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Art. 30

Permessi

1. Nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, ai condannati e agli internati può essere concesso dal magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare, con le cautele previste dal regolamento, l’infermo.

2. Agli imputati il permesso è concesso dall’autorità giudiziaria competente a disporre il trasferimento in luoghi esterni di cura ai sensi dell’articolo 11. (1)

3. Analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravità.

4. Il detenuto che non rientra in istituto allo scadere del permesso senza giustificato motivo, se l’assenza si protrae per oltre tre ore e per non più di dodici, è punito in via disciplinare; se l’assenza si protrae per un tempo maggiore, è punibile a norma del primo comma dell’art. 385 del codice penale ed è applicabile la disposizione

dell’ultimo capoverso dello stesso articolo.

5. L’internato che rientra in istituto dopo tre ore dalla scadenza del permesso senza giustificato motivo è punito in via disciplinare.

(1) Comma così modificato dall’art. 3, comma 1, lett. b), D.Lgs. 123/2018.

Rassegna di giurisprudenza

Funzioni del permesso di necessità

L’utilizzazione del permesso di necessità per finalità rieducative e risocializzanti, in sé certamente commendevoli, ma al cui perseguimento sono destinati altri istituti giuridici, incontra decisivi ostacoli, derivanti dalla lettera e dallo spirito dell’art. 30 (Sez. 1, 38220/2019). Come puntualmente osservato nel menzionato precedente di legittimità, l’art. 30 dispone, al comma 1, che, nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, ai detenuti e agli internati possa essere concesso, dal giudice competente, il permesso di recarsi a visitare, con le cautele previste dal regolamento, l’infermo; e, al secondo comma, stabilisce che analoghi permessi possono essere concessi, eccezionalmente, per eventi familiari di particolare gravità. Questa disciplina è stata sempre interpretata, in sede di legittimità, nel senso che - in disparte la chiara situazione specificamente descritta dal primo comma - per l’ottenimento, altrimenti, del permesso di necessità debbano sussistere i tre requisiti dell’eccezionalità della concessione, della particolare gravità dell’evento giustificativo e della correlazione dello stesso con la vita familiare, in modo che il relativo accertamento tenga conto dell’idoneità del fatto ad incidere nella vicenda umana del detenuto (da ultimo, Sez. 1, 39608/2019), senza che, per questo, debba trattarsi necessariamente di un evento luttuoso o drammatico. Quel che si ritiene assumere determinante importanza è la sua natura di evento non ordinario, del tutto al di fuori della quotidianità, sia per il suo intrinseco rilievo fattuale, sia per la sua incidenza nella vita del detenuto, sempre in relazione alla sua sfera familiare, e conseguentemente nell’esperienza umana della detenzione carceraria. In tale prospettiva, è stata ritenuta decisiva - in coerenza con le esigenze di rango costituzionale di umanizzazione della pena (ex art. 27, comma 3, Cost.) - l’influenza che assumono il ruolo della famiglia e il contatto diretto con i suoi componenti (Sez. 1, 48284/2017). Nell’ambito delle esigenze così enucleate, il permesso di necessità viene inquadrato come un beneficio di eccezionale applicazione, cui resta estranea la finalità trattamentale (inclusa quella di genericamente attenuare l’isolamento del detenuto, attraverso il mantenimento di stabili relazioni familiari e sociali: Sez. 1, 57813/2017). E anche laddove, in omaggio ad un ampio concetto di evento rilevante, si è ritenuto che, ai fini della concessione del permesso di necessità, fosse sussumibile nella nozione della particolare gravità di cui all’art. 30 l’evento afferente «alla strutturazione progressiva di una condizione che, all’esito di un periodo sensibilmente lungo, si faccia apprezzare in termini di particolare gravità per la vita [...] del detenuto» (Sez. 1, 56195/2018, ha ritenuto legittima una concessione fondata sull’assenza di visite dei congiunti, protrattasi per più di un biennio a causa di oggettive difficoltà dei medesimi di raggiungere il luogo in cui il congiunto era ristretto) mai si è dubitato che il perimetro entro cui l’evento dovesse inscriversi fosse esclusivamente quello familiare. Esito ineludibile dell’inquadramento così richiamato è dunque, di nuovo, che l’impiego del permesso di necessità, per consentire al detenuto richiedente, privo dei requisiti per l’ottenimento del beneficio penitenziario adeguato, di partecipare ad iniziative costituenti parte del percorso trattamentale, obiettivamente esula dall’ambito di applicazione dell’art. 30 (Sez. 1, 45741/2019).

Il permesso di necessità, disciplinato dall’art. 30, è istituto alla cui conformazione concorrono i tre requisiti dell’eccezionalità della concessione, della particolare gravità dell’evento giustificativo e della correlazione dello stesso con la vita familiare. Trattasi di beneficio non ordinario, non avente cioè natura trattamentale, né diretto in sé a garantire il mantenimento delle relazioni affettive del detenuto, quanto rispondente a finalità di umanizzazione della pena a fronte di accadimenti peculiari, tendenzialmente irripetibili, aventi la loro genesi in relazioni di tipo familiare e idonei ad incidere nella vicenda umana del detenuto stesso. La giurisprudenza di legittimità ha espresso indirizzi tali da preservare attentamente la fisionomia dell’istituto, di cui ha sempre rimarcato il carattere “puntuale” e, specularmente, l’inidoneità a fronteggiare evenienze dal carattere stabile o ripetitivo. In questa prospettiva, si è giunti, di recente a considerare estranee all’applicazione dell’art. 30 fattispecie, in cui rilevavano malattie di familiari, ancorché gravi e progressive, aventi natura cronica, o cronicizzata; tale condizione patologica, connotata da protrazione indefinita nel tempo, è stata ritenuta non conciliabile con il carattere straordinario della misura. Senonché, il rigore di una tale impostazione merita di essere temperato, in funzione di una più lata tutela del principio di umanità della pena, in sintonia con i principi espressi dall’art 27, comma 3, Cost. In questo senso si registrano recenti e condivisibili decisioni di legittimità. Punto fermo non può non rimanere, tuttavia, il carattere isolato -se non propriamente unico e non rinnovabile- della concessione. Il superamento di tale presupposto snaturerebbe significato e funzione dell’istituto, assegnandogli ordinaria valenza ordinamentale, e di reinserimento sociale, al cui soddisfacimento sono viceversa destinate, in relazione agli sviluppi del trattamento, le normali misure premiali (Sez. 1, 39608/2019).

L’istituto del permesso di necessità non costituisce strumento del trattamento, ma un mero beneficio di eccezionale applicazione, diretto ad evitare, per finalità di umanizzazione della pena, che all’afflizione propria della detenzione si sommasse inutilmente quella derivante all’interessato dall’impossibilità di essere vicino ai congiunti, o di adoperarsi in favore dei medesimi, in occasione di particolari avverse vicende della vita familiare. Una volta poi introdotta nel 1986 nell’ordinamento penitenziario la possibilità di concedere al detenuto dei permessi premio, l’interpretazione del permesso di necessità ha riacquistato una dimensione restrittiva che ne ancora l’applicazione a situazioni eccezionali, ad eventi, intesi quali fatti oggettivi familiari, luttuosi o comunque di particolare gravità che assumono un particolare significato nella vita personale e familiare. Con efficace schematizzazione, la giurisprudenza di legittimità ha rimarcato che i requisiti richiesti dalla norma di riferimento per la concessione del permesso di necessità vanno individuati nel carattere eccezionale della concessione, nella particolare gravità dell’evento giustificativo e nella correlazione di questo con la vita familiare in modo tale che essi vengono ad individuare un fatto del tutto al di fuori della quotidianità per il suo intrinseco rilievo e la sua incidenza nella vita del detenuto, tale da giustificare la deroga temporanea all’esperienza segregativa (Sez. 1, 15953/2015).

L’utilizzazione del permesso di necessità per la finalità, certamente commendevole, del perseguimento della concreta espansione della sfera rieducativa e della compiuta risocializzazione del condannato detenuto incontri tuttavia decisivi ostacoli, derivanti dalla struttura stessa dell’istituto di cui all’art. 30, che convincono dell’eccedenza della sua applicazione nel caso di specie, in relazione al perimetro fissato dalla lettera e dallo spirito della norma. L’art. 30 dispone, al primo comma, che, nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, ai condannati e agli internati può essere concesso dal magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare, con le cautele previste dal regolamento, l’infermo e, al secondo comma, stabilisce che analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravità. Questa disciplina è interpretata nel senso che - assodata la chiara situazione specificamente descritta dal primo comma - allo scopo della concessione del permesso di necessità previsto dal secondo comma della norma devono sussistere i tre requisiti dell’eccezionalità della concessione, della particolare gravità dell’evento giustificativo e della correlazione dello stesso con la vita familiare, per modo che il relativo accertamento va compiuto tenendo conto dell’idoneità del fatto ad incidere nella vicenda umana del detenuto. Il secondo comma dell’art. 30, quindi, prevede la possibilità eccezionale di concedere ai detenuti e agli internati il permesso di uscire dal carcere, con le necessarie cautele esecutive, per eventi familiari di particolare gravità, analogamente a quanto stabilito dal primo comma della medesima norma per il caso estremo di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente del soggetto interessato. L’elaborazione ermeneutica della norma ha evidenziato che i requisiti della particolare gravità dell’evento giustificativo e della sua correlazione con la vita familiare sono indispensabili per la concessione del permesso e che, inoltre, vanno verificati con riguardo alla capacità dell’evento stesso - inteso nella sua accezione di fatto storico specifico e ben individuato - di incidere in modo significativo nella vicenda umana del detenuto, senza che, tuttavia debba trattarsi necessariamente di un evento luttuoso o drammatico. Quel che si ritiene assuma determinante importanza è la sua natura di evento non ordinario e del tutto al di fuori della quotidianità, sia per il suo intrinseco rilievo fattuale, sia per la sua incidenza nella vita del detenuto, sempre in relazione alla sua sfera familiare, e conseguentemente nell’esperienza umana della detenzione carceraria. In tal senso, si è ritenuta - in coerenza con la funzione rieducativa della pena e con le esigenze di rango costituzionale di umanizzazione della stessa (ex art. 27 Cost.), in grado molto rilevante, se non decisivo, l’incidenza che assumono il contatto coi familiari e il ruolo della famiglia nel contesto interpretativo dei requisiti - sopra individuati - caratterizzanti l’evento legittima te la concessione del permesso di necessità. È vero che, nell’ambito delle esigenze così enucleate, ossia quelle relative ad eventi familiari di particolare gravità, il permesso di necessità viene talvolta inquadrato come un beneficio di eccezionale applicazione rispondente a finalità di umanizzazione della pena, e non invece come un istituto di natura trattamentale, in guisa da farsi discendere, nella chiave costituita da una nozione molto circoscritta dell’evento rilevante a tal fine, il corollario secondo cui questo tipo di permesso va concesso esclusivamente al verificarsi di situazioni di particolare gravità ridondanti nella sfera personale e familiare del detenuto, non anche in funzione dell’esigenza di attenuare l’isolamento del medesimo attraverso il mantenimento delle relazioni familiari e sociali, laddove, in altra occasione, seguendosi un concetto più ampio dell’evento rilevante, si è ritenuto che, ai fini della concessione del permesso di necessità, è sussumibile nella nozione della particolare gravità di cui all’art. 30 anche l’evento afferente alla strutturazione progressiva di una condizione che, all’esito di un periodo sensibilmente lungo, si faccia apprezzare in termini di particolare gravità per la vita familiare del detenuto. Quel che è certo, tuttavia, che pure l’una e l’altra delle inflessioni ermeneutiche da ultimo richiamate non dubitano - in piena armonia con il preciso disposto normativo - che il perimetro entro cui l’evento deve inscriversi per l’applicazione dell’istituto sia esclusivamente quello familiare (Sez. 1, 38220/2019).

Ai fini della concessione del permesso di necessità previsto dall’art. 30, comma 2, devono sussistere i tre requisiti dell’eccezionalità della concessione, della particolare gravità dell’evento giustificativo e della correlazione dello stesso con la vita familiare, ed il relativo accertamento deve essere compiuto tenendo conto dell’idoneità del fatto ad incidere nella vicenda umana del detenuto; mentre la gravità dei fatti commessi, o la pericolosità del condannato o dell’imputato, sono da valutare esclusivamente aí fini della predisposizione di apposite cautele esecutive (Sez. 1, 15953/2016).

Rientra nella nozione di eccezionalità indicata nell’art. 30 la strutturazione progressiva di una condizione che, all’esito di un periodo sensibilmente lungo, si faccia apprezzare in termini di particolare gravità per la vita familiare del detenuto, come, nella specie, è stata considerata l’assenza di visite di un familiare, da tempo protrattasi, a causa di oggettive difficoltà del medesimo di raggiungere il luogo di detenzione (Sez. 1, 56195/2018).

È concedibile il permesso di necessità previsto dall’art. 30 che sia funzionale alla visita di uno stretto congiunto affetto da grave disabilità psichica (Sez. 1, 36329/2016).

Inapplicabilità della sospensione dei termini per il reclamo

Il normale regime di sospensione dei termini in periodo feriale non può trovare applicazione in relazione al termine stabilito per la proposizione del reclamo avverso la concessione o il diniego dei permessi richiesti dal detenuto, a norma dell’art. 30 (ossia per il caso di imminente pericolo di vita di un suo familiare o convivente, o per altro evento familiare di particolare gravità), ovvero a norma del successivo art. 30-ter (quale beneficio premiale, previsto in caso di regolare condotta del condannato e di assenza di pericolosità sociale); termine di reclamo che la legge penitenziaria, nei medesimi articoli, fissa in 24 ore, decorrenti - per il PM, per l’interessato e, se nominato, per il suo difensore - dalla comunicazione» della decisione soggetta a gravame. Tale negativa conclusione - non correlata dunque alla fenomenologia del procedimento di sorveglianza, che resta di per sé assoggettato alla disciplina della sospensione dei termini - si impone, per un verso, in ragione della peculiare fisionomia dell’istituto in esame (il permesso, accordato al detenuto, di allontanarsi temporaneamente dalla struttura penitenziaria), e del relativo mezzo d’impugnazione, nonché, sotto altro aspetto, in considerazione della speciale natura del relativo termine. Occorre allora considerare, con riferimento all’istituto del permesso riguardante soggetto detenuto, che il relativo procedimento è connotato da snellezza ed essenzialità. La valutazione è rimessa senz’altro ad organo monocratico, da individuarsi nel magistrato di sorveglianza (art. 30-ter, comma 1), ovvero, per l’imputato e in relazione al permesso di necessità, al giudice procedente, e, in caso di collegio, al solo suo presidente (artt. 11, comma 4, e 30, comma 1). La conseguente decisione è assunta senza formalità, sulla base di istruttoria officiosa, meramente eventuale in rapporto al permesso di necessità (art. 30-bis, comma 4) da compiersi celermente secondo le puntuali indicazioni di cui agli artt. 64 e 65 del regolamento di esecuzione. Sono previsti rimedi impugnatori, a disposizione tanto del PM che dell’interessato, da attivare entro il termine di 24 ore già menzionato - e da definire, secondo quanto dispone l’art. 30-bis, comma 4, entro il decimo giorno successivo (termine ora da coordinare con quelli più ampi, implicati dagli artt. 666 e 678 c.p.p., posto che il contraddittorio camerale deve essere assicurato anche in tale procedura (da ultimo, Sez. 1, 5186/2016). I benefici in parola rispondono a fondamentali esigenze, umanitarie o trattamentali, tutelate dagli artt. 2 e 27, comma 3, Cost., le quali ampiamente giustificano l’interesse del detenuto al rapido svolgimento dell’intera sequela procedimentale, inclusa l’eventuale fase di gravame. La facoltà d’impugnare, d’altra parte, strettamente condiziona, in caso di concessione della provvidenza, la fruizione effettiva di quest’ultima. A norma dell’art. 30-bis, comma 7, richiamato dal successivo art. 30-ter, comma 6, né il permesso premio né quello di necessità, benché deliberati, sono suscettibili di esecuzione in pendenza del termine concesso al pubblico ministero per avanzare reclamo, ovvero in pendenza del relativo giudizio (fa eccezione, ai sensi dell’ottavo comma dello stesso art. 30-bis, il permesso rilasciato per visitare il congiunto in imminente pericolo di vita, rendendosi comunque in tal caso obbligatoria la scorta della polizia penitenziaria). È chiaro, a questo punto, che il citato interesse del soggetto ristretto, costituzionalmente protetto, sarebbe irrimediabilmente frustrato se il termine delle 24 ore dovesse essere assoggettato a sospensione feriale (Sez. 1, 45736/2019).