli artt. 8 e 10 CEDU). Il comma 1 del citato art. 18-ter stabilisce dunque che, per esigenze investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possano essere tra l’altro disposte, nei confronti dei singoli detenuti o internati, limitazioni nella ricezione della stampa periodica. Il successivo comma 3 prevede, a tal fine, il decreto motivato del giudice, adottato su richiesta del PM o su proposta del direttore del carcere, e detta opportune regole di competenza al riguardo. Il successivo comma 6 disciplina la successiva fase di reclamo dinanzi al tribunale, ordinario o di sorveglianza, che decide con ordinanza ricorribile per cassazione. Viene in tal modo rispettata la duplice riserva, di legge e di giurisdizione, imposta in materia dal testo costituzionale, ed è altresì adeguatamente delimitata l’ingerenza dello Stato nell’esercizio della corrispondente libertà convenzionale. Il sistema, così congegnato, consente l’emanazione di provvedimenti limitativi di carattere generale, dalla durata massima predeterminata, pari a sei mesi in prima applicazione, comunque reiterabili, per periodi non eccedenti ciascuno i tre mesi, al permanere delle esigenze giustificative. Con ciò, l’ordinamento non ha di certo inteso vietare, tuttavia, l’intervento di misure “puntuali”, per il caso in cui l’esigenza investigativa, preventiva o di ordine e sicurezza, abbia tale limitata caratteristica (Sez. 1, 48522/2019).

L’art. 18-ter, comma 6, nell’ammettere il reclamo nei confronti dei provvedimenti adottati nelle materie regolate dal medesimo articolo, rinvia, per la disciplina del procedimento, al precedente art. 14-ter - che assicura la partecipazione ad esso del difensore e del PM, con facoltà per l’interessato e l’Amministrazione penitenziaria di presentare memorie - nonché, in via residuale, al modello, parimenti partecipato, di cui all’art. 666 c.p.p. Il reclamo non può, pertanto, essere definito mediante decisione assunta senza formalità, al di fuori del previsto contraddittorio camerale (Sez. 1, 36055/2019).

La L. 95/2004 - nel rafforzare le garanzie giurisdizionali in materia, mediante l’introduzione di una nuova disciplina (art. 18-ter), volta ad adeguare l’ordinamento interno alla giurisprudenza della Corte EDU - ha strutturato la tutela, in funzione della sua effettività, mediante la previsione di un doppio grado di merito, il cui dispiegarsi non può essere ostacolato da ingiustificate ragioni formali (Sez. 1, 36040/2019).