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Art. 80

Personale dell’amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena

1. Presso gli istituti di prevenzione e di pena per adulti, oltre al personale previsto dalle leggi vigenti, operano gli educatori per adulti e gli assistenti sociali dipendenti dai centri di servizio sociale previsti dall’art. 72.

2. L’amministrazione penitenziaria può avvalersi per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, di personale incaricato giornaliero, entro limiti numerici da concordare annualmente, con il Ministero del tesoro.

3. Al personale incaricato giornaliero è attribuito lo stesso trattamento ragguagliato a giornata previsto per il corrispondente personale incaricato.

4. Per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, l’amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, nonché di mediatori culturali e interpreti, corrispondendo ad essi onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate. (1)

5. Il servizio infermieristico degli istituti penitenziari, previsti dall’art. 59, è assicurato mediante operai specializzati con la qualifica di infermieri.

6. A tal fine la dotazione organica degli operai dell’amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1971, n. 275, emanato a norma dell’art. 17 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, è incrementata di 800 unità riservate alla suddetta categoria. Tali unità sono attribuite

nella misura di 640 agli operai specializzati e di 160 ai capi operai.

7. Le modalità relative all’assunzione di detto personale saranno stabilite dal regolamento di esecuzione.

(1) Comma così modificato dall’art. 11, comma 1, lett. s), D.Lgs. 123/2018.

Rassegna di giurisprudenza

È noto che, ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1-quater, il delitto di violenza sessuale aggravata ai sensi dell’art. 609-quater c. p., per il quale è stata inflitta la pena in espiazione nel caso specifico, prescrive, in funzione del titolo del reato stesso, quale condizione per la concessione delle misure alternative, che il detenuto sia sottoposto ad “osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui dell’art. 80, comma 4. In tal modo il legislatore ha stimato necessario per conseguire obiettivi di recupero e risocializzazione di chi si è reso autore di reati commessi sulla base di impulso sessuale che l’attività protratta per quel lasso temporale minimo ed inderogabile dovesse condurre il gruppo di osservazione, integrato dalla presenza di figure professionali specifiche, psicologici e criminologi, alla valutazione della “personalità” del detenuto o internato. Per garantire maggiore effettività a tale finalità l’art. 4-bis, comma 1-quater, ha ricevuto ulteriore ampliamento, quanto all’ambito di applicazione ed ai soggetti destinatari, da parte della L. 172/2012, che, a ratifica ed in esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, stipulata a Lanzarote il 25/10/2007, ha implementato l’elenco dei delitti rispetto ai quali l’accesso a taluni benefici penitenziari è subordinato ai risultati positivi della osservazione scientifica della personalità del detenuto, che ha confermato. In sede di legittimità si è già precisato che l’adempimento in esame, poiché concernente le modalità esecutive della pena detentiva e le misure alternative alla detenzione, non riguarda l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena e non ha, pertanto, carattere di norma penale sostanziale, soggiacendo, in assenza di una specifica disciplina transitoria, al principio “tempus regit actum”, e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall’art. 2 c. p. e dall’art. 25 Cost. (SU, 24561/2006) (Sez. 1, 34754/2016).

Ai fini della concessione di una misura alternativa alla detenzione non è sufficiente l’assenza di indicazioni negative, quali il mancato superamento dei limiti massimi, fissati per legge, della pena da scontare e l’assenza di reati ostativi, ma occorre che risultino elementi positivi, che consentano un giudizio prognostico favorevole della prova (quanto in particolare all’affidamento in prova) e di prevenzione del pericolo di recidiva. Tali considerazioni, peraltro, devono essere inquadrate alla luce del più generale principio per il quale l’opportunità del trattamento alternativo non può prescindere, dall’esistenza di un serio processo, già avviato, di revisione critica del passato delinquenziale e di risocializzazione - che va motivatamente escluso attraverso il riferimento a dati fattuali obiettivamente certi - oltre che dalla concreta praticabilità del beneficio stesso, essendo ovvio che la facoltà di ammettere a tali misure presuppone la verifica dell’esistenza dei presupposti relativi all’emenda del soggetto e alle finalità rieducative. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, inoltre, il giudice, pur non potendo prescindere, nella valutazione dei presupposti per la concessione di una misura alternativa, dalla tipologia e gravità dei reati commessi, deve, però, avere soprattutto riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per cui è stata inflitta la condanna in esecuzione, onde verificare concretamente se vi siano o meno i sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e condizioni che rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la richiesta misura alternativa (Sez. 1, 1069/2020).